DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La pedofilia è un regalo del '68. Il sesso tra piccoli e adulti giustificato in nome di una rivoluzione che ha inquinato anche la chiesa. F. Agnoli

Partiamo da un dato di fatto: i casi
di pedofilia nella chiesa, seppur
molti meno di quello che si vorrebbe
far credere, risalgono per lo più agli
anni Sessanta e Settanta e si sono verificati,
soprattutto, negli Stati Uniti.
Questi avvenimenti terribili si iscrivono
in un aumento degli abusi sessuali
contro minori generalizzato, che interessa
la società tutta, famiglia, single,
preti, laici, nessuna categoria esclusa.
Basti pensare che ogni giorno nascono
decine e decine di nuovi siti pedofili
con violenze sessuali sui bambini
dai tre ai dodici anni e che ogni anno
milioni di occidentali partono per Cuba,
la Thailandia e altri paesi in cui
prospera il turismo sessuale.
Ecco, solo questa banale constatazione,
oggettiva e non strumentale, dovrebbe
portare a una domanda che invece
per lo più si preferisce evitare:
perché?
La risposta mi sembra obbligata:
tutto va ricondotto, oltre che ovviamente
alla peccaminosità intrinseca
nell’uomo, all’origine della mentalità
attuale, cioè alla cosiddetta “rivoluzione
sessuale”. Dobbiamo andare
con la mente agli anni Sessanta, in
quel periodo di incubazione che portò
poi al 1968 e a tutto quello che ne seguì.
L’America e l’Europa sono pervase
da queste grida: “Abolire i tabù”,
“liberare il sesso”, distruggere le vecchie
tradizioni, concezioni, istituzioni…
La critica investe i rapporti sociali,
economici, scolastici, ma soprattutto
la famiglia. E’ lei la grande imputata,
a cui, in nome di Marx, Engels,
Marcuse, Reich, Cooper, ecc., si contrappone
l’assoluta possibilità per
ogni individuo di fare le esperienze
sessuali più varie, frequenti e “alternative”
possibili… La “monogamia
cristiana”, spiegano i teorici delle comuni,
molte femministe e rappresentanti
dei nascenti movimenti gay, non
è per nulla più naturale, più giusta,
della poligamia, della poliandria, dell’amore
di gruppo, del rapporto istantaneo
e diversificato… Il matrimonio
diviene così per molti simbolo di oppressione
e la generazione dei figli
una schiavitù, un limite, una maledizione:
nasce così la cultura della contraccezione,
del divorzio e dell’aborto.
I bambini saranno, a breve, le vittime
designate delle nuove “libertà”: abortiti,
separati a forza dai genitori, sballottati
sempre di più da una casa all’altra,
e un giorno progettati addirittura
a tavolino, da una donna single,
da due uomini, o da due donne, grazie
alle banche degli ovuli, del seme, agli
uteri in affitto e domani, chissà, a
quelli artificiali.
Se si sfoglia “La cultura degli Hippies”
(Laterza, 1969), florilegio di scritti
degli anni Sessanta negli Stati Uniti,
si possono leggere articoli così intitolati:
“In difesa dell’oscenità”; “Sei
professori in cerca di… osceno”; “Applauso
per l’orgia”… dovunque inni
alla “liberazione sessuale”, alla pornografia,
all’omofilia, ai “rapporti sessuali
aperti in modi non tradizionali”,
persino all’incesto.
Insomma, è in questi anni di
profonda secolarizzazione, di odio
verso ciò che resta della tradizione
cristiana, che si collocano i primi
aperti sostenitori delle più varie perversioni,
dall’adulterio come atto legittimo,
alla zoofilia, dalla necrofilia
alla pedofilia. Qui dobbiamo cercare
i precursori di Asia Argento che si bacia
appassionatamente con un cane,
in uno dei suoi film, oppure di quella
marea di film pornografici in cui non
mancano scene di personaggi che fanno
sesso con i morti. Qui dobbiamo
cercare l’origine dell’educazione sessuale
nelle scuole, intesa spesso come
spiegazione, a ragazzini ancora piccoli,
di cosa sia tecnicamente l’atto sessuale;
oppure come possibilità per i
piccoli di incontrare a scuola transessuali
o “esperti” chiamati a raccontare,
come è recentemente avvenuto in
una scuola italiana, “cosa avviene
quando la coppia è atipica ed entrano
in gioco gli animali” (Corriere della
Sera, 22/1/2010). Qui dobbiamo cercare
il perché di libretti distribuiti per
esempio nelle scuole spagnole, in cui
si invitano i giovani, a partire dagli 11
anni, a masturbarsi e ad avere relazioni
omosessuali e lesbiche, in nome
dell’idea per cui “la normalità è scambiare
amore e relazioni sessuali con
qualunque persona, dell’altro sesso, o
del proprio”, a qualunque età (Libero,
4/11/2005).
