DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Padre Rotondi e la «conversione» di Saragat

DI FILIPPO RIZZI

C
onfidente di Papi, in primis Pio XII, presi­denti della Repubbli­ca, amico di attori da Corra­do Pani ad Anna Magnani, intellettuali, giornalisti tra questi Curzio Malaparte, gli editori Edilio Rusconi e Re­nato Angiolillo, sempre al fianco del suo confratello forse più noto, nelle difficili battaglie del Novecento, «crociate della bontà» delle elezioni politiche del 1948, il gesuita Riccardo Lombardi, il «microfono di Dio».
Il 13 aprile di vent’anni fa moriva 78enne a Castelgan­dolfo, a causa di un ictus ce­rebrale nella casa e movi­mento Oasi da lui fondato trent’anni prima, nel 1950, il gesuita Virginio Rotondi. U­na figura di religioso e sa­cerdote di razza che si im­pose sulla scena del grande pubblico del Dopoguerra anche attraverso i rotocalchi ( collaborò, non a caso, a molti di essi da
G ente, Oggi, Grazia , L’Europeo) e rubri­che televisive e radiofoniche (con lui nasce la trasmissio­ne Rai Ascolta si fa sera) per le sue battaglie: dai suoi co­mizi a favore della Dc, nelle piazza rosse, come nella Sta­lingrado d’Italia, a Sesto San Giovanni, ad essere stato de­finito «Il Di Vittorio del Vati­cano » perché riuscì, quasi con lo stesso carisma del leg­gendario sindacalista pu­gliese della Cgil ad alzare, per la prima volta, il salario dei dipendenti della Santa Sede alle sue crociate, a vol­te solitarie, in difesa della vi­ta, contro l’eutanasia, la pil­lola e il divorzio nell’ultima parabola del suo Novecento. Un trascinatore di folle, no­nostante la bassa statura, anche per il suo carisma da gesuita di popolo ( sarà, tra l’altro, da giovane, assisten­te spirituale dei tranvieri del­l’Atac di Roma e inseparabi­le nel suo apostolato sarà la fisarmonica). Famosa nei suoi comizi nelle piazze ros­se la frase: «Mio padre è un proletario come voi».
E proprio per questo suo ca­risma di essere un sacerdo­te vicino alla gente, definito amabilmente dai media « il gesuita dei casi difficili» e la sua buona preparazione teo­logica verrà scelto da Papa Pacelli come collaboratore per tante delicate missioni ma anche come estensore, in chiave più divulgativa, del complesso magistero di Pio XII. Un legame quello con Eugenio Pacelli che non si spezzerà mai fino alla mor­te.
Sarà infatti padre Virginio Rotondi ad avvicinare il Pa­stor Angelicus alla gente: gra­zie alla sua mediazione av­verrà nelle mura vaticane il primo reportage fotografico a colori su Epoca dedicato al­la giornata di un Papa, in cui si vedrà Pacelli nella sua quotidianità, accompagna­to dagli inseparabili canari­ni Domplaff e Gretchen. Un rapporto quasi naturale con i media che spingerà Roton­di a sostenere Sergio Zavoli nella sua avventura, nono­stante le perplessità della ge­rarchia cattolica: la realizza­zione della nota trasmissio­ne televisiva Clausura, dove per la prima volta, un gior­nalista varcava le soglie di un monastero e intervistava la sottopriora, suor Maria Tere­sa dell’Eucarestia. Toccherà sempre a Rotondi, con lo pseudonimo di padre Pasquali, di essere il mes­saggero e custode segreto di tanti messaggi paralleli a quelli della diplomazia uffi­ciale, tra i due colli della Ca­pitale , il Vaticano e il Quiri­nale, tra Eugenio Pacelli e Giovanni Gronchi. Un ruolo di grande peso, quello gio­cato proprio da padre Ro­tondi in quel frangente a po­chi anni di distanza dai pri­mi governi di Centro-sinistra in Italia.
S empre a lui, al gesuita di fiducia di Pacelli ricor­rerà il presidente dell’E­ni Enrico Mattei per esten­dere le sue conquiste petro­lifere in Persia, tentando at­traverso un’intricata que­stione di diritto canonico, di far unire in matrimonio, poi naufragato anche per la morte di Pacelli, la cattolica Maria Gabriella di Savoia con lo scià di Persia Reza Palevi.
