DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Martiri coreani, “esempio perfetto ” dell’amore a Cristo e ai fratelli


I vescovi coreani spingono i fedeli a conoscere la vita dei 103 martiri, canonizzati da Giovanni Paolo II e morti durante le persecuzioni anti-cristiane che hanno scosso il Paese per più di un secolo. Il loro sangue “ha fatto sbocciare i semi piantati da Dio in Corea”.

Seoul (AsiaNews) – La Chiesa universale e quella coreana “hanno bisogno della testimonianza dei martiri, oggi più che mai. Si tratta di una testimonianza perfetta ed eterna che spiega il bisogno di Cristo nelle nostre vite e l’amore che proviamo per i nostri fratelli. Ecco perché è importante ricordare chi sono stati e cosa hanno fatto, in vita, i martiri di ogni Paese. Ecco perché pubblichiamo le vite dei martiri coreani”. Sono le parole con cui la Conferenza episcopale coreana presenta una nuova iniziativa: le biografie dei 103 Santi martiri canonizzati da Giovanni Paolo II. Riportiamo di seguito il testo completo dell’introduzione.
I 103 Santi martiri della Corea sono stati canonizzati da Giovanni Paolo II nel corso di una cerimonia che si è svolta il 6 maggio 1984 nella piazza Yoido di Seoul. Come disse in quell’occasione il defunto pontefice, “dal trentenne Pietro Yu Tae-chol al settantaduenne Mark Cong; maschi e femmine; sacerdoti e laici; ricchi e poveri; persone ordinarie e nobili; tutti sono stati felici di morire per testimoniare Cristo. I Santi martiri coreani hanno voluto testimoniare il Cristo crocifisso e risorto.
Attraverso il sacrificio delle loro vite sono divenuti simili al Salvatore. Beati coloro che vengono perseguitati a causa della giustizia, perché loro è il Regno dei Cieli (Mt, 5;10). La verità di queste parole pronunciate da Gesù, la verità delle Beatitudine è manifestata dall’eroica testimonianza di questi martiri coreani”. È per questo che presentiamo il breve riassunto delle loro vite (v. http://english.cbck.or.kr/?mid=Saints103&page=2&document_srl=413), le stesse che sono state presentate alla cerimonia della loro canonizzazione. Dio, che vuole la salvezza di tutti i popoli, ha piantato i semi della fede cattolica in Corea in maniera egregia: quei semi sono sbocciati.
La comunità cristiana ha iniziato il suo cammino quando Yi Sung-hun ha deciso di studiare da solo la dottrina cristiana: viene battezzato con il nome di Pietro nel 1784. All’inizio, proprio a causa della loro fede in Dio, i primi cristiani della Corea sono stati perseguitati in maniere diverse: rinnegati dalle loro famiglie, sono stati costretti a rinunciare non soltanto al loro rango sociale ma persino ai loro diritti umani fondamentali. Eppure, nonostante queste persecuzioni, la fede ha continuato a diffondersi. La comunità cristiana della Corea, nata senza alcun sacerdote, ha avuto la gioia di avere due pastori che provenivano dalla Cina.
Ma il loro ministero è stato breve, e sono passati altri 40 anni prima che la Società per le missioni estere di Parigi iniziasse a lavorare anche qui. Il padre Mauban ha messo piede in Corea nel 1836, accolto da una comunità cristiana che desiderava ardentemente la grazia dei sacramenti. Prima di questo arrivo una delegazione era stata scelta e inviata a Pechino a piedi, oltre 750 miglia, per chiedere al vescovo con le lacrime agli occhi di inviare anche in Corea dei sacerdoti. Lo stesso appello era stato inviato al Santo Padre, a Roma.
Bisognava considerare i seri rischi che pendevano sulla testa di quei missionari che avessero scelto di vivere nel Paese: i vescovi e i sacerdoti che scelsero di affrontare questo pericolo, così come i laici che li hanno aiutati e spesso difeso, hanno vissuto nel pericolo costante di morire. Insieme ai loro pastori spirituali si sono uniti uomini e donne, giovani e anziani, colti e analfabeti: nessuna distinzione di classe sociale. Tutti uniti dalla fede comune e dal desiderio di testimoniare la chiamata di Dio a tutti i popoli, senza eccezioni, per poter vivere la perfezione della vita. I primi missionari stranieri ad abbracciare per l’amore del Signore una cultura differente sono stati mons. Lauren Imbert e altri dieci sacerdoti francesi del Mep.
Di giorno erano costretti a nascondersi, ma di notte viaggiavano a piedi per rispondere ai bisogni spirituali dei fedeli e amministrare loro i sacramenti. Il primo sacerdote coreano fu Andrea Kim Tae-gon: spinto dall’amore di Dio e dal desiderio di aiutare i suoi confratelli nella fede, decise di vivere i pericoli di un missionario nella sua stessa patria. Tanto che, tredici mesi dopo la sua ordinazione, venne messo a morte a 26 anni. Con l’olio della consacrazione ancora fresco sulle sue mani. Paolo Chong Ha-sang, Agostino Yu Chin-gil e Carlo Cho Shin-chol fecero diverse altre visite a Pechino, per trovare un modo di portare in Corea altri missionari; dalle persecuzioni del 1801, infatti, nessun sacerdote si prendeva cura della comunità.
Fra i martiri che onoriamo vi erano quindici vergini; fra queste ricordiamo le due sorelle Agnese e Colomba Kim Hyo-ju, che “hanno amato Gesù con cuore unico” (I Cor. 7, 32-34). Queste donne, un un’epoca in cui la vita religiosa era una realtà sconosciuta per la Corea, hanno vissuto in comunità prendendosi cura degli ammalati e dei poveri. Allo stesso modo, Giovanni Yi Kwang-hyol è morto martire dopo una vita passata nel celibato, in una sorta di servizio consacrato alla Chiesa.
Nelle persecuzioni anti-cristiane che hanno attraversato la Corea per più di un secolo sono morti circa 10mila martiri. Di questi, 79 sono stati beatificati nel 1925, altri 34 martiri sono stati beatificati nel 1968. Tutti insieme, per volontà della Chiesa, sono stati canonizzati sulle rive del fiume Han, da dove si vedono i loro santuari. Lì dove riposano, nella loro ricompensa eterna.
Martiri coreani, “esempio perfetto ” dell’amore a Cristo e ai fratelli