E la pedofilia? Non è già chiaro che
si tratta di un altro personaggio dell’affresco?
Se si guarda bene ci sta
perfettamente. E’ lì, sotto la voce “liberazione
sessuale”; vicino agli slogan
sessantottini “Il sesso è tuo, liberalo”,
“Vietato vietare”, “Lotta dura contro
natura”, “Inventate nuove perversioni”,
“Né maestro né Dio, Dio sono io”;
è accanto ai proclami contro la “sessuofobia
cristiana” e ai discorsi contro
il diritto naturale e a favore del relativismo;
è insieme alla desacralizzazione
di ogni relazione affettiva, all’aumento
dei rapporti precoci tra minori
e degli aborti delle minorenni…
Insieme alla cultura del sesso liberato,
cioè fine a se stesso, della sessualità
ridotta materialisticamente a genitalità,
e dell’altro visto anzitutto come
oggetto di piacere. E’ lì insieme al
disprezzo dei bambini, così facilmente
eliminati, così spesso trascurati in
nome del “benessere” dei grandi!
Infatti sono sempre questi gli anni
in cui nascono, accanto agli asili “antiautoritari”,
quelli in cui vengono insegnati
ai bambini “giochi erotici”
per “liberarli dai tabù”; in cui un leader
studentesco, oggi europarlamentare,
come Daniel Cohn-Bendit, descrive
i suoi toccamenti con bambini
piccoli di un asilo “alternativo” e scrive
su Libération, insieme ad altri intellettuali
francesi di sinistra, da
Jean-Paul Sartre a Jak Lang, da Simone
de Beauvoir a Michel Foucault, un
manifesto in difesa della pedofilia
(vedi il Giornale, 16/1/2005 e M. Picozzi,
M. Maggi, “Pedofilia, non chiamatelo
amore”, Guerini, 2003)! Sono gli
anni in cui diviene di moda “La rivoluzione
sessuale” di W. Reich, stampata
in Italia da Feltrinelli nel 1963,
che predica la distruzione del modello
familiare naturale, ritenuto oppressivo
anzitutto per la libertà sessuale
del bambino, per la sua “genialità
spontanea e priva di complessi di colpa”,
negata brutalmente dalla concezione
cristiana e “borghese” della famiglia.
In Italia nasce proprio ora, col
sostegno dei Radicali, il F.u.o.r.i. di
Mario Mieli, recentemente esaltato
dal quotidiano Liberazione, aperto
cantore, contro la “norma eterosessuale”
e l’antropologia cristiana, dell’omosessualità,
ma anche della coprofilia,
della necrofilia e, appunto,
della pedofilia. Sono gli anni, ancora,
in cui l’ideologa femminista Shulamith
Firestone, nel suo “La dialettica
dei sessi” (1970), propone di separare
sessualità da riproduzione e difende
una sessualità “liberata”, senza confini,
arrivando coerentemente ad auspicare,
come avevano già fatto anche
alcuni illuministi, la liceità dell’incesto,
cioè della pedofilia. L’incesto, infatti,
sarebbe un “tabù” che serve “solo
a preservare la famiglia”. Scrive
ancora la Firestone, sempre in nome
della “liberazione sessuale di donne
e bambini”: “Dobbiamo includere anche
l’oppressione dei bambini in ogni
programma della rivoluzione femminista…
il nostro passo deve essere l’eliminazione
della stessa condizione
di femminilità ed infanzia…”, e si deve
arrivare a far sì che “tutti i rapporti
intimi”, anche quelli tra genitori e
figli, adulti e piccini, includano “anche
la fisicità” in senso lato. Sono gli
anni, per finire, in cui molti attivisti
del nascente movimento gay, come
racconta Paul Berman nel suo “Sessantotto”
(Einaudi), sperimentano sin
da piccoli, a scuola, o nei parchi, il
“sesso tra giovanissimi e adulti”, nel
clima appunto di sessualità sfrenata e
“liberata” di quegli anni.
