La  "festa della Terra" è nata negli anni ’70 saldando fissazioni  ecologiste e timore della bomba demografica La ricetta? Decrescita per i  Paesi ricchi e controllo delle nascite per il Terzo mondo. Un’ideologia  crudele
di Rino Cammilleri
Anche  quest’anno il pianeta è chiamato a festeggiare l’Earth Day, la Giornata  della Terra. Il nome stesso richiama l’ambientalismo politicamente  corretto e rievoca arcadiche immagini di bimbi che piantano nuovi  arboscelli nonché volenterosi volontari che gratis liberano le spiagge  dai rifiuti (ma non di rado si tratta di intere scolaresche, vittime  ignare, come in tutti i regimi, dell’ideologia egemone). I soliti  bastiancontrari penseranno, in questo 22 aprile, che, a furia di  celebrare «giornate» per questo e per quello, presto non ci sarà più  spazio nel calendario, così che (i più maligni sostengono) si dovrà  prima o poi abolire il Natale per far posto a Gea (che poi sarebbe il  sogno di ogni liberal -leggi: di sinistra- al mondo). Qui, oggi, ci  uniremo alla festa commemorando il Giorno della Terra a modo nostro,  magari spiegandone l’origine agli ignari. Infatti, alluvionati come  siamo ogni giorno da informazioni (poche quelle utili), il passato si  cancella automaticamente dal cervello man mano che serve spazio per  nuove nozioni. Così, finisce che, a orecchio, si pensa che l’Earth Day  sia roba dell’Onu, come tutti gli altri Day internazionali. Invece no,  l’Onu non c’entra niente. Non sappiamo se questa verità renda l’Earth  Day meno autorevole o più prestigioso: dipende dall’opinione che  ciascuno si è fatta dell’Onu. Alla ricerca di notizie sull’origine della  Giornata della Terra ci siamo imbattuti in un singolare articolo di  Riccardo Cascioli, direttore dell’osservatorio SviPop (Sviluppo &  Popolazione), specializzato nello smascherare le bufale ambientaliste.  Detto articolo si conclude con questa frase scioccante: «Liberi ora di  celebrare ancora la Giornata della Terra, ma almeno sapete che state  lottando per l’eliminazione di voi stessi». Ohibò. In effetti, Cascioli  svela la sospetta contiguità tra i due allarmi planetari che oggi  tengono banco, quello ecologico e quello demografico, un mix che finisce  col considerare l’uomo come «cancro della Terra» e unico responsabile  dell’inquinamento per il solo fatto di esistere -laddove per i sensati  non è lui il problema, bensì la soluzione. Ma andiamo con ordine. La  Giornata della Terra cominciò il 22 aprile 1970. Dove? Nei soliti Usa,  patria della libertà di espressione (e, dunque, anche di ogni idea  bislacca). I più anziani ricorderanno che già negli anni sessanta  Celentano lamentava musicalmente l’inquinamento e la cementificazione.  Infatti, i movimenti ecologisti già esistevano (sempre negli Usa) come  conseguenza dell’affermarsi dei «figli dei fiori». Non che in certi  posti, come Chicago, le auto di grossa cilindrata tipicamente americane e  il basso prezzo della benzina non avessero creato seri problemi di  respirabilità, ma non c’era ancora una coalizione ecologista in grado di  imporsi a livello nazionale prima e mondiale poi. A farla nascere  pensarono due personaggi ignoti, ancora oggi, al grosso pubblico:  Gaylord Nelson, senatore del Wisconsin, e Hugh Moore, miliardario.  Eppure il secondo è l’inventore dello slogan «Population bomb», quella  «bomba demografica» che all’inizio non interessava nemmeno a Pannella,  tanto che il suo autore dovette pubblicare a proprie spese nel 1956 un  opuscolo così intitolato. Grazie al senatore Nelson, che per anni si era  battuto -invano- perché il Senato Usa prendesse in considerazione  l’ambientalismo, detto opuscolo finì sul tavolo di tutti quelli che  contavano, non solo al governo ma anche nelle organizzazioni  internazionali, Onu in primis. Ma i tempi non erano maturi. Lo divennero  nel famigerato 1968, quando il biologo Paul Ehrlich sconvolse il mondo  -finalmente divenuto ricettivo- con un libro dallo stesso titolo: La  bomba demografica. Tradotto in quasi tutte le lingue e diffuso in  milioni di copie, il libro impose il «problema» al livello delle masse.  Non era tuttavia una novità, perché le teste d’uovo anglosassoni fin  dall’Ottocento, con le loro Società Eugenetiche, erano convinte che il  darwinismo andasse applicato alle società umane. E il controllo delle  nascite era la loro coperta di Linus. Fu però nei favolosi Sixties che  il progetto del senatore Nelson incontrò i soldi del miliardario Moore,  gran finanziatore di organizzazioni antinataliste. Si tenga anche  presente che, all’epoca, era ancora vivo il ricordo della Bomba Atomica  sul Giappone, e il rischio di una guerra nucleare con l’Urss era incubo  costante. Così, l’idea di un’altra «bomba» in grado di distruggere il  pianeta si rivelò vincente per l’immaginario collettivo. In tal modo  l’ambientalismo sposò l’antinatalismo; e il solito Moore, prolifico  creatore di slogan d’effetto, coniò anche il motto «la popolazione  inquina». In una decina d’anni l’alleanza fu perfezionata e i vari  Sierra Club, National Wildlife Federation, Worldwatch Institute, Natural  Resources Defense Council, Environmental Action si unirono con i  Population Crisis Committee, Population Reference Bureau, Planned  Parenthood, Zero Population Growth per fare pressione sul Congresso USA  affinché si attivasse onde «fermare la crescita» della popolazione  mondiale. Dai e dai, «sviluppo sostenibile», soprattutto del numero  degli abitanti del pianeta, divenne un modo di dire corrente e  indiscusso. Nacque allora la Giornata della Terra, i cui sponsor e  divulgatori sono uniti nell’indicare l’uomo come il vero nemico  dell’habitat: c’è, per questo inquina. La «crescita incontrollata della  popolazione» diventa la vera causa della «scomparsa delle foreste»  dell’«erosione del suolo» della «desertificazione», della «sparizione di  intere specie animali» e perfino del famoso «buco nell’ozono». Abbiamo  così il Worldwatch Institute che ogni anno pubblica il rapporto State of  the World, zeppo di allarmi su calamità imminenti (sempre regolarmente  smentite dai fatti) e causate indovinate da chi. Piaccia o no, questo è  ormai lo sfondo dato e non scalfibile sul quale si muovono le politiche  ambientali internazionali, Protocollo di Kyoto compreso. Il principio  ispiratore della famosa Agenda 21 (approvata al Summit della Terra, la  conferenza dell’Onu sull’ambiente a Rio de Janeiro nel 1992) e del  recente Vertice di Copenhagen è sempre lo stesso: limitare «l’impatto»  della presenza umana. Cioè: freno allo sviluppo nei paesi ricchi e  drastica riduzione delle nascite in quelli poveri. Anche se la storia  dimostra (e Cascioli insiste) che è vero l’esatto contrario: è la crisi  demografica il vero pericolo. Soprattutto per l’ambiente.
«Il  Giornale» del 20 aprile 2010