DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Fatima. Nel santuario della libertà. Di Luca Doninelli


Tra qualche giorno, Benedetto XVI visiterà il luogo dove, nel 1917, la Madonna apparve a tre bambini. Per incontrare un popolo intero attraverso il loro «sì». E la loro umanità. Abbiamo chiesto a un amico scrittore di andarci per noi. Ecco il suo racconto

Lisbona è una città bellissima e tragica: non a caso la sua musica si chiama fado, ossia fato - che non vuol dire solo destino ma destino oscuro, indecifrabile. In questo estremo lembo occidentale del Vecchio Continente si concludevano i sogni di tutti i popoli antichi e delle loro interminabili migrazioni dalla lontana Asia; da qui il sogno ricominciava e uomini di inaudito coraggio affrontavano lo sconosciuto oceano in cerca di qualcosa di più. Il di più, l’eterno “di più” che tutti cerchiamo, sempre.
Lisbona è una città illuminista, con molti tratti che ricordano l’impettita architettura tedesca, perché così la volle dopo il terremoto del 1755 un potere fortemente dominato da istanze massoniche. Le ideologie diventano più intransigenti e ottuse quando vengono esportate.
La città si spiega al turista nei suoi colori chiari, le sue tinte tenui che però non mettono allegria bensì una specie di struggimento per qualcosa che quella finta spensieratezza sembra.
Mi trovo a Lisbona per raggiungere Fatima, dove il Papa si recherà tra poche settimane. È una giornata molto piovosa: scrosci rabbiosi che sono come spruzzi di onde infrante. Le chiese sono aperte, e dentro c’è sempre qualcuno. Mi colpisce il fatto che, a differenza dell’Italia, qui i frequentatori sono di tutte le età, giovani, mamme con bambini, uomini in giacca e cravatta forse in pausa tra un appuntamento di lavoro e l’altro.
È così, con questa osservazione apparentemente marginale, che mi raggiunge l’avvenimento di Fatima. Durante la messa, mi sembra di capire un aspetto di questo avvenimento: si tratta infatti di qualcosa di personale, qualcosa che tocca la persona. Spesso la religione si manifesta nella forma di un risveglio generale, di una devozione collettiva. Ma la vera natura del cristianesimo si manifesta come avvenimento personale.

