DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

DA 400 ANNI ENRICO IV CI FA LEZIONE

MARCO RONCALLI

P
arigi, rue de la Ferronnerie, pomeriggio del 14 maggio 1610. Una carrozza sale per la via del quartiere Les Halles e si vede sbarrare la strada da due carrette. All’improvviso sbuca un uomo armato di pugnale che si spinge dentro la carrozza e colpisce uno degli occupanti uccidendolo. L’assassino è un fanatico cattolico: François Ravaillac. La vittima: Enrico IV, re di Francia e di Navarra. Il celebre episodio, ora al centro di un libro di François Pernot sul regicidio ('Qui a vraiment tué Henri IV?', edito da Larousse) e di alcune mostre, come quella nel castello di Pau, dove il re era nato, che da luglio si trasferirà al Museo delle Cappelle Medicee di Firenze (s’intitola 'Parigi val bene una messa', la frase mai pronunciata attribuita all’ugonotto Enrico IV, che si era dovuto convertire al cattolicesimo per salire al trono di Francia), merita anche un ricordo per altri motivi. Quattro secoli fa, infatti, veniva ucciso un re che, debolezze di 'sciupafemmine' a parte (dopo le annullate nozze senza prole con Margherita di Valois, sposò Maria de’ Medici, dalla quale ebbe sei figli, cui se ne aggiunsero altri nove illegittimi, ma legittimati successivamente), segnò non solo le arti (lo 'stile Enrico IV'), ma pure le idee del suo tempo: specie con l’editto di Nantes del 30 aprile 1598. Con questo famoso decreto il re poneva fine alle guerre di religione fra cattolici e protestanti francesi mirando a stabilire «una buona pace» dopo decenni di massacri 'in nome di Dio'. Un testo che ufficializzò di fatto per la prima volta la coesistenza di due confessioni in un regno dell’Europa del 'cuius regio eius religio': un passo in avanti sulla strada della libertà religiosa. Anche se i suoi limiti risultano evidenti (si è lontani dall’assoluta parità di ogni confessione), anche se si rivelò di fragile tenuta (la decisione «perpetua e irrevocabile» fu annullata dal nipote Luigi XIV meno di un secolo dopo), l’appello alla coscienza risuona qui con accenti moderni. Si può aggiungere che i principi di tolleranza religiosa – e di parità di diritti civili – s’imposero anche per esigenze economiche e politiche (è la tesi di Harold J. Laski sulle origini del liberalismo europeo), ma fanno pur riflettere queste righe di quattrocento anni fa: «Ora che piace a Dio cominciare a farci godere un po’ di maggior quiete, abbiamo stimato di non poterla meglio impiegare se non occupandoci di ciò che riguarda la gloria del suo santo nome e servizio, e provvedendo che egli possa essere adorato e pregato da tutti i nostri sudditi; e se non è piaciuto a lui permettere ancora che ciò avvenga in una comune forma e religione, avvenga almeno con la stessa intenzione e con regola tale che non accadano per le differenze dì culto disordini e tumulti…». Insomma per usare le parole del cardinale Camillo Ruini nell’omelia in San Giovanni alla messa del 13 dicembre 2004 per la prosperità della Francia (clausola di una donazione al Capitolo lateranense voluta proprio da Enrico IV nel 1604): «Non si tratta di canonizzare Enrico IV, di farne un santo, un martire. Ma forse questo sovrano può offrire una lezione ai nostri tempi, quella della tolleranza e della ricerca della pace». Una lezione da non dimenticare.