Così insomma è nato il boom della
pedofilia, della pedopornografia, di
cui oggi continuiamo a vedere gli effetti:
insieme ai nuovi “diritti civili”,
alle nuove “libertà”, alla lotta a tutto
campo alla purezza e alla famiglia naturale
fondata sul matrimonio tra un
uomo e una donna, come disegno immodificabile
di Dio. Insieme a quella
negazione della fede e della morale
cristiana di cui Benedetto XVI non
cessa di ripetere ogni giorno le ragioni.
Si dovrebbe riflettere, al riguardo,
sul fatto che nell’epoca della crisi della
famiglia, la pedofilia è divenuta
una emergenza, come dimostrano tutti
gli studi sull’argomento, proprio nella
famiglia stessa, essendo che la gran
parte delle violenze sui minori avvengono
per mano di genitori, parenti e
non di rado dei nuovi “genitori” acquisiti
in seguito a un divorzio.
E la pedofilia praticata da uomini
di chiesa? Anzitutto è bene ricordare
che cattolici e protestanti furono senza
dubbio quasi gli unici avversari
della “rivoluzione sessuale”. Proprio
perché la libertà del cristiano è, almeno
in teoria, e quindi più facilmente
anche in pratica, tutt’altra cosa: si realizza
nella fedeltà a una relazione,
non nella intercambiabilità e nella
frequenza delle esperienze fisiche individuali;
si concretizza nella sessualità
ordinata e finalizzata, non nella
genitalità solo istintiva e animale. Basta
leggere qualche scritto di quegli
anni: sovente i “liberatori” si scagliano
con virulenza proprio contro la
chiesa, contro i “puritani”, contro il
pensiero cristiano in generale, reo di
opprimere la libera sessualità, di imporre
regole e divieti.
E’ però vero che anche la “liberazione
sessuale” entra nel tempio, insieme
alle altre novità.
Sempre negli stessi testi di cui sopra
possiamo trovare l’elogio di quei
cristiani, di quei pastori protestanti,
di quei preti cattolici, che hanno finalmente
capito i “nuovi tempi”, che non
rimangono stoltamente ancorati alla
morale tradizionale, disobbedendo, se
cattolici, a Roma! Il Los Angeles free
press del 23 giugno 1967, per esempio,
pubblica un articolo intitolato “Un sacerdote
underground dice: ‘La chiesa
è morta’”. In esso il prete in questione
spiega che la chiesa “ha danneggiato
la gente dal punto di vista sessuale,
razziale e politico”. Un articolo dell’Open
city di Los Angeles del 24 agosto
1967, invece, narra di un “prete
hippy”, uno dei tanti protestanti presbiteriani
che ha deciso di sposare le
nuove idee rivoluzionarie.
Nel mondo cattolico il tanto decantato
aggiornamento, la tanto pubblicizzata
“apertura al mondo”, diventano
per molti ecclesiastici e per molti
credenti “adulti” un dovere irrinunciabile.
Non tutti hanno capito che secolarizzazione
fa rima con tristezza, e
“liberazione sessuale” con disgregazione
della famiglia, pornografia, pedofilia,
esplosione del numero dei divorzi,
instabilità dei bambini ecc.
Inevitabilmente, poi, l’“aggiornamento”
nella fede diventa anche aggiornamento
nella morale.
Ecco così che migliaia e migliaia di
sacerdoti abbandonano la veste talare,
si spretano, attaccano il celibato,
chiedono una revisione della morale
della chiesa, leggono ed elogiano i testi
di Reich, per poi finire con lo
schierarsi apertamente e violentemente
a favore della legalizzazione
del divorzio e dell’aborto. Questi religiosi
trovano grande accoglienza sulle
pagine dei quotidiani progressisti, gli
stessi che oggi molto ipocritamente
fanno la guerra, a ogni piè sospinto, a
Benedetto XVI.
Un libretto di un famoso benedettino,
“Arcipelago Chiesa. A quarant’anni
dal Concilio”, di padre Stanley Jaki
(Fede & Cultura), può aiutarci a comprendere
meglio queste vicende, specie
per quanto riguarda l’America.