Il sole e la Signora. Fu a tre bambini, tre pastorelli, che il 13 maggio del 1917 Maria apparve per la prima volta in una località detta Cova da Iria (Conca della Pace), dove oggi sorge la Cappella, a fianco del Santuario in cui sono sepolti i protagonisti di questo fatto. Le visioni si protrassero fino al mese di ottobre.
Posto al centro di una cittadina cresciuta disordinatamente (come spesso accade), il Santuario - preceduto da un immenso piazzale oggi chiuso, sul lato opposto, da un’enorme chiesa di recente costruzione, che ha suscitato molte polemiche - ha la tipica grandiosità dei Paesi che conoscono la povertà, niente a che vedere con Lourdes, così sapientemente immersa nella ben sorvegliata natura francese.
I tre bambini si chiamavano Francisco e Jacinta Marto - il primo di quasi nove anni, la seconda di sette - e Lucia Dos Santos, di dieci. Mentre giocavano videro quello che sulle prime sembrava il lampo di un temporale.
Lucia, la più grande, consiglia agli amici di smettere di giocare e di tornarsene tutti a casa. Ma mentre scendono il pendio ecco, in prossimità di un leccio, un altro lampo, e in quell’istante vedono, sull’albero, una bellissima Signora vestita di bianco, con le mani giunte e in esse un rosario la cui corona scendeva lungo l’abito.
L’apparizione suscita la sorpresa dei bambini, ma nessuna paura. Questa Signora era «più luminosa del sole, diffondendo una luce più chiara e intensa d’un bicchiere di cristallo pieno d’acqua cristallina attraversato dai raggi del sole più ardente» (suor Lucia, Memorie). A conversare con la Signora è soltanto Lucia: Jacinta può solo ascoltare quello che dice, mentre Francisco può soltanto vederla, e le sue parole gli verranno riferite successivamente.
C’è qualcosa di familiare in questo metodo, qualcosa che rispetta completamente l’uomo e la sua natura, a differenza dell’égalité che è l’uguaglianza di Procuste, della ghigliottina e di Pol Pot, ossia dell’orrore. Qui l’annuncio si lega alla comunicazione umana, all’affezione di questi tre ragazzi, alla loro amicizia umana. Le parole della Signora vengono riferite a Francisco dalla bocca delle sue piccole amiche, il Mistero si comunica attraverso la povera umanità. È così che il mondo cambia.
Durante questa prima apparizione la Signora apre le mani e una grande luce investe i tre bambini, «facendoci vedere noi stessi in Dio, che era quella luce, più chiaramente di come ci vediamo nel migliore degli specchi» (ibid.).
Nell’apparizione di giugno, la Signora annuncia che presto Jacinta e Francisco andranno in cielo, mentre Lucia dovrà restare più a lungo sulla terra. Lucia si rattrista non tanto perché i suoi amici moriranno, ma perché lei dovrà restare sola. Perché Dio ci dona questa compagnia, questo conforto per la nostra vocazione umana, ma soltanto per così poco tempo? Perché tutto ciò che è bello deve finire così presto?
La Signora è partecipe di questa tristezza, la comprende bene, ma promette alla bambina di esserle sempre vicina. È l’apoteosi della libertà umana: all’uomo non basta nemmeno avere «visto se stesso in Dio» se questa, che è la ragione suprema delle cose, non riceve l’imprevedibile soccorso della libertà umana.
Le apparizioni alla Cova da Iria sono il 13 di ogni mese. La fama delle apparizioni si è sparsa e fin dalla seconda volta un numero sempre maggiore di persone assiste alla visione dei pastorelli. La cosa preoccupa l’autorità civile, tanto che il sindaco, dopo averli minacciati, li imprigiona: vorrebbe costringerli a confessare che è una truffa, cerca anche di ingannarli dicendo a ciascuno che gli altri due hanno già confessato, ma alla fine sul verbale non riesce a scrivere niente. I tre bambini non possono negare di avere visto ciò che hanno visto. Per questo l’apparizione di agosto ha luogo il giorno 19 e non il 13, come gli altri mesi.
Leggendo le memorie di suor Lucia appare evidente che i tre bambini, dalla prima apparizione all’ultima, compiono un importante cammino di consapevolezza. Sono bambini come gli altri, ciascuno con il suo carattere: riflessiva Lucia, furba e un po’ vezzosa Jacinta, ingenuo Francisco. Tre bambini che continueranno a essere tali sempre: condurranno le pecore al pascolo, giocheranno al gioco dei bottoni e dovranno fare talvolta i conti con l’incredulità dei compagni di giochi.

La finestra e il sacrificio. Eppure il loro cammino personale è chiaro come il sole. Quando, durante le ultime apparizioni, sono quasi assediati da una quantità enorme di poveri, malati, infelici ma anche di semplici curiosi, ecco i pensieri e i gesti di cui, nonostante il fastidio, sono capaci. Scrive suor Lucia: «Là si vedevano tutte le miserie della povera umanità; alcuni gridavano perfino da sopra gli alberi e i muri, ove salivano per vederci passare. Dicendo agli uni di sì, stringendo la mano ad altri per aiutarli a levarsi dalla polvere della terra, avanzammo adagio adagio, con l’aiuto di alcuni signori che ci aprivano il varco in mezzo alla folla. Adesso, quando leggo nel Nuovo Testamento quelle scene incantevoli del passaggio di Gesù nella Palestina, mi ricordo di queste a cui il Signore, benché ancor così bambina, mi fece assistere nei poveri sentieri e strade da Aljustrel a Fatima e alla Cova da Iria. E ne ringrazio Dio, offrendoGli la fede del nostro buon popolo portoghese. E penso: se questa gente si prostra così davanti a tre poveri bambini, soltanto perché a loro è concessa misericordiosamente la grazia di parlare con la Madre di Dio, cosa non farebbero se vedessero davanti a loro Gesù Cristo stesso?».
Dopo tanti anni, Lucia si commuove davanti al dilatarsi di un dono: lei, che ha visto, non è che una «povera bambina» stupita dalla fede del «buon popolo portoghese», che si prostra dinanzi a ciò che non vede. La dinamica della ragione connessa alla fede è quasi più evidente in questa povera gente che nemmeno nei tre bambini.
Ma, prima di parlare del Segreto di Fatima (che ha fatto dire ad Antonio Socci che Maria è «il più grande politologo del Novecento»), vorrei soffermarmi ancora su questi bambini. Chi mi ha guidato nei due memorabili giorni della mia visita a Fatima mi ha condotto a visitare le case dei pastorelli.
I due fratellini furono colpiti dalla febbre spagnola nel 1919, Francisco morì in quello stesso anno dopo aver ricevuto la Prima Comunione, mentre Jacinta dapprima guarì, ma uno strascico della malattia le provocò un’infezione pleurica dolorosissima, per la quale fu persino ricoverata a Lisbona, dove morì nel 1920.
Il racconto di Lucia ci parla della malattia dei suoi cuginetti, delle loro camere sempre piene di gente - bambini ma anche adulti - che non si voleva staccare da loro. Nella camera di Francisco la gente andava a lavorare (tessitura), i bambini si sistemavano ai piedi del suo letto e giocavano. Gli veniva portato il latte caldo, che lui non poteva bere senza grandi sofferenze, ma lo beveva pensando ai peccatori che quel suo sacrificio avrebbe potuto salvare. Ho visto la finestra che Francisco guardava dal letto di morte.

