DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La mistica nascosta di Baget

«Egli era per me, ed io per lui, come l’altra parte di noi stessi, l’amico a cui si poteva parlare come ad un alter ego, con una comunicazione totale». Sono tanti ma tutti nitidi e ben collocati nel tempo i ricordi, le impressioni, le lunghe chiacchierate sulla mistica, la politica, la spiritualità che tornano alla mente – nello studio della sua abitazione fiorentina, affollato di libri e di una bell’immagine di Girolamo Savonarola – del medievista Claudio Leonardi nel rievocare l’amicizia, durata quasi 60 anni, con don Gianni Baget Bozzo.

A un anno dalla morte (avvenuta l’8 maggio del 2009) del suo amico tornano alla mente le sue grandi battaglie culturali, dalla fedele collaborazione con il cardinale Giuseppe Siri, soprattutto con la rivista Renovatio, al tentativo di interpretare correttamente il Concilio, al suo anticomunismo «tutt’altro che viscerale». «In tutto questo c’è la sua coerenza di uomo e di credente – rivela il professore Leonardi – più di quanto si creda. Lui in fondo è sempre stato il più "degasperiano dei dossettiani". E rileggendo il suo Novecento si intuisce che il suo anticomunismo non è affatto viscerale ma ragionato. E in fondo tutta la vita e l’impegno di Baget lo si può leggere come il contraltare della vita di Dossetti. In fondo don Gianni è sempre stato un uomo socievole e di dialogo ma attento a difendere la sua idea di verità. Il suo temperamento era un po’ simile al crocifisso di Santiago di Compostela che portava all’occhiello della sua giacca: un crocifisso che si trasforma in lancia, una spada della verità, quasi egli si sentisse un novello San Paolo».

Come nacque la sua amicizia con Baget Bozzo?
«La nostra amicizia risale al 1950 e fu lui a introdurmi a Roma presso la Chiesa Nuova dei padri filippini al circolo frequentato dai cosiddetti "professorini" Dossetti, La Pira, Fanfani, Lazzati e La Pira. Fu lui a farmi conoscere, per primo, la mistica e a farne la ragione della mia vita di studioso. Lo spunto fu il libro di Divo Barsotti Il mistero dell’anno liturgico. In quel testo c’è l’essenza del pensiero bagetiano dove "la fede in Cristo deve sperimentare Cristo per essere vera fede"».

Si parla spesso del Baget teologo e politico ma pochi conoscono la sua vera passione di studioso: la mistica, appunto
«Don Gianni ha avuto una profonda vita mistica, fatta, credo, soprattutto di locuzioni, e ha lasciato una serie di quaderni dove per anni ha registrato i colloqui con Dio. Tutto questo lo si evince da testi come Homo Dei, Vocazione e Dio creò Dio. I suoi modelli di riferimento sono stati Meister Eckhart, Caterina da Genova e l’amatissima Teresina di Lisieux. È stato un uomo che si sentiva guidato da Dio. Bastava sentire le sue prediche a Messa per accorgersene. Era, a mio giudizio, un uomo pieno di Dio».

Riflettendo su questo sacerdote consigliere di politici si pensa a un uomo influente nelle dinamiche dei Palazzi del potere. Baget Bozzo è stato veramente un uomo potente?
«Tutt’altro. A volte si rammaricava di essere usato. Pur essendo seguitissimo per le sue analisi politiche sui giornali. I suoi articoli hanno sempre avuto il pregio di vedere in prospettiva il futuro di questo Paese. Una qualità che io definirei profetica. Eppure mi confidava: "Vedi io faccio questi appunti per Berlusconi ma poi lui segue il pensiero di altri". Io stesso con lui mi facevo promotore di studi e ricerche sul Medioevo e la mistica, ma il mondo della politica non ci ha mai aiutato nelle cose che veramente stavano a cuore anche a don Baget Bozzo. Testimonianza di tutto questo sono stati i suoi funerali che hanno visto soprattutto la partecipazione dei suoi più stretti amici, anche politici e dei suoi parrocchiani. Non certo dell’Italia che conta».

Quanto dei suoi scritti e insegnamenti possono rappresentare un patrimonio per le generazioni future?
«Credo che il suo grande lascito sia stato nel credere a una sana laicità dello Stato, in senso degasperiano. Ha sempre difeso questo principio, lui prete e antistatalista, dalle ingerenze clericali. Sulla scia degli insegnamenti di San Tommaso e di Felice Balbo è sempre stato convinto "che gli Stati non si dirigono con la fede ma si dirigono con la ragione e le consuetudini storiche". Ogni sua azione politica è stata vissuta come se lui si sentisse "posseduto" da un compito profetico».

