Caro direttore,
ho letto con commozione la lettera del 30 marzo della signora che testimoniava l’aiuto avuto attraverso il sacramento della Confessione per superare il trauma di un abuso. Siamo tante. Nessuna di noi ama parlare del fatto. Chi non lo ha superato non vuol soffrire; chi l’ha superato ha intorno persone che preferisce tutelare. Io, per esempio, ho la fortuna di avere ancora mamma e papà anziani (anzi, vecchi) che non hanno mai saputo nulla e non intendo dar loro un dolore. Non ho parlato con loro allora. Ero piccola. Mi mancavano le parole per spiegarmi. Mi sentivo in colpa e sentivo in qualche modo che i miei preferivano non sapere. Ho dovuto perdonare anche loro perché nel mio intimo li accusavo di non avermi tutelata. È stato il primo passo del mio cammino di conversione: perdonare quell’ "amico"di famiglia e perdonare quelli che non avevano voluto sapere che cosa accadeva quando mi portava a spasso. Ero piccola. Piccolissima: i miei primi ricordi sono quelli e vi risparmio i particolari. Per fortuna ho dovuto fare la Prima Comunione. C’è voluto un po’ di tempo perché riuscissi a parlare. Ogni volta che andavo dal sacerdote per la Confessione dimenticavo di dire "quella cosa". "Quella cosa" che quel distinto signore mi raccomandava di non raccontare a nessuno. Poi ci sono riuscita. Avevo otto anni. Non so come abbia fatto il confessore a capire, ma so che subito ho trovato la forza di dire "no". Un "no" che ha spaventato quella persona, tanto che poi ha diradato le visite alla mia famiglia. Ogni giorno ringrazio il Signore per il dono dei sacramenti, per il dono dei sacerdoti, per il dono del perdono. Lo ripeto: siamo in tante. Diciamo grazie a tutti i preti che, nel silenzio, nel nascondimento e spesso nella sofferenza ci sanno ascoltare e permettono che la grazia di Dio ci avvolga e ci trasformi.
Laura
© Copyright Avvenire 22 aprile 2010
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