di Gaetano Vallini Arrivò a contare quasi diciotto milioni di uomini e, nella più sanguinosa delle guerre della storia, per un certo periodo riuscì a occupare mezza Europa. Ciononostante, quella che è considerata una delle più spietate ed efficienti macchine da combattimento mai approntate finì per soccombere in una totale disfatta. La Wehrmacht, l'esercito voluto da Adolf Hitler in sfregio alla pace di Versailles, fu molto più che una poderosa forza armata. Vincolata com'era a un giuramento di fedeltà al führer prima ancora che alla patria, attraverso i suoi vertici si abbrutì in quell'umiliante sottomissione, divenendo strumento della dittatura nazista e complice di una folle guerra di distruzione e di un inumano progetto di purificazione razziale.
Dopo anni di silenzio, il dibattito su cosa fu la Wehrmacht è stato infuocato in Germania, dove ci si è confrontati su questioni rilevanti: fino a che punto le forze armate regolari tedesche furono coinvolte nei crimini del Terzo Reich? In quale misura presero parte attiva alla pianificazione e alla realizzazione di azioni belliche contro la popolazione civile e persino alla deportazione e allo sterminio di milioni di ebrei? Perché si fecero coinvolgere nei crimini contro l'umanità? Che cosa sapevano i soldati delle atrocità compiute sotto la bandiera con la croce uncinata? Sono le stesse domande cui ha cercato di dare una risposta Guido Knopp nel libro Wehrmacht (Milano, Corbaccio, 2010, pagine 325, euro 24) nel quale lo storico e giornalista ripercorre la storia dell'esercito del führer soprattutto attraverso le testimonianze di quanti ne fecero parte, dai generali ai semplici soldati.
Che in Germania il tema del coinvolgimento dell'esercito regolare nelle nefandezze naziste sia ancora un nervo scoperto è testimoniato dal successo e dalle discussioni sollevate dalla mostra "I crimini della Wehrmacht" allestita a metà degli anni Novanta, visitata da oltre un milione e mezzo di persone, e più di recente da una trasmissione televisiva andata in onda in cinque puntate sulla Zdf nel 2007, curata dallo stesso Knopp. L'esposizione e il documentario, grazie alle ultime acquisizioni storiografiche, hanno infatti mostrato un'immagine ben diversa dell'esercito rispetto a quella dei primi anni del dopoguerra. Allora, in una Germania devastata e sotto accusa, aveva fatto comodo alimentare il mito dell'innocenza della Wehrmacht, scaricando sulle ss, sulla Gestapo e sugli altri corpi speciali del Terzo Reich la responsabilità di tutte le azioni aberranti.
Si trattava di un presupposto senza il quale sarebbe stato impossibile ricostituire nel territorio tedesco un nuovo esercito che potesse avere anche un ruolo nel Patto Atlantico; un ruolo peraltro rilevante durante la guerra fredda e per questo non si eccepì sul fatto che generali compromessi in quei crimini fossero stati chiamati a ricoprire importanti cariche tanto nelle forze armate della Repubblica federale quanto nella Nato.
Quella di un esercito non infangato dagli efferati crimini nazisti è stata un'immagine dura a morire. La verità, invece, si è scoperta ben diversa grazie allo storico Sönke Neitzel, dell'università di Magonza, al quale si deve la prima pubblicazione delle trascrizioni integrali delle registrazioni dei colloqui tra generali tedeschi catturati dagli Alleati e rinchiusi nel campo di Trent Park, in Gran Bretagna. Ignari di essere ascoltati, i prigionieri rivelarono che i vertici della Wehrmacht erano perfettamente a conoscenza delle esecuzioni di massa nei territori occupati dell'est, delle fosse comuni, di quanto accadeva nei campi di sterminio, dell'uso del gas Zyklon b e persino degli esperimenti su cavie umane. Non solo sapevano, ma in diversi casi collaborarono attivamente a quei crimini, senza porsi troppe domande. Anche Knopp attinge a questa fonte primaria e ulteriori conferme sono venute da documenti inediti cui l'autore ha potuto accedere negli archivi di Paesi dell'Europa orientale finalmente resi disponibili e dai racconti di reduci e testimoni diretti.
La ricostruzione presentata nel volume, proposta in forma divulgativa ma non per questo meno accurata, prende le mosse dalla riforma dell'esercito dopo la presa del potere da parte di Hitler, quando la vecchia Reichswehr - la "difesa del Reich" che di lì a poco avrebbe cambiato nome in Wehrmacht - invece di giurare fedeltà alla costituzione, come aveva fatto fino ad allora, rese il suo impegno di fedeltà personalmente al führer.
