La Cina è oggi un paese
economicamente emergente. Dopo i
disastri umani ed economici di Mao, la
politica di Deng Xiaoping ha lanciato il
paese verso il progresso economico. A
costo, sempre, di milioni di vittime dello
sfruttamento e dei Laogai. Ma la Cina non
è solamente un colosso economico in
ascesa. E’, secondo alcuni osservatori, il
futuro della Cristianità. Il rapporto tra
Cina e cristianesimo è lungo e
tormentato: oggi è il governo comunista a
stabilire cosa la gente deve credere e
fare; un tempo era l’imperatore,
considerato una divinità, a decidere quali
culti potessero essere ammessi, e quali
no. Questo ha determinato momenti di
grande apertura della Cina al
cristianesimo, e momenti di forte
persecuzione. Il primo a interessarsi a
questa religione degli occidentali è forse
il gran khan Qubilay, di origine tartara,
che chiede ai Polo di ritornare in Cina
con cento “saggi d’occidente”, per farsi
insegnare la loro religione, ma anche le
loro scienze e la loro tecnica. Ma
l’aspettativa di Qubilay non ha seguito. Il
tentativo di penetrare nuovamente in
Cina viene perseguito da Francesco
Saverio, l’amico di Ignazio di Loyola. Un
uomo bruciato dall’amore di Cristo, che
“in undici anni e otto mesi navigò per tre
anni e sette mesi percorrendo quasi
62.000 chilometri, per una media di
sessanta chilometri al giorno”. Ma la
speranza di Saverio di convertire la Cina
non si realizza: entrare nel grande
impero non è facile, per la difficoltà della
lingua e per la chiusura degli abitanti.
Sempre, dal Seicento al Novecento,
missionari cristiani riferiranno di essere
stati apostrofati allo stesso modo:
“Diavoli stranieri”. E’ Matteo Ricci, un
gesuita marchigiano, a penetrare nel
cuore del paese, divenendo un
personaggio ammirato e stimato. Ricci ha
studiato al Collegio romano dei Gesuiti,
l’università scientifica dell’epoca, quella
che ha lanciato Galilei riconoscendo per
prima le sue scoperte del Sidereus
Nuncius. Il visto d’ingresso che gli
permetterà di entrare nell’Impero è un
orologio, che desta l’ammirazione e
l’accoglienza entusiasta dell’élite cinese.
Ricci sbalordisce i suoi ospiti mostrando
marchingegni meccanici, fabbricando
astrolabi, carte geografiche,
mappamondi, sfere armillari, prismi,
quadranti solari. Insegna loro che
l’impero cinese non è né il centro del
mondo, né quasi l’unica terra esistente,
come loro ritengono; traduce Euclide,
insegna l’astronomia, la cartografia e le
altre conoscenze scientifiche europee,
facendo fare alla Cina dei Ming un
enorme balzo in avanti. Per tutto questo i
cinesi lo apprezzano. Lui li considera
colti ed intelligenti, e scrive che “gli
abitanti sono i più industriosi del
mondo”. Difficile, invece, comunicare sul
piano religioso: i cinesi non
comprendono la sua venerazione per una
donna, la Madre di Cristo, tanto che Ricci
è costretto a togliere una icona della
Madonna dalla sua camera, per non
sentire più dire: “Questi barbari con la
tunica hanno una donna come Dio” (Paul
Dreyfus, “Matteo Ricci, uno scienziato
alla corte di Pechino”, San Paolo). Il
difetto dei cinesi, dice Ricci, è che
“l’Impero di mezzo è un paese senza Dio”,
in cui il potere dei mandarini compie
ogni sorta di soprusi, e pullulano
l’infanticidio, il suicidio, e “il peccato
contro natura”. Quattrocento anni dopo, il
francese Jean Jacques Matignon ribadirà
le critiche di Ricci, stigmatizzando nella
cultura cinese la facilità del ricorso al
suicidio, l’infanticidio e la pedofilia
“estremamente diffusa nell’Impero di
Mezzo”. Dopo Ricci va segnalata l’attività
del gesuita trentino Martino Martini, di
cui è appena uscita una bella biografia di
Giuseppe Longo: “Il gesuita che disegnò
la Cina”. Martini è l’autore di un atlante
che “rimase per quasi due secoli l’opera
di riferimento per la geografia della
Cina”. Questo missionario, che parla
italiano, tedesco, portoghese, latino e
cinese classico, e che regala ai suoi ospiti
traduzioni di Cicerone, Aurelio, Seneca,
cerca punti in comune tra la sua religione
e la cultura del luogo: loda la morale di
Confucio e afferma che il Maestro aveva
riconosciuto la presenza di un Essere
Supremo. Le vicende di Ricci e Martini
sono esemplari per capire come di norma
l’Occidente si è relazionato nei secoli con
le altre culture: le ha incontrate con i suoi
commercianti, accompagnati però, talora,
dagli eserciti, ma soprattutto con i suoi
missionari. Sono stati quasi sempre
questi ultimi a creare un dialogo, convinti
di avere di fronte popoli da convertire a
Cristo, cioè fratelli da amare. Non è mai
esistito, nel rapporto tra i missionari e i
popoli non europei, quel “razzismo
scientifico” che caratterizzerà parte del
pensiero laico e colonizzatore nostrano;
neppure sono esistiti quegli interessi
economici e politici che hanno generato
guerre e conflitti. Ricci, Martini e altri
missionari porteranno ai cinesi il meglio
della civiltà europea (scienza, scuole,
ospedali e orfanatrofi) e otterranno
amore e ammirazione. La ricambieranno
divenendo “cinesi con i cinesi”. Ma non
sarà sempre così. Altri missionari non
verranno compresi, perché portatori di
un culto verso un “uomo inchiodato”, un
“criminale” nato da una “donna
barbara”; ma, soprattutto, perché confusi,
in alcuni momenti storici, con gli
speculatori e i predatori europei, di cui
pagheranno spesso, con la vita, le colpe.
Ne riparleremo.
Francesco Agnoli
© Copyright Il Foglio 6 maggio 2010