DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L’erede di Lévi-Strauss spiega che non sono le religioni a creare i conflitti

Aleggere la conferenza tenuta due anni
fa presso il Royal Anthropological Institute
di Londra e che da domani sarà in
libreria tradotta da Jaca Book con il titolo
“Comunità, società, cultura. Tre chiavi per
comprendere le identità in conflitto”, un
po’ ci si preoccupa. Non fosse che l’ha vergata
uno dei più eminenti antropologi del
Novecento, allievo eterodosso di Claude
Lévi-Strauss, quello dello strutturalismo
in antropologia. La Huxley Memorial Lecture
del francese Maurice Godelier, classe
1934, parrebbe un inno di lodi alla supremazia
della sovranità nazionale su ogni altra
forma di organizzazione umana (già in
un volume precedente, “Al fondamento
delle società umane”, Godelier escludeva
che alla base delle società ci fossero i rapporti
“kin based”, ovvero di parentela, la
famiglia, insomma, bensì il nesso sacro-politica).
Pensato come una difesa del futuro
dell’antropologia come disciplina – “L’antropologia
è una disciplina indispensabile
per capire un po’ meglio il mondo globalizzato
nel quale viviamo e continuiamo a vivere”
– il breve contributo di Godelier parte,
inutile dirlo, da una tribù, la sua, cioè
quella che ha studiato per oltre vent’anni.
Quella dei Baruya di Papua, Nuova Guinea.
Ma arriva, nelle ultime pagine, a utilizzare
le conclusioni ottenute per analizzare
la situazione di ebrei e palestinesi,
della Wahhabiya jihadista e persino delle
Chinatown.
La domanda che Godelier si pone è:
“Come si formano le società?”. Quella che
gli abbiamo posto noi è che cosa abbia di
innovativo da dire la sua indagine rispetto
ai conflitti – religiosi, culturali, politici –
che tra le società oggi appunto sembrano
nascere. Secondo Godelier, l’equivoco è di
fondo: “Sempre più spesso si confondono
società e comunità. Ma i due concetti rimandano
a realtà storiche e sociali differenti.
Gli ebrei della diaspora che vivono
a Londra, New York o Parigi formano comunità
all’interno delle società. E coesistono
con altre comunità, turche, pakistane,
musulmane, che hanno ciascuna stile
di vita e tradizioni. Al contrario gli ebrei
della diaspora che sono in Israele vivono
in una società che hanno fatto nascere e
che è rappresentata da uno stato di cui vogliono
vedere riconosciuti i confini. Il criterio
fondante della società è la sovranità
su un territorio. La società italiana, allo
stesso modo, è fatta di cattolici e non cattolici.
In Francia la comunità musulmana
è costituita da sei milioni di persone, ma
rimane una comunità, non una società, su
cui vigila e controlla la sovranità nazionale.
Magari saranno maltrattati, magari non
sarà permesso il burqa, ma se vorranno ottenere
questo progresso dovranno cercarlo
fuori dalla religione”.
Ma se le religioni per loro natura, diciamo
così, formano “soltanto” delle comunità,
come può risolversi il conflitto tra
identità nazionale e identità religiosa in
un individuo, quando i valori della società
e quelli della comunità non coincidessero?
Secondo Godelier, la contraddizione è
normale, un processo naturale, un costituente
del dinamismo delle società che si
pongono in contrapposizione fisiologica
con la visione dogmatica delle istituzioni
religiose: “Importante è che la religione
non venga strumentalizzata o ne venga dimenticata
l’importanza per i fedeli” prosegue
Godelier. “In Egitto per esempio le élite
al potere hanno dimenticato che per le
masse la religione è importante. Ma una
volta che se ne sono accorti, hanno cominciato
a manipolare politicamente l’islam”.
I conflitti, secondo Godelier, non nascono
dalla fede, ma dalla concretezza delle
comunità. Per chi crede, di fronte a un conflitto
la soluzione è semplice: “Prendiamo
i cattolici. Il problema dello scandalo dato
dalla presenza di preti pedofili è risibile.
Quel che conta è riformare prima possibile
il rapporto che esiste tra gli adulti che
guidano i giovani e gli allievi e impedire
che si abusi, per qualsiasi motivo, della
propria autorità. Per il resto, oggi è permesso
a un cattolico criticare la propria
chiesa. Il cristiano per dirsi cristiano deve
possedere spirito critico”. Godelier terminò
la sua esperienza tra i Baruya nel
1988. Ventidue anni dopo, quella società è
composta quasi interamente da cristiani,
anche se di cinque sette protestanti diverse,
e anche se alcuni di loro hanno già fatto
parte di tre sette differenti nel corso della
loro vita. Quando l’antropologo chiese
loro perché si facevano battezzare, risposero:
“Per essere uomini e donne nuovi”.

Stefania Vitulli

© Copyright Il Foglio 5 maggio 2010