di Carlo Bellieni - l'Occidentale 25 aprile 2010
Luigi Cavalli Sforza ha pubblicato pochi giorni fa sul CdS un articolo pro-Darwin. Per Charles Darwin, spiega, solo una parte della prole arriva a maturità e a riprodursi perché la maggior parte muore; e questo “permette ad una specie di migliorare il suo adattamento all’ambiente, grazie ad un meccanismo del tutto automatico che chiamò selezione naturale”. La selezione naturale, continua, permette la sopravvivenza del più adatto; e chi è il più adatto? “Il tipo che si riproduce di più e quindi mantiene ed espande la vita”. E’ un argomento classico, classicista quasi, che dà un’interpretazione della vita come un ambito in cui causalmente avvengono delle mutazioni che non riescono ad espandersi perché non sono adatte e lasciano spazio a quelle che non sono “automaticamente” schiacciate dall’ambiente; e in cui l’ambiente agisce da selezionatore e la vita è una casuale competizione alla riproduzione. L’ambiente come nemico, che accetta solo chi è conforme a sé.
Questo ragionamento classico, oggidì deve fare i conti con la nuova acquisizione della biologia chiamata “epi-genetica”, ovvero l’importanza dell’influsso dell’ambiente sull’espressione del DNA. In base a questa visione l’ambiente e la natura non sono solo spietati selezionatori, ma utili collaboratori nel migliorare una specie. Lo studio dell’epigenetica ha permesso a Michael Skinner, direttore del Centre for Reproductive Biology di Washington, di osservare che i cambiamenti fisici non avverrebbero solo per mutazioni casuali del Dna, ma anche in seguito a inibizioni da parte dell’ambiente sull’espressione di alcuni geni e a Didier Raoult sulla rivista “Lancet” (gennaio 2010) di spiegare che addirittura il patrimonio genetico può nei secoli mutare per l’interazione con altre specie viventi.
Eva Jablonka, genetista israeliana nel suo libro “Evolution in four dimentions” è su questa lunghezza d’onda, così come il premio Prigogine 2004, Enzo Tiezzi, ch sostiene che “Gli ecosistemi si evolvono per co-evoluzione e auto-organizzazione”, nel suo Steps Towards an Evolutionary Physics (2006) indicando che l’evoluzione non è cieca, o perlomeno non è una folle corsa: “L’avventura dell’evoluzione biologica è un’avventura stocastica, dal greco, che significa, “mirare con la freccia al centro del bersaglio”": come le frecce arrivano in ordine sparso sul bersaglio, ma tutte protese verso il centro da parte dell’arciere, così anche l’evoluzione appare avere un’armonia di base. La questione non è di poco conto, perché posto che mutamenti formali nella vita sulla terra ci sono stati, sta emergendo che non tutto è lotta, ma molto è cooperazione. Tutto questo non ci dispiace, e non deve disturbare che la visione classicista venga messa in crisi, perché un mondo fatto “per chi è più adatto” a molti di noi sta stretto: se tutto è selezione se ne può derivare una visione che lascia poco spazio alla solidarietà, o almeno non la vede come forza trainante; e la solidarietà non è un retaggio da beghine, ma è il perno morale su cui si sono basati gli ultimi due millenni di storia umana nei quali l’uomo ha fatto i più alti passi di acquisizioni culturali e tecnologiche, ovviamente cadendo spesso nella dimenticanza di questo valore che, tuttavia resta alla base delle costituzioni delle principali democrazie.
Certo, se tutto fosse lotta e selezione ne prenderemmo atto; ma sembra che così non sia. E ci sentiamo più sereni.
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