Jaki mette anzitutto in luce la perdita
di fede propria di quegli anni, e la detronizzazione
del Santissimo dal centro
degli altari: essa gli appare il simbolo
più evidente della perdita del
senso del soprannaturale. In secondo
luogo Jaki nota la perdita fortissima,
nel mondo cattolico, del senso del
peccato, “il quale soltanto chiede a
gran voce una redenzione”. “Ha poco
senso – scrive – parlare dello stato decaduto
dell’uomo quando la sua caduta
originaria è minimizzata in luoghi
consacrati”: se il peccato non esiste
più, né per il mondo, né per molti uomini
di chiesa, è chiaro che il compierlo
diventa più semplice, più banale,
più automatico. E’ chiaro che, mentre
nella società si inizia a sottovalutare,
per esempio, la sacralità del matrimonio,
e l’adulterio diventa sempre
più normale, se non addirittura un
“diritto”, analogamente molti religiosi
perdono il senso della loro missione,
e quindi anche il significato della
loro verginità. Il grave è che non esiste
quasi più nessuno che li richiami e
che li punisca. Soprattutto perché in
tutta la cristianità, negli Stati Uniti e
in Germania in particolare, la ribellione
al magistero diventa fortissima e
investe molti vescovi. Tra costoro Jaki,
in questo libretto del marzo 2008, cita
proprio l’arcivescovo di Milwaukee,
Robert Weakland: un beniamino della
stampa progressista di allora, per le
sue posizioni, come ha ricordato anche
Roberto de Mattei su questo giornale,
a favore della “rivoluzione sessuale”.
Tale vescovo, oggi, è ancora
più lodato, visto che le sue dichiarazioni
sono servite ad attaccare violentemente
Benedetto XVI, nonostante la
verità sia che egli fu dimissionato nel
2002 “dopo che un ex studente di teologia
l’aveva accusato di violenza carnale,
rompendo il segreto che lo stesso
Weakland gli aveva imposto in cambio
di 450 mila dollari detratti dalle
casse dell’arcidiocesi”.
La ribellione di molti ecclesiastici
alla morale cattolica, racconta Jaki,
raggiunge il culmine con la pubblicazione
dell’enciclica “Humanae Vitae”,
rispetto a cui la risposta è lo scisma
strisciante di tantissimi preti e laici
credenti, in tutto l’occidente. Nel 1976
si arriva addirittura al punto che “cinque
arcivescovi americani e quindici
vescovi erano pronti ad annunciare la
formazione di una chiesa cattolica
americana”, separata da Roma. “Da
parte di molti cattolici, affermava l’allora
cardinal Ratzinger nel 1985, parlando
con Vittorio Messori, c’è stato in
questi anni uno spalancarsi senza filtri
e freni al mondo, cioè alla mentalità
moderna dominante, mettendo
nello stesso tempo in discussione le
basi stesse del depositum fidei che
per molti non erano più chiare”.
La crisi di fede, è giusto dirlo, ha
toccato tutti: laici e credenti, e tra costoro
cattolici e protestanti. Nel caso
specifico della pedofilia, però, è interessante,
rimanendo solo ai credenti,
il fatto che il fenomeno abbia coinvolto
maggiormente i pastori protestanti,
liberi di sposarsi, rispetto ai preti cattolici,
votati al celibato. Mentre infatti
molte chiese protestanti hanno ceduto
enormemente nei principi, e quindi,
di conseguenza, anche nella pratica,
al contrario nella chiesa cattolica,
nonostante gli errori, propri dell’uomo
e dei tempi, è sempre rimasta viva
una voce controcorrente, a contrastare
la crisi delle fede e la rivoluzione
sessuale: quella del magistero romano.
Non è proprio per questa fermezza,
perché la chiesa cattolica ha ceduto
meno di altre, che tantissimi anglicani
rientrano oggi, sotto Benedetto
XVI, nella chiesa romana, in polemica
con le loro gerarchie, troppo aperte
verso la “rivoluzione sessuale”?
Quanto al fatto che la stampa progressista,
da sempre in prima fila nella
“liberazione sessuale”, oggi identifichi
tendenziosamente nella chiesa
cattolica il luogo per eccellenza della
pedofilia, fingendo di dimenticare i
“bei tempi” in cui la chiesa veniva accusata
di imporre troppi tabù, si tratta,
come è facile capire, di una vendetta
postuma, di chi si improvvisa moralizzatore,
strumentalmente, dopo aver
contribuito alla demolizione sistematica
dell’umano e dell’affettività vera.
Il fatto è così chiaro che per un lapsus
rivelatore, su Repubblica, il cardinal
Bernardin, uno dei tantissimi prelati
cattolici accusati ingiustamente di pedofilia,
per soldi o altro, è stato recentemente
confuso con l’eroe del momento,
perché antiromano ed antipapista,
cioè il vescovo liberal Robert
Weakland, lui sì, come si è visto, veramente
colpevole di atti contro la morale,
cristiana e naturale.

© Copyright Il Foglio 17 aprile 2010