Ma è il 1957 l’anno che por­terà sul crinale mediatico il gesuita Virginio Rotondi: Curzio Malaparte, lo scritto­re de
La Pelle e Kaputt in punto di morte, alla clinica Sanatrix si converte al catto­licesimo. Sarà il gesuita ori­ginario di Vicovaro ad am­ministrargli in poche ore i sa­cramenti del battesimo, cre­sima e comunione. E famo­sa la frase pronunciata dal
Maledetto toscano
al suo o­ramai amico e confidente: «Faccia presto, mi dia Gesù». A fare scalpore saranno i di­battiti e la vis polemica di questo gesuita di frontiera negli anni Settanta: memo­rabile sarà il dibattito con Pier Paolo Pasolini sulla fine del cristianesimo in Italia e sulla stroncatura sulle co­lonne de Il Tempo del film del « Vangelo secondo Matteo » del grande scrittore friulano. In ogni sua battaglia Roton­presidente di cercherà il dialogo ma an­che di mettere in risalto la verità del magistero cattoli­co.
Un nome del tutto partico­lare da associare alla biogra­fia di Rotondi è quello di Lui­gi Calabresi: il giovane com­missario di Polizia sarà uno dei più fedeli discepoli e fi­gli spirituali del movimento fondato da Rotondi, l’Oasi, oramai diffusosi in tutto il mondo. Laconica e in un certo senso drammatica sarà l’impressione di Rotondi sul­la tragica morte nel 1972 del suo discepolo prediletto: «Ha privato il movimento di una testimonianza che da subito colpiva profonda­mente i giovani; ha privato la Chiesa di un figlio silen­ziosamente eroico».
Un capitolo a parte del No­vecento di Virginio Rotondi è sicuramente il rapporto del tutto eccezionale che si in­staurerà con Giuseppe Sara­gat, storico leader del Psdi,
della Repubblica e da ultimo senatore a vita. Un’amicizia che porterà a un lungo dialogo sulla fede, sul­le cose ultime, fino alla ri­chiesta di funerali religiosi da parte di Saragat, quasi per e­saudire un antico e intimo desiderio della scomparsa moglie Giuseppina. Un tema nodale come la difesa della vita, i diritti del nascituro, il no netto all’aborto, porterà, in quegli anni, seppur con connotati diversi, a stare dal­la stessa parte Rotondi e lo statista socialdemocratico.
A ncora oggi a testimo­niare questa intensa amicizia e dialogo spirituale sono le note dei diari di Rotondi, raccolte, du­rante le tante visite alla villa di Saragat a Roma, alla Ca­milluccia: «Grazie a lei per a­vermi fatto incontrare la sua fede che oggi, è anche la mia » . E ancora: « Quando verrà la mia ora, dò a lei l’in­carico di pensare a tutto ciò che riguarda tutti, della mia fede cristiana, cattolica». Un desiderio che verrà total­mente esaudito nel giugno del 1988, con la morte del politico socialdemocratico.
Rotondi, il gesuita di Pio XII – è giusto ricordarlo a vent’anni dalla sua morte – godrà sempre della stima so­prattutto per la sua predica­zione radiofonica di Paolo VI (suo il primo commento via radio della
Humanae vitae in Italia) ma anche di Giovanni Paolo II, a cui affiderà il gra­voso compito di fare una supplementare inchiesta sulla intricata vicenda dello Ior di Paul Marcinkus.
Il gesuita dei casi difficili, il crociato della Guerra Fredda morirà a Villa Sorriso a Ca­stelgandolfo, il 13 aprile del 1990, all’alba del Venerdì Santo di quell’anno, assisti­to dai suoi più stretti colla­boratori, tra questi la fidata segretaria Virginia Minelli, dei due istituti da lui fonda­ti e riconosciuti dalla Chie­sa, il movimento Oasi e l’i­stituto secolare
Ancilla Do­mini.
A vent’anni dalla sua morte rimangono vive forse anco­ra oggi le parole che amava ripetere a chi andava a tro­varlo nella sua immobilità: « Quando il Signore mi ha detto: parla alle folle, sono corso da un capo all’altro dell’Italia e del mondo per obbedire ai suoi comandi. Poi un giorno mi ha detto: basta fermati! E io gli ho ob­bedito
».


© Copyright Avvenire 13 aprile 2010