Marina Abramovic, performer slava nota per le sue provocazioni estreme, era al Moma (The Museum of Modern Art) di New York durante i giorni delle vacanze di Pasqua. A pochi metri di distanza, sulla Fifth Av., nella cattedrale di St. Patrick, si svolgevano invece i riti della Settimana Santa. “Mi dispiace di dover parlare di questo – ha sospirato Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York, alla fine della messa solenne per la Domenica delle Palme -. Ma, si deve dirlo ancora, l’Eucarestia è il pasto domenicale di quella famiglia spirituale che noi chiamiamo Chiesa. Alla mensa della Domenica noi condividiamo gioie e dolori. Il padre della nostra famiglia, il Papa (in italiano nel suo discorso n.d.r.) ha bisogno del nostro amore, del nostro sostegno e delle nostre preghiere”. Le centinaia di fedeli, che affollavano la cattedrale di St. Patrick in ogni ordine di posto, lo hanno applaudito a lungo, con convinzione.
Nelle stesse ore Marina Abramovic, in una delle sale principali del Moma, stava seduta su una sedia, davanti ad un tavolo vuoto. Sulla sedia di fronte, a turno, si sedevano alcuni turisti. In silenzio. Gli occhi fissi negli occhi. Per lunghe interminabili ore. Dalla mattina fino all’orario di chiusura. Per giorni e giorni. Nel tentativo di stabilire un bizzarro record, la Abramovic non si è mai mossa. Su una parete erano sbarrati i giorni consumati nella sua performance.
Fa uno strano effetto dalla prospettiva di New York, la più caotica delle megalopoli mondiali, riflettere sulle polemiche che hanno colpito il Vaticano durante il triduo pasquale di quest’anno.
avere un marito anch’io?”. I camionisti e alcuni tassisti, in vena di scherzi, strombazzavano. Distrattamente e correndo via lungo il traffico caotico della New York piena di turisti per le vacanze dello “spring time”, il periodo di ferie pasquali che studenti e famiglie americane si godono come facciamo noi durante la settimana di ferragosto. A pochi metri di distanza, sullo stesso marciapiede, c’era però anche un altro dimostrante. Solitario. Il suo cartello diceva: “Il Papa è vittima di una campagna di discredito fatta dagli ebrei nei media mondiali”. Mentre le centinaia di fedeli, con le foglie di palma strette fra le dita, uscivano dalla cattedrale e, alla fine, sommergevano travolgendoli tutti i solitari dimostranti della Fifth, Marina Abramovic sedeva immobile nella sala illuminata a giorno del Moma. I turisti la osservavano in silenzio. Qualcuno, a turno, continuava a sottoporsi al suo sguardo, seduto sulla sedia dall`altra parte del
tavolo. Curiosa metafora. Chiasso, titoli urlati nei giornali. Traffico e folla ovunque. E poi lo sguardo silenzioso e immobile della Abramovic al Moma. All’ultimo piano del museo c’era una sorta di retrospettiva delle sue performance, dure e indigeribili, già viste in altre esposizioni del mondo, anche alla Biennale di Venezia. C’era anche la
sua foto più inquietante. Un uomo e una donna, uno di fronte all’altro. L’uomo tende una freccia che punta pericolosamente al cuore della donna. Ma l’arco è tenuto in tiro proprio dalla mano e dal braccio teso della stessa donna. Pur nel paradosso delle sue stravaganti provocazioni, la Abramovic sembra che voglia dirci qualcosa sull’incapacità dell’uomo di capire veramente l’altro che gli sta di fronte. Un problema di comunicazione? Non solo.
Andrea Piersanti
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