In fondo, non è che delle vittime interessi così tanto. Ciò che conta è  la «questione culturale», come dicono lorsignori, il risvolto politico e  ideologico della faccenda. In tutti i casi ci vanno di mezzo ragazzi o  ragazze minorenni? Segnati nella psiche sia che vengano seviziati da un  artista osannato o da un morboso prelato? Sì, va bene. Ma bisogna saper  distinguere: la perversione non è uguale per tutti. Tanto meno la legge.  Così, ora che anche la Corte d’appello di Los Angeles ha respinto la  richiesta di Roman Polanski a farsi processare in contumacia per lo  stupro della tredicenne Samantha Geimer avvenuto più di trent’anni fa,  prepariamoci a una seconda levata di scudi. A una nuova ondata di  solidarietà del mondo intellettuale, nouveaux philosophes e attori e  cineasti in prima fila a fare quadrato attorno al regista dell’Uomo  nell’ombra, fresco Orso d’argento al Festival di Berlino, in questi  giorni nei nostri cinema. E a dire che no, non ha senso processare un  genio, un artista, un premio Oscar.
Insomma, il bis dell’ottobre  scorso quando, sotto un appello in favore di Polanski, comparvero le  firme dell’Europa più à la page capeggiata dal ministro della cultura  francese Frédéric Mitterrand, un habitué dei rapporti con minori del  Terzo mondo, arricchita dalle prestigiose griffe di sei cineasti di casa  nostra (da Marco Bellocchio a Giuseppe Tornatore, da Michele Placido a  Monica Bellucci) e completate oltreoceano da quelle di David Lynch e  Woody Allen, del resto compagno della sua propria figlia adottiva.  Interrogato sulla questione, per esempio, Tornatore spiegò che Polanski  ha 77 anni ed è giusto che a «un uomo della sua età venga risparmiata la  sofferenza del carcere». Monicelli, invece, teorizzò la differenza di  trattamento tra il cineasta e il nostro premier perché «Berlusconi non  ha le qualità di sensibilità di Polanski».
Indulgenti con il regista  polacco violentatore di una tredicenne nel lontano 1978, lorsignori lo  sono per niente nei confronti di sacerdoti e vescovi, colpevoli di abusi  e molestie attuati e insabbiati in un passato spesso altrettanto  remoto. Ma in questi casi la spietatezza del giudizio, dissonante  rispetto al caso Polanski, non è certo frutto della partecipazione alle  sofferenze delle vittime. Se infatti l’indignazione nascesse dal rifiuto  della pedofilia e dalla difesa dei minori, in questi anni avremmo letto  inchieste e reportage anche sulla moda crescente del turismo sessuale  nei Paesi asiatici, volàno d’interi settori dell’economia non solo  locale. Invece, più che condannare la perversione diffusa dentro e fuori  la Chiesa, l’accanimento di media e intellettuali è volto a colpire  l’istituzione ecclesiale. Fino al punto di chiedere le dimissioni di  Benedetto XVI. Nientemeno.
Lo strabismo dei censori, inflessibili da  una parte e fricchettoni dall’altra, fa intendere che ci sono stupri e  stupri, sevizie e sevizie. La pedofilia di Polanski, per esempio, è  d’autore, artistica, quasi aristocratica. Insomma, una pedofilia di  classe, tutta diversa da quella che alligna nella Chiesa o chissà, tra i  politici, meglio ancora se di centrodestra. Sarebbe curioso, in  proposito, conoscere il pensiero di uno come Paolo Flores d’Arcais che  agli scandali sessuali che stanno scuotendo il Vaticano ha dedicato un  intero numero di  	Micromega e svariati interventi sul Fatto quotidiano. Oppure quello di  un altro astro nascente della sinistra giacobina come Luigi De  Magistris. Qualche giorno fa l’ex Pm ora eurodeputato dell’Italia dei  valori, ha chiesto che Ratzinger vada in tribunale a «rendere  testimonianza ai giudici tedeschi di quanto sa sui casi di pedofilia».  Ora che per Polanski si avvicina l’estradizione e probabilmente dovrà  abbandonare gli arresti domiciliari nel suo chalet di Gstaadt per  sottoporsi al processo in California, magari De Magistris ribadirà la  sua richiesta di far processare il Papa. 	
© Copyright Il Giornale 25 aprile 2010
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