DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Icone del bene - icone del male

di Don Gabriele Mangiarotti
Tratto dal sito Cultura Cattolica.it l'8 maggio 2010

Sono giorni drammatici: quello che accade, sia per la responsabilità dell’uomo, sia per l’agire della natura, sembra rendere la vita in qualche modo più instabile.

Le notizie – da qualunque fonte provengano – non ci lasciano tranquilli. Dalla crisi economica (dove quanto accade sembra rispondere ad una occulta regia) alle catastrofi della natura violata (le cui conseguenze comunque sembra che dobbiamo pagarle solo noi, mai i veri responsabili); dall’odio anticristiano ai comportamenti immorali da cui neppure alcuni vescovi vanno esenti. Ma la serie di tragedie morali ed umane non sembra mai finire (mi rimangono davanti agli occhi il caso di quel neonato abortito lasciato morire – in ospedale – di una lunga agonia, e di quel bambino appena nato lanciato dalla madre dalla finestra, per nascondere la relazione adulterina da lei vissuta). E tutto questo sembra non generare una riscossa di cambiamento, almeno a guardare alcuni mezzi di comunicazione sociale.

Sembra che le «icone del male» abbiano purtroppo il sopravvento, e che la speranza sia destinata a morire, o ad essere relegata ad una nostalgia impotente. Peggio ancora, sembra che si voglia dare spazio al male individuando nel passato cristiano non la radice di un bene, di una vera civiltà, ma la ragione di quanto di negativo succede. E alcuni siti sembra proprio che sappiano comunicare solo questo disprezzo per il cristianesimo, per la sua storia, per la Chiesa (questa neppure nominata, se non come sigla).

Noi siamo forti delle «icone del bene» e in tutti i modi vogliamo dare voce a quanto, sia nel presente che nel passato, possa contribuire a ridare energia all’uomo e al suo cuore ferito.

Tra noi avranno sempre spazio le testimonianze di chi «vince il male con il bene», come ricordava san Paolo. Di chi non si arrende di fronte allo sfascio generale. Di chi sceglie di essere testimonial della vita piuttosto che della morte. E non smetteremo neppure di chiamare male il male, ancorché non «politically correct».

Così, di fronte a chi esalta la scelta di Beppino Englaro di dare la morte alla figlia come atto di rispetto della libertà, ricorderemo l’eroismo di Lucrezia ed Ernesto Tresoldi, che hanno permesso al figlio Massimiliano di ricominciare a vivere (e ringrazieremo per nome chi ci ha fatto conoscere questa storia, sia Fabio Cavallari, su Tempi, sia Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola con il libro dell’Ancora-Avvenire).

E di fronte a chi ci presenta la figura di Ipazia come segno, come icona della “Chiesa contro la donna e la scienza”, continueremo a ricordare la grande Ildegarda di Bingen (che i tanti professori di storia si accaniscono a dimenticare): medico, filosofo, badessa, scienziata, artista, naturalista, poetessa e musicista…

E a chi vuole farci pensare alla Chiesa cattolica come la multinazionale del vizio, continueremo ad indicare i tanti sacerdoti educatori che hanno saputo fare crescere centinaia di giovani nel gusto della vita, nel culto della verità, nella capacità di servizio. Anche se continueranno a non fare notizia. Ma lo sono già - «buona notizia» - nei nostri cuori.

C’è solo una speranza: che le «icone del bene» abbiano, insieme alla forza straordinaria della bontà e della bellezza, uomini e donne che le sappiano valorizzare nella loro innata forza culturale. Mi ha sempre confortato quanto diceva tempo fa don Giussani: «Mi apparve allora chiaro che una tradizione, o in genere un’esperienza umana, non possono sfidare la storia, non possono sussistere nel fluire del tempo, se non nella misura in cui giungono ad esprimersi ed a comunicarsi secondo modi che abbiano una dignità culturale». E Giovanni Paolo II aggiungeva: «Una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». A noi questo insegnamento è chiaro!