La santità della Chiesa sta in quel potere di santificazione che Dio esercita malgrado la peccaminosità umana. Ci imbattiamo qui nella caratteristica propria della Nuova Alleanza: in Cristo, Dio si è spontaneamente legato agli uomini, si è lasciato legare da loro. La Nuova Alleanza non poggia più sulla mutua osservanza di un patto, ma viene invece donata da Dio come grazia, che permane anche a dispetto dell'infedeltà dell'uomo. Dio continua, nonostante tutto, a essere buono con lui, non cessa di accoglierlo proprio in quanto peccatore, si volge verso di lui, lo santifica e lo ama.
In virtù del dono del Signore, mai ritrattato, la Chiesa continua a essere quella che egli ha santificato, in cui la santità del Signore si rende presente tra gli uomini. Ma è sempre realmente la santità del Signore che si fa qui presente, e sceglie anche e proprio le sporche mani degli uomini come contenitore della sua presenza. Questa è la figura paradossale della Chiesa, nella quale il divino si presenta così spesso in mani indegne. [...] Lo sconcertante intreccio di fedeltà di Dio e infedeltà dell'uomo, che caratterizza la struttura della Chiesa, è la drammatica figura della grazia. [...] Si potrebbe dire addirittura che la Chiesa, proprio nella sua paradossale struttura di santità e di miseria, sia la figura della grazia in questo mondo.
Invece, nel sogno umano di un mondo salvato, la santità viene immaginata come un non essere toccati dal peccato e dal male, un non mescolarsi con esso. [...] Nell'odierna critica della società e nelle azioni in cui essa sfocia, questo tratto spietato, che molto spesso contraddistingue gli ideali umani, è anche troppo evidente. Ciò che veniva percepito come scandaloso della santità di Cristo, già agli occhi dei suoi contemporanei, era proprio il fatto che ad essa mancava del tutto questo aspetto di condanna: il fatto che egli non faceva scendere il fuoco su chi era indegno, né permetteva agli zelanti di strappare dal campo la zizzania che vi vedevano crescere. Al contrario, la santità di Gesù si manifestava proprio come mescolarsi con i peccatori, che egli attirava a sé; un mescolarsi fina al punto di farsi egli stesso "peccato", accettando la maledizione della legge nel supplizio capitale: piena comunanza di destino con i perduti (cfr. 2 Corinzi 5, 21; Galati 3, 13). Egli ha preso su di sé il peccato, se ne è fatto carico, rivelando così che cosa sia la vera santità: non separazione ma unificazione; non giudizio ma amore redentivo.
Ebbene, la Chiesa non è forse semplicemente la prosecuzione di questo abbandonarsi di Dio alla miseria umana? Non è forse la continuazione della comunione di mensa di Gesù con i peccatori, del suo mescolarsi con la povertà del peccato, tanto da sembrare addirittura di affondare in esso? Nella santità della Chiesa, ben poco santa rispetto all'aspettativa umana di assoluta purezza, non si rivela forse la vera santità di Dio che è amore, amore però che non si tiene arroccato nel nobile distacco dell'intangibile purezza, ma si mescola con la sporcizia del mondo per così ripulirla? Tenendo presente questo, la santità della Chiesa può mai essere qualcosa di diverso dal portare gli uni i pesi degli altri, che ovviamente scaturisce per tutti dal fatto che tutti vengono sorretti da Cristo? [...]
In fondo, è sempre all'opera un malcelato orgoglio quando la critica alla Chiesa assume quel tono di aspra amarezza che oggi incomincia ormai a diventare un gergo usuale. A essa, purtroppo, si aggiunge poi sin troppo sovente un vuoto spirituale, in cui non si scorge assolutamente più lo specifico della Chiesa, sicché essa viene considerata soltanto come una formazione politica che persegue i suoi interessi, e se ne percepisce l'organizzazione come miseranda o brutale, quasi che la peculiarità della Chiesa non stia oltre l'organizzazione: nella consolazione della Parola di Dio e dei sacramenti che essa assicura nei giorni lieti e tristi. I veri credenti non danno mai eccessivo peso alla lotta per la riorganizzazione delle forme ecclesiali. essi vivono di ciò che la Chiesa è sempre. E se si vuole sapere che cosa sia realmente la Chiesa, bisogna andare da loro. La Chiesa, infatti, non è per lo più là dove si organizza, si riforma, si dirige, bensì è presente in coloro che credono con semplicità, ricevendo in essa il dono della fede, che diviene per loro fonte di vita. [...]
Ciò non vuol dire che bisogna lasciare sempre tutto così com'è e sopportarlo così com'è. Il sopportare può essere anche un processo altamente attivo, un lottare per far sì che la Chiesa sempre più diventi essa stessa capace di sorreggere e sopportare. La Chiesa, infatti, non vive che in noi, vive della lotta di chi non è santo per la santità, come del resto tale lotta vive, a sua volta, del dono di Dio, senza il quale non sarebbe nemmeno possibile. Ma la lotta risulterà fruttuosa, costruttiva, soltanto se sarà animata dallo spirito del sopportare, da un autentico e reale amore.
Eccoci così arrivati anche al criterio al quale deve sempre commisurarsi la lotta critica per una migliore santità: questa lotta non solo non è in contrasto con il sopportare, ma è da esso esigita. Questo criterio è il costruire. Una critica amara, capace solo di distruggere, si condanna da sé. Una porta violentemente sbattuta può sì essere un segnale che scuote coloro che sono dentro, ma l'illusione che si possa costruire più nell'isolamento che attraverso la collaborazione è appunto un'illusione, esattamente come l'idea di una Chiesa "dei santi" invece di una Chiesa "santa", la quale è santa perché il Signore elargisce in essa il dono della santità, senza alcun merito da parte nostra.