DI NELLO SCAVO
R yadh si risvegliò dal coma dopo tre giorni. La testa cucita, le lenzuola sporche di sangue, gli arti fasciati. Solo allora il fabbro cattolico di Baghdad realizzò che le minacce di una settimana prima erano anche per lui: «Via i cristiani. Per sempre». Due giorni dopo era in fuga verso la Siria. Mille chilometri di deserto, a tutto gas insieme alla moglie Shoua e alle due bimbe di sette e due anni. Correvano come inseguiti dai fantasmi di mille mattanze. «Il venerdì esplodevano le moschee, la domenica le chiese», ricorda la donna. Ryadh era finito in ospedale dopo due ore di torture sotto gli occhi di Shoua, a sua volta in balia di sette uomini in tuta nera e viso coperto. «Non piangevo per quello che mi facevano, né per le sigarette che mi spegnevano addosso. Ero disperata per quello che stavano facendo a lui e per le nostre bambine». Uno dei miliziani gliele aveva strappate dalle braccia. Mentre le trascinava fuori casa, fece con le mani quel gesto che già per undici volte aveva portato il lutto tra i parenti più stretti: «Si passò un dito sulla gola, da parte a parte».
A Ryadh risvegliarsi dalle percosse e vedere accanto ai medici le due piccole in braccio a Shoua dev’essere sembrato un miracolo. Era il 2008, lui aveva 31 anni, lei 26. Nel bagagliaio pochi vestiti e neanche una foto: né della casa prima della razzia, o della chiesa nel giorno del battesimo della primogenita, né di lui che picchia sull’incudine e neanche di Shoua, mai col velo, nel suo salone da parrucchiera. La bottega di fabbro verrà polverizzata da due granate sparate dai mujaheddin, il negozio per signora assaltato e distrutto mentre le clienti scappavano urlando come pazze. Restava però un piccolo tesoro accumulato negli anni: 40mila dollari. Mai avrebbero pensato di doverli usare fino all’ultimo biglietto per pagare l’odissea attraverso la Siria, il Libano e infine su un peschereccio con altri immigrati. Sbarcarono il 27 agosto 2008 in mezzo ai bagnanti di Roccella Jonica. «Non sapevamo di poter chiedere asilo politico, così dopo alcuni giorni siamo ripartiti diretti in Svezia, dove vivono alcuni nostri parenti, attraverso la Francia e la Germania». Le autorità di Stoccolma non ne hanno voluto sapere. Respinti. Non restava che la Calabria.
«All’inizio eravamo dispiaciuti di dover tornare qui. L’Italia era stata una delusione. Quando eravamo sulla barca – ricorda Ryadh – dicevo a mia moglie che eravamo fortunati ad essere ancora vivi, salvi e finalmente a poche ore dal più importante Paese cattolico del mondo, quello di Roma e del Papa». Una terra promessa. Shoua già si vedeva a pettinare le belle signore italiane viste sui canali satellitari. Più di ogni altra cosa immaginavano la domenica. «Prepararsi per uscire di casa, e con le bimbe andare a Messa senza paura ». Da nove mesi sono ospiti della piccola e cordiale Caulonia, in quella Calabria che sembra così lontana da Rosarno. Il sindaco Ilario Ammendolia, che ha fatto di questo borgo sul mare un approdo sicuro per oltre un centinaio di rifugiati, ha concesso una borsa lavoro. «Pochi soldi, 650 euro, per una breve occupazione in un ristorante locale. Di più non riusciamo a fare, anche se questa famiglia meriterebbe ben altra sistemazione». Shoua e Ryadh non chiedono nulla. È già tanto potersi raccontare. «Certo che se qualcuno si facesse avanti con qualche offerta di lavoro – spera Ammendolia – noi per primi saremmo felici».
Ogni giorno la giovane coppia trova un momento per pregare: «Chiediamo a Dio di portare la pace nel cuore degli uomini di ogni religione, perché non succeda ad altri ciò che è accaduto a noi». Ryadh non sorride quasi mai. Non è questo il domani che un padre può volere per i propri figli. Quel giovedì sera di due anni fa forse gli sarebbe bastato arrendersi e presentarsi scalzo in moschea il mattino dopo, per la preghiera del venerdì. «Questo mai. Sono cristiano, cattolico – scandisce spalleggiato da Shoua –. Lo erano i nostri genitori, lo sono i nostri figli. Siamo stati cacciati a causa della nostra fede, ma non siamo i soli. In Iraq soffrono anche i musulmani».
Chissà se riusciranno un giorno a rivedere Baghdad. «Senza protezione – temono –, i cristiani sopravvissuti non potranno svolgere una vita normale». A cominciare dal recarsi senza paura da un fabbro o da una parrucchiera.