Jael è una ragazza di 15 anni e i genitori l’hanno messa in castigo. Fin qui tutto bene: è normale nel mondo degli adolescenti. Soltanto che non è normale il castigo che i genitori le hanno dato: non partecipare alle attività del sabato in parrocchia.
Il programma proposto ogni sabato include preghiera, catechesi e giochi. «Giochi nel vero senso della parola: andiamo tutti ad una grande palestra e ci organizziamo in squadre. E anche i preti giocano!», conferma Paula, 24 anni, catechista. «La catechesi non è solo venire qui a ricevere una lezione di regole e dottrina. È, soprattutto, coltivare un’amicizia tra tutti. E i giochi aiutano a costruire l’amicizia: i preti stanno lì, al nostro fianco, alcuni sono compagni di squadra, altri avversari… A volte, don Raffaele è l’arbitro e i giocatori si rivoltano contro di lui… è molto divertente!». Raffaele non gioca soltanto: con determinazione ha bussato agli uffici delle autorità cittadine ed è riuscito ad ottenere che i suoi centinaia di ragazzini potessero giocare nella palestra della scuola.
Paula è una delle giovani catechiste che aiutano i preti della Fraternità san Carlo nella parrocchia di Alverca, una città-dormitorio nella periferia di Lisbona. È laureata in Chimica e lavora a Lisbona con un assegno di ricerca, ma dedica il suo tempo libero alla parrocchia: venerdì partecipa alla scuola di comunità dei liceali, sabato mattina fa la catechista e partecipa ai giochi, domenica mattina canta nel coro dei giovani e al pomeriggio partecipa alla scuola di comunità coi lavoratori della sua età.
«Non passi troppo tempo in cose legate alla Chiesa?». La domanda sorge spontanea. Ma Paula non esita a rispondere: «Mi piace molto stare qui. Siamo tutti capaci di gestire il nostro tempo quando sappiamo cosa vogliamo. Io voglio essere felice e qui sono felice, ho la possibilità di vivere la mia vita in una maniera diversa. Qui ci sono sempre molti giovani che passano per la parrocchia, anche i preti passano molto tempo con la gente, sono sempre disponibili».
Infatti, la presenza della chiesa dei Pastorelli (Igreja dos Pastorinhos) non passa inosservata. Il suo carillon è il secondo più grande d’Europa e il magnifico suono delle sue campane ha cominciato a far parte del quotidiano di Alverca. La chiesa, inaugurata il 1 maggio del 2005, è l’unica del Portogallo dedicata ai giovani veggenti di Fatima, Francisco e Jiacinta Marto. Situata nel cuore della città, la chiesa è sempre piena. Anche nei giorni feriali.
Don José Maria, portoghese, è stato artefice della nuova chiesa e parroco dal 1997 all’aprile 2010. Oggi è parroco Luis Miguel Hernández.
Le influenze anti-clericali della Prima Repubblica (1910) e più tardi delle idee comuniste che seguirono alla Rivoluzione del 25 aprile 1974 portarono all’allontanamento graduale dei portoghesi dalla pratica religiosa. La crisi degli anni ’70 toccò anche la vita interna della Chiesa e due parroci di quel periodo, ad Alverca, abbandonarono il sacerdozio.
«Io non frequentavo la Chiesa, ma ho iscritto i miei figli alla catechesi. Attraverso mia figlia mi sono riavvicinata», ricorda Cristina, 40 anni. «Visto che non sapevo rispondere alle domande che lei mi poneva, decisi di iscrivermi alla catechesi per adulti, feci la prima comunione e la cresima. È stata la più bella cosa che mi sia capitata: la mia vita è cambiata. Avevo un vuoto dentro di me, che ora è scomparso». La nuova chiesa è sempre aperta e invita ad entrare. «Qui mi sento come a casa mia e il fatto che la chiesa sia dedicata ai pastorelli, la rende anche molto attrattiva per i bambini», conclude Cristina, che ora fa la catechista dei più piccoli.
«Qui tutti i dettagli sono importanti. E la bellezza dei gesti mi ha sempre colpito. Si percepisce come questi sacerdoti si preoccupano di arrivare alle persone, di ascoltarle, accompagnarle», afferma Mariana. È una delle catechiste che prepara gli adulti al battesimo, alla prima comunione e alla cresima. «Arrivano qui senza sapere nulla, proprio come pagani», commenta sorridendo, «ma, dopo aver seguito il corso, rimangono nella Chiesa e proseguono il cammino frequentando la “scuola di cristianesimo”, tutti i mercoledì sera. Giungono a considerare questa come casa loro. E anch’io, che vengo appositamente da Lisbona per aiutare nella catechesi, mi sento parte di questa casa», spiega Mariana.
Ma perché? Perché Mariana lascia i suoi figli e nipoti a Lisbona, per dedicarsi al lavoro in una parrocchia lontano da casa? «È un luogo dove c’è vita», spiega. «Con i quattro sacerdoti imparo a prestare attenzione all’umano, a dare valore a tutti i fattori del reale. Non è che questa parrocchia abbia storie straordinarie da raccontare, ma è una parrocchia dove le cose banali diventano eccezionali». (traduzione di Matteo Dall’Agata)
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