"Fu una scelta dalle conseguenze fatali", annota Knopp che aggiunge: "La diffusa voglia di rivincita dopo la sconfitta del 1918 agevolò al nuovo capo dello Stato il compito di vincolare a sé, con giuramento, i vertici della Reichswehr. La condotta di certi alti ufficiali dimostra che i teoricamente "apolitici" professionisti della armi non trovarono nulla da ridire sull'incondizionata volontà di conquista di Hitler. Gli incerti e i tentennanti all'interno degli alti comandi erano stati da tempo emarginati, e certi progetti di colpi di Stato, quali furono concepiti da Ludwig Beck e Franz Halder, si rivelarono, per difetto di opportunità di concretizzarli e soprattutto di determinazione, pura carta da macero".
In sostanza, la Wehrmacht sarebbe potuta essere l'unico centro di potere in grado di tenere testa al regime nazionalsocialista e persino di scalzarlo. Ciò che riuscì a unire i pochi uomini della resistenza militare tedesca, si legge, "fu la convinzione che lo Stato nazista costituisse un attentato amorale e malvagio alla coscienza del mondo, e che, se Hitler non fosse stato eliminato, la Germania sarebbe andata incontro a una catastrofe". Non sorprende che si trattasse non di militari di grado più elevato, ma di ufficiali intermedi. La loro iniziativa, proprio perché non appoggiata da almeno una parte dello Stato maggiore, fu destinata a fallire. Del resto Hitler, direttamente coinvolto in molte decisioni importanti, cercò di accattivarsi i generali, troppo presi a compiacere il capo e a fare carriera per trovare il coraggio di contraddirlo. "È assodato - afferma in proposito Knopp - che molti ottennero, in cambio del loro docile assenso, anche generose assegnazioni in denaro e veri e propri feudi".
Non sorprende, dunque, che la resistenza dei generali si dimostrò debole quando il führer ordinò di elaborare i piani per attaccare l'Unione Sovietica. Hitler espose la Wehrmacht a un azzardo perché l'azione non rispondeva a una logica militare. Ciononostante molti soldati credettero alla propaganda secondo cui si trattava di un'azione preventiva che anticipava un attacco sovietico. Le rapide vittorie iniziali illusero molti. Ma qui accadde un fatto nuovo. "Diversamente da quanto era avvenuto sul fronte occidentale e in Africa, alle spalle del fronte orientale - scrive lo storico - entrarono in azione gli Einsatzgruppen, i gruppi di intervento delle ss che si dedicavano alla caccia all'uomo, specialmente ebrei. L'invasione della Russia, che molti soldati documentarono con le loro cineprese, seguì la logica della guerra totale: fucilazioni di ostaggi, saccheggio del territorio, popolazione trattata come un nemico. E fu questa la guerra in cui anche le unità della Wehrmacht si macchiarono di numerosi crimini".
Secondo calcoli prudenti almeno il cinque per cento dei soldati dell'esercito partecipò all'esecuzione delle atrocità e quindi, soltanto sul fronte orientale, furono circa mezzo milione di uomini. "Vi furono tuttavia - rileva Knopp - singoli casi di uomini che seppero evitare di eseguire ordini criminali". Come il tenente colonnello Heinz Drossel, che si rifiutò di obbedire all'ordine di fucilazione immediata dei commissari politici dell'Armata Rossa fatti prigionieri. "Il loro esempio - aggiunge - dimostra che, nonostante tutto, vi fu sempre spazio per far valere l'umanità. Sono gli eroi silenziosi di una perfida guerra".
Una guerra che vide i soldati della Wehrmacht condannati da Hitler a difendere fino all'ultimo col sangue, contro ogni logica militare visto che la sconfitta era certa, ogni centimetro di suolo tedesco. Ma di fronte alla scelta di combattere fino alla fine cui aderirono la maggior parte delle unità Knopp si chiede: lo fecero "ubbidendo a un'etica militare tuttora non intaccata, per timore di andare incontro a un destino peggiore nella prigionia sovietica o per paura della vendetta dopo tutti i crimini commessi dai tedeschi?". Quale che sia la risposta, chiosa lo storico, "morte, distruzione, sofferenze: tutto ciò che questo esercito aveva arrecato al mondo si ritorse infine contro le sue stesse file. Infliggendo ferite che ancora oggi fanno male".
(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2010)