DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Pane e uva per non morire mai. La raffigurazione del banchetto alle origini dell'iconografia paleocristiana

di Giovanni Carrù

Al centro dell'arco di fondo della "cappella greca" nelle catacombe di Priscilla si staglia la suggestiva scena di un banchetto dipinto, alla metà del iii secolo, su un vivace fondo rosso, che solleva l'immagine in un'atmosfera simbolica, che, in passato, ha suggerito agli iconografi di interpretare la singolare rappresentazione come la prima testimonianza dell'Eucarestia nell'arte cristiana. La scena, come è noto, propone una situazione conviviale costituita da sette personaggi sistemati attorno a una tavola a forma di sigma: tra questi, un uomo anziano, che occupa il posto di onore in cornu dextro, sembra spezzare il pane con grande solennità, mentre sulla tavola sono disposti coppe e piatti colmi di pesci e pani. Ai lati, sono sistemati sette cesti di pani, a memoria del miracolo neotestamentario della moltiplicazione (Matteo, 14, 13-21; Marco, 6, 32-44; Luca, 9, 12-17; Giovanni, 9, 26-37). Un'altra particolarità della scena è rappresentata dalla presenza di una donna a capo velato, che partecipa al banchetto, secondo un uso che si diffonderà per la solennità della celebrazione eucaristica.
La pittura della "cappella greca", che è associata ad altre scene neotestamentarie (guarigione del paralitico, resurrezione di Lazzaro, l'adorazione dei Magi) e veterotestamentarie (Noè nell'arca, Daniele tra i leoni, il sacrificio di Abramo, Susanna tra i vecchioni, i tre fanciulli nella fornace, Mosè che batte la rupe) e ad alcuni simboli riconducibili alla Resurrezione (la fenice, le stagioni), ha dato luogo a molte discussioni relativamente alla sua interpretazione. Se, infatti, il grande iconografo tedesco Joseph Wilpert intese la situazione figurativa come una vera e propria fractio panis, più di recente la nostra scena è stata interpretata come un più semplice banchetto funerario, secondo una tradizione iconografica già sorta nell'arte pagana e ripresa anche dai cristiani, specialmente negli affreschi delle catacombe dei santi Pietro e Marcellino, dove molte rappresentazioni alludono, con ogni evidenza, al rito funerario del refrigerium, ossia a quel banchetto simbolico organizzato in onore dei defunti, in occasione del dies natalis dei fratelli scomparsi.
Tutto questo ci induce a pensare che l'immagine del banchetto, nella cultura paleocristiana, propone diverse accezioni, nel senso che può alludere ora ai banchetti edonistici di puro intrattenimento, ora a un rito funerario, ora a una condizione paradisiaca, ora alla moltiplicazione dei pani, ora all'Eucarestia. Questa ultima accezione, comunque, nei primi secoli, appare assai raramente, come per una sorta di discrezione nei confronti di un mistero estremamente delicato e solenne, nell'ambito della genesi dei sacramenti cristiani.
Per questo motivo, oltre all'affresco delle catacombe di Priscilla, con le dovute cautele, possiamo intravedere un'ipotetica componente eucaristica in altri affreschi cimiteriali. Tra i più interessanti, dobbiamo ricordare quelli che decorano uno dei cubicoli cosiddetti dei Sacramenti nell'Area i callistiana, che possiamo riferire agli anni 230-240 circa. Ebbene, tra le altre scene (fossori, filosofi, pescatori, Giona, Mosè, Samaritana, battesimo), sulla parete di fondo di questo ambiente si riconoscono una scena di banchetto attorniata dai soliti cesti di pani, una curiosa situazione figurativa riconducibile a una sorta di sacrificio con un officiante che pone le mani sui pani e pesci sistemati su un tondo dinanzi a una donna orante, e una rappresentazione del sacrificio di Isacco. La sequenza figurativa sembra alludere al concetto del banchetto eucaristico inteso come sacrificio, recuperando antichi schemi pagani e collegandosi anche alla prefigurazione veterotestamentaria del "sacrificio sventato" di Abramo.
D'altra parte, il concetto di sacrificio associato a quello dell'Eucarestia è ben presente nella letteratura patristica, tanto che Cipriano abbina l'Eucarestia alla passione e alla Resurrezione del Cristo, alle quali rispondono anche i fedeli con il loro sacrificio. Altre allusioni alla materia eucaristica possono essere individuate nella volta di un altro cubicolo dei Sacramenti, dove compaiono la sintesi delle offerte - o meglio un tripode e i cesti dei pani - come per ridurre il più complesso schema del banchetto.
Ancora più sintetici appaiono i cosiddetti "pesci eucaristici" dipinti, nella prima metà del iii secolo, nelle cripte di Lucina. Qui, due grandi pesci fungono da base ad altrettanti cesti di pani, al cui interno si intravedono due bicchieri di vino rosso. Se tutta la prima stagione figurativa dell'arte delle catacombe presenta scene ancora ambigue dal punto di vista di una interpretazione sicuramente eucaristica, dal momento bizantino, le allusioni iconografiche divengono più chiare, come possiamo riscontrare nel presbiterio di San Vitale a Ravenna, dove Abele e Melchisedech sono rappresentati ai lati di un altare, mentre Abramo offre ospitalità ai tre personaggi a Mambre e si accinge a sacrificare Isacco. Ancora a Ravenna, la più antica scena dell'ultima cena si riconosce nel ciclo cristologico concepito in età teodoriciana, nella basilica di Sant'Apollinare Nuovo. Lo schema riprende l'organizzazione classica del banchetto e viene utilizzato anche, sempre nel vi secolo, nel codice purpureo di Rossano Calabro e in quello di Rabula, ora conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze. La scena avrà grande fortuna anche negli oggetti liturgici in materiali preziosi, come nelle patere argentee di Riha e di Stumma presso Antiochia, sempre di età bizantina.
Ma il cristiano delle origini, per tornare al suggestivo mondo delle catacombe, doveva pensare al sacrificio eucaristico anche e soprattutto quando osservava con stupore semplice e immediato i simboli incisi sulle tombe dei confratelli, ossia quei grappoli d'uva, quei pesci, quei cesti di pani che riconducevano naturalmente all'accezione eucaristica e soterica del banchetto, che rappresenta il momento più alto del piano salvifico divino.


(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2010)