Il dono di un Altro. Anche di Jacinta suor Lucia parla a lungo. Perfino il suo letto di Lisbona era meta di pellegrinaggi. La bambina rispondeva sempre educatamente a tutte le domande che le venivano rivolte, e nonostante le enormi sofferenze si mantenne sempre serena. Nelle sue parole si ha l’impressione che percepisca il proprio corpo niente più che come il dono di Qualcun altro, che ora questo Qualcuno sta per toglierle.
Oggi del Segreto di Fatima conosciamo tutte e tre le parti: la prima, conseguente alla visione delle anime dell’inferno, contiene la predizione della Seconda Guerra mondiale e l’esortazione di Maria affinché la preghiera e la penitenza incessanti impediscano ad altre anime di finire in mezzo ai patimenti eterni. La seconda, riguardante la Russia e il suo errore, destinato a propagarsi funestamente su tutta la terra (parole pronunciate prima della Rivoluzione d’Ottobre) fino a che la Russia non si convertirà e verrà consacrata - dal Papa con tutti i Vescovi - al Suo Cuore Immacolato. La terza - comprendente la visione dell’Uomo vestito di bianco che sale un monte, s’inginocchia davanti alla croce e, lì, viene ucciso insieme con tutti i Vescovi, mentre due angeli raccolgono il sangue di questo martirio e ne cospargono il popolo dei fedeli - fu rivelata nel 1944 da una lettera di suor Lucia, che fino a quel momento aveva ritenuto di doverlo tacere, e comunicata al mondo solo nel 2000 da Giovanni Paolo II.

Il sigillo di un incontro. Sull’interpretazione del Segreto valgono per sempre le parole scritte dall’allora cardinale Ratzinger, con la celebre conclusione: «La fede cristiana non vuole e non può essere pastura per la nostra curiosità. Ciò che rimane l’abbiamo visto subito all’inizio delle nostre riflessioni sul testo del “Segreto”: l’esortazione alla preghiera come via per la “salvezza delle anime” e nello stesso senso il richiamo alla penitenza e alla conversione».
Sul significato delle parole “penitenza” e “sacrificio”, ci soccorre la visione dell’angelo, che i pastorelli ebbero a più riprese nel 1916, prima delle visioni della Cova da Iria.
L’angelo raccomanda ai tre bambini di offrire «costantemente all’Altissimo orazioni e sacrifici». Lucia allora gli domanda in che modo debbano sacrificarsi. La risposta dell’angelo è: «Di tutto quello che potete, offrite un sacrificio in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori».
Di tutto quello che potete, ossia: tutti gli istanti della nostra giornata possono essere offerti, niente è estraneo alla salvezza del mondo («Anche i capelli del vostro capo sono contati»). Vivere le nostre giornate così, nella memoria commossa del Mistero fatto carne, è la prima salvezza del mondo, e ci riguarda personalmente. Anche se ci troviamo sul letto di morte.
La devozione a Fatima non è obbligatoria per un cristiano: tuttavia la Chiesa tutta, a cominciare dai Papi, nel Novecento si è appoggiata, nella lettura del proprio mistero e della propria missione, alle parole di una pastorella, divenuta poi suora carmelitana, Lucia Dos Santos. Mi tornano alla mente le parole di Giovanni Testori poco prima di morire: «Per Cristo il destino non è ciò che è obbligatorio o inevitabile, ma ciò che la libertà umana sceglie di non evitare (pur potendolo fare) per amore del Padre».
Così è stato per la Chiesa davanti al mistero di Fatima, e così è per me, l’ultimo degli scribacchini, che venendo a Fatima non ho visto nulla di magico bensì il sigillo di un incontro - come quello di Giovanni e Andrea con Gesù, come il mio con don Giussani e i suoi figli - che ha cambiato per sempre il mondo permettendo all’uomo uno sguardo nuovo su tutte le cose.



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