Roma - «Non risulta alcun coinvolgimento personale del Servo di Dio Giovanni Paolo II nel procedimento nei confronti del Rev. Padre Marcial Maciel Degollado LC, fondatore dei Legionari di Cristo». Le lettera riservata (protocollo n. 147/05 - 14478) porta la data del 17 novembre 2007 ed è firmata dal cardinale statunitense William Levada, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il successore di Ratzinger alla guida dell’ex Sant’Uffizio. Un foglio che rappresenta a tutt’oggi l’unico documento nel processo di beatificazione di Papa Wojtyla riguardante l’esplosivo e spinosissimo caso degli abusi perpetrati dal fondatore dei Legionari di Cristo e più in generale gli scandali della pedofilia.
Alcuni ex seminaristi dei Legionari di Cristo avevano inviato lettere a Giovanni Paolo II già nel 1978 e poi nel 1989, raccontando di abusi. Singole segnalazioni, che con ogni probabilità non erano arrivate sul tavolo del Pontefice. È nel febbraio 1997 che ben otto di loro si decidono a raccontare a un giornale i gravissimi peccati del loro «padre» fondatore. Descrivono i ripetuti abusi e anche il fatto che padre Maciel era solito assolverli in confessionale dopo aver avuto rapporti sessuali con loro. Il 17 ottobre 1998, alcune delle vittime si erano decise a presentare una richiesta formale alla Congregazione per la dottrina della fede, consegnando nelle mani dell’allora sottosegretario Girotti un fascicolo con l’intestazione: Absolutionis complicis. Arturo Jurado et alii. Rev. Marcial Maciel Degollado. L’inchiesta, però, non decolla. Troppo diffusa la buona fama del fondatore dei Legionari di Cristo, e soprattutto i suoi potenti alleati nei sacri palazzi. L’inchiesta vera e propria viene avviata per impulso di Ratzinger soltanto alla fine del 2004, pochi giorni dopo che Giovanni Paolo II, già gravemente ammalato, aveva ricevuto nell’aula Paolo VI i Legionari di Cristo e benedetto pubblicamente il loro fondatore. Nel 2006, un anno dopo essere divenuto Papa, di fronte agli esiti dell’inchiesta che dimostrano la colpevolezza di Maciel ormai vecchio e ammalato, Benedetto XVI lo fa isolare impedendogli di apparire in pubblico. Solo dopo la sua morte si scoprirà che oltre agli abusi sui seminaristi, si era costruito una doppia e tripla vita con compagne e famiglie in diverse parti del mondo.
Che cosa è avvenuto? Qualcuno ha rallentato l’inchiesta non ritenendo credibili i testimoni? E in che modo Papa Wojtyla era stato informato delle accuse? Questioni alle quali doveva rispondere il processo di beatificazione. Così, per affrontare questo tema, insieme a quello più generale «della crisi morale» che «coinvolse» la Chiesa negli Usa, il postulatore e il relatore della causa, hanno chiesto di vedere i documenti al riguardo. La Congregazione delle cause dei santi ha girato la richiesta all’ex Sant’Uffizio e il cardinal Levada ha risposto. Al primo quesito, «con riferimento al coinvolgimento personale del Servo di Dio Giovanni Paolo II in questo procedimento», il porporato americano risponde: «Al riguardo, l’unica risposta che questa Congregazione è in grado di fornire è la seguente: risultano alcune lettere e suppliche rivolte a Giovanni Paolo II dai denuncianti. Tuttavia non risulta alcun coinvolgimento personale del Servo di Dio nel procedimento nei confronti del Rev. Padre Marcial Maciel». Papa Wojtyla, insomma, non era coinvolto.
Il secondo quesito riguarda le misure per contrastare gli abusi «dopo la denuncia di alcuni casi di pedofilia e di omosessualità in alcune realtà ecclesiali con riferimento al coinvolgimento di Giovanni Paolo II nella soluzione di questi casi». Il cardinale Levada si limita a ricordare fatti già pubblici, vale a dire la decisione di annoverare gli abusi sui minori tra i delicta graviora, con la promulgazione nel 2001 del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, e il discorso che Papa Wojtyla tenne il 23 aprile 2002 ai cardinali degli Stati Uniti convenuti a Roma per discutere dello scandalo.
La lettera del Prefetto Levada, secondo quanto scrivono padre Daniel Ols e monsignor Slawomir Oder, rispettivamente relatore e postulatore del processo di beatificazione, «scioglie qualsiasi dubbio sulla nitidezza dell’atteggiamento del Servo di Dio» e «risponde direttamente a chi potrebbe insinuare una qualche forma di ambiguità della sua posizione». Anche se nessuno ha dubbi sulla santità personale del Pontefice polacco, Oltretevere c’è chi teme che quanto sta emergendo riguardo a Maciel e alle coperture di cui ha goduto nell’entourage vaticano possa far riaprire il dossier e rallentare l’iter della beatificazione. Eventualità che però al momento nessuno ha preso in considerazione.
© IL GIORNALE ON LINE