DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

LA VERITÀ? UN GIALLO FRA FILOSOFIA, SACRO E LETTERATURA. di Gianfranco Ravasi

«L a verità è come il diamante: è una sola ma ha molte facce». Questa definizione di Gandhi ben illustra il «mistero» della verità che è al tempo stesso disponibile e inaccessibile all’uomo. Essa si presenta con un volto autentico ma mai esaustivo per cui la ricerca rimane il percorso sempre aperto per raggiungerla e per andare costantemente oltre.

Con una certa semplificazione distingueremo due tipologie nella descrizione della verità. La prima è quella proposta dalla cultura greca. La formuleremo attraverso una citazione emblematica del XIII epinicio del poeta Bacchilide (VI-V secolo a.C.) nato nell’isola di Ceo, nipote del poeta Simonide, contemporaneo di Pindaro e vissuto, come quest’ultimo, alla corte di Gerone a Siracusa.

Afferma, dunque, il poeta greco: «Memoria (
Mnème ) sottrae l’eroe all’Oblio ( Lèthe) e lo consegna alla Verità ( Alètheia) che trionfa sulle tenebre notturne». In questa concezione la verità viene raggiunta attraverso Mnème , il «ricordo».

In realtà sappiamo che questo vocabolo è alla base di due altri termini capitali.

Da un lato, c’è
Mnemosyne, che è la madre delle Muse l’ispiratrice dell’arte, in particolare dei poeti.

La verità è, quindi, appannaggio dell’esperienza simbolica, estetica, intuitiva. È un percorso nobile e affascinante che svela il volto segreto della realtà e si manifesta nella creatività. D’altro lato, però c’è anche la reminiscenza che, come è noto, è per Platone la via della conoscenza e del pensiero. Ecco, dunque, due itinerari verso la verità: l’arte e la filosofia che cancellano la tenebra della «smemoratezza», dell’oblio cioè dell’ignoranza. L’altra e ben diversa tipologia della verità è quella cristiana che offre, invece, una concezione «personale».

Infatti Gesù dichiara nel quarto vangelo: «Io sono la via, la verità, la vita» (
Giovanni 14 ,6 ) e nello stesso vangelo l’ingresso di Cristo nel mondo è così descritto: «Veniva nel mondo la luce vera» (1,9). La celebre domanda di Pilato: «Che cos’è la verità?» – durante il dialogo nel pretorio con Gesù ( Giovanni 18 ,37 -38 ) – ha come risposta da parte di Cristo: «Colui che è dalla verità ascolta la mia voce». La verità, allora, è per eccellenza un’esperienza di intimità, di ascolto, di adesione. Non per nulla già nel linguaggio anticotestamentario il termine ’emet che la Vulgata rende con

veritas
in realtà significa «fedeltà, adesione». In questa luce la conoscenza della verità proviene da un’esperienza d’amore e non solo mentale. Essa è alla sorgente della vera fede che è «adorare in spirito e verità» (Giovanni 4,23) e alla radice della libertà piena della salvezza, come dichiara Gesù, sempre nel quarto Vangelo, lo scritto neotestamentario più attento a esaltare questa categoria: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (8,32).

Un’esegeta, Gertrud Herrgott, ha scritto che per la Bibbia «la verità non interessa prima di tutto l’intelletto che riflette, bensì soprattutto il cuore che crede e ama».


© Copyright Avvenire 16 maggio 2010