E a lei don Baget cosa ha lasciato?
«A me personalmente ha lasciato la sua biblioteca. Mi piacerebbe ora pubblicare il carteggio inedito degli anni 1966-67 intercorso tra me e lui. Don Gianni mi ha insegnato soprattutto che un cristiano deve "trapassare la fede cristiana nell’esperienza di Dio". Credo che la lezione di vita a cui ha sempre fatto più riferimento, e che amava spesso ripetermi, si trova nella massima di Ireneo di Lione: "Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio". In questo c’è tutto il don Baget che più ho amato e di cui avverto oggi una grande nostalgia».
Filippo Rizzi

il profilo

Prete, deputato, giornalista, politologo... eccentrico sempre



DI GIOVANNI TASSANI


G
ianni Baget Bozzo attende di essere meglio inteso. Ha operato per decen­ni in teologia, politica, storia e costu­me. È stato accusato di aver spesso cambia­to opinione: accusa che mostra di non aver compreso un carattere che ha mantenuto co­stante il suo centro, in pensiero e fedeltà. Co­scienza libera, non appartenente a congre­ghe, chiesuole o accademie. La sua 'mili­tanza' è sempre stata nel segno di una pros­simità pur tendente a divenire 'carnale'. E­ra il fare esperienza con tutto se stesso, pro­prio del mistico che fa i conti con la storia u­mana. Ma lo sguardo era sistemico e pog­giava su una certezza: la Chiesa indica la pre­senza di Dio nella storia, di cui è l’anticipo e­scatologico. È al centro e non ai lati, ai mar­gini, della storia. E la storia procede come sviluppo della natura umana redenta in Cri­sto: è un dramma che va realmente inteso e vissuto, con gioia e dolore, non uno schema intellettuale. La formazione di Baget Bozzo è tipica della stagione postmodernista, che trovò pastori di grande spessore: nel suo ca­so Giuseppe Siri, vero padre spirituale, con cui affrontò momenti anche di scontro e po­lemica, ma infine di riconciliazione.

Della secolarizzazione incombente (vista co­me decadenza assiologica) Baget Bozzo avrà tra i primi avvertita coscienza già negli anni Cinquanta, così come della scivolante su­balternità dei cattolici ai miti della socialità, da essi privilegiati rispetto al valore essen­ziale della libertà. Il suo distacco dal dosset­tismo, di cui era stato il maggior interprete tra i giovani Dc, avrà il significato di un no alla presunzione di dover riformare la Chiesa, tanto meno con mezzi politici. Scriverà sul mensile dei giovani Dc Per l’Azione già nel ’52: «Non è aver fame e sete di giustizia sentirsi
'socialmente avanzati': non è aver fame e sete di giustizia nemmeno il far parte della 'corrente di sinistra' di un partito e appoggiare le 'riforme sociali'». Da un uso ideologico delle categorie del Maritain di Humanisme integral Baget Bozzo constaterà deri­vare in Italia un doppio riduzionismo: laicista in campo politico (la politica come mera operazione tecnica, l’economia invasa dalle clientele col pretesto del controllo pub­blico), ed invece spiritualistico, disincarna­to, in una Chiesa ritraentesi dal giudizio e dall’orizzonte storico. Era, per usare la for­mula del Dupanloup, il rigetto della tesi (u­na storia informata all’ideale cristiano) per la riduzione dell’azione pubblica dei cristiani sul terreno dell’ipotesi (accettazione e uso della modernità, con rinuncia a trascender­la).

La maturità di questa autocoscienza, e autocritica, avverrà in Baget a partire dal 1958, con una battaglia testimoniale dalle co­lonne del giornale d’Azione cattolica Il Quo­tidiano

e poi col quindicinale
L’Ordine Civi­le,

tra ’59 e ’60. Difendendo la Chiesa roma­na e il suo severo personale, i Tardini, Otta­viani e Siri, Baget entrerà in polemica con gli intellettuali cattolici spersi tra letteratura e problemi esistenziali, genericamente 'aper­ti al mondo'. Istantanea impietosa d’un com­plesso d’inferiorità, mascherato da suppo­nenza, di quelli che saranno i futuri 'cattoli­ci
democratici', che bolleranno Baget con la facile e infa­mante categoria, al­lora molto in uso, di 'integrista', che consentiva loro di vedere il male solo a destra e non a sinistra.

Da Maritain Baget Bozzo era risalito a ritro­so a Charles Péguy, spirito di confine, forse la figura a lui più congeniale. In lui il termi­ne 'cristianità' risuonava come richiamo non ad un’utopia passatista, ma ad orizzon­ti che possono ridischiudersi se si ha la for­za d’immaginarli. E questo anche per l’Italia, e la sua identità, oggetto grazie a Baget di non comune attenzione da parte della rivista di giovani
Terza generazione (1953-’54). Le scel­te successive saranno per evoluzione, aven­do sempre presente il sistema Chiesa e il si­stema Italia, interconnessi. Dirigerà per Siri la rivista Renovatio , non solo trincea ma la­boratorio.

Prete dal ’67, avvertirà la novità generazio­nale del ’68 aprendosi ad un’interlocuzione con i giovani e le sinistre coinvolte in questo passaggio critico, quasi in parallelo con la ri­cerca concettuale di un Aldo Moro, in mino­ranza nel suo partito. Questa sintonia con Moro lo porterà nei giorni del sequestro ad accostarsi ad un Psi trattativista. Nonostan­te le norme canoniche vorrà continuare a parlare dall’interno di quella che definì 'la società radicale': eccentrico come prete, ec­centrico come giornalista a Repubblica, ec­centrico come eurodeputato socialista (ac­cettò per questo una sospensione a divinis

per un decennio, tra ’85 e ’94), ed infine co­me teorico neoliberale. Sapendo che il 'cen­tro' vero, cioè veritativo, rimaneva salvo e saldo. «Solo con il Solo», scriverà.