Pubblichiamo alcuni stralci di una delle relazioni pronunciate nel convegno "Ambrogio e i barbari" organizzato dall'Accademia Ambrosiana che si è tenuto a Milano nella Biblioteca Ambrosiana e nell'Università degli Studi.
di Luigi F. Pizzolato Qualcuno rinviene notizia degli Unni già in Erodoto, ma è probabile che questi parli di una popolazione genericamente scitica, che è stata da qualcuno identificata con gli Unni per l'assonanza linguistica, con un apparentamento agli Xiongnu (o Hsiung-nu), gruppo nomade stanziato nella Mongolia ai tempi della dinastia Han - dal 206 prima dell'era cristiana all'anno 220.
Fino alla fine del quarto secolo le fonti sono avare di notizie sugli Unni probabilmente perché una serie di circostanze, e politiche e religiose e culturali, tendevano a spostare il pericolo barbarico in altre direzioni. O si voleva col silenzio rimuovere una paura che con gli Unni si farà quasi di natura apocalittica? Una prima ondata di tale paura si ebbe già sotto l'impero di Giuliano, quando Ilario (364) prospettava la venuta dell'Anticristo durante la sua generazione: ma il pericolo era forse collegato non tanto ai barbari, quanto agli ariani, e precisamente all'imperatore Valente, e ai vescovi ariani Ursacio e Aussenzio; o ai barbari in quanto ariani. Secondo la documentatissima storia degli Unni di Maenchen-Helfen, la paura s'impenna verso il 378, data della battaglia epocale di Adrianopoli. Ambrogio non manca di riportarne il clima nel coevo discorso funebre per il fratello Satiro: "Se tu sapessi che ora l'Italia è minacciata da un nemico tanto vicino, come saresti afflitto, come deploreresti che nel baluardo delle Alpi consiste tutta la nostra salvezza e che con tronchi d'alberi si costruisce il muro di difesa del nostro pudore". Si tratta di un nemico "impurus atque crudelis che non risparmia né la pudicizia né la vita".
Il nemico che al momento atterrisce non è però, direttamente, l'Unno, ma il Goto; e peraltro solo Rufino di Aquileia in Occidente vedrà in Adrianopoli il punto di partenza della crisi finale dell'Impero: "Questa battaglia fu allora e successivamente l'inizio del male per l'Impero romano", mentre altri autori cristiani videro, per lo più, nella sconfitta di Valente, il trionfo dell'ortodossia nicena sull'arianesimo prodotta anzi proprio a opera di barbari ariani. Ciò poté - come vedremo - alimentare perfino l'illusione che i barbari potessero svolgere una funzione provvidenziale e non solo negativa.
Agostino - sempre restio a lasciarsi affascinare da una escatologia anticipata, e dettagliata - ancora negli anni venti del v secolo rifiuta la tesi terroristica escatologica che, rifacendosi alle iniziali G e M, nei Geti e nei Massageti vede l'incarnazione di Gog e Magog. Il suo discepolo Orosio, più giocondo negatore di paure escatologiche, in compagnia degli altri autori d'Occidente, non dimostra alcun interesse per gli Unni. Agli inizi della seconda decade del secolo v, Girolamo stesso riprende e rifiuta tale interpretazione etnica nominativa che "Giudei e cristiani giudaizzanti" davano a Gog e Magog, e li connetteva però a barbari che avevano la collocazione geografica degli Unni e anche un collegamento con le potenze diaboliche escatologiche. Quodvultdeus identificherà Gog e Magog con altri barbari, come i Goti e i Mauri o i Massageti. Il fatto che questi ultimi fossero allora già scomparsi dalla scena ha fatto pensare che sotto quel nome si celino gli Unni, che sarebbero significati da Magog. Ma siamo ormai nel 445/455, quando il pericolo unno è incarnato ormai ravvicinatamente da Attila.
Ritornando al tempo circostante Adrianopoli si può dire che Ambrogio teme principalmente i Goti, che pure sono visti come punitori della trasgressione alla fede verso Dio nell'Impero romano postcostantiniano - con il filoariano Valente. Ambrogio insomma colloca il pericolo in un popolo che a quel momento è più strutturato, con una gerarchia, e che è ostile anche in forza della sua stessa appartenenza ereticale. Ne ricorda le uccisioni di fedeli, le torture, l'esilio, le ordinazione di impii, i favori (munera) concessi ai traditori. Ma i seri preparativi militari di Graziano e di Teodosio, assunto a Imperatore della pars Orientis nel 379, danno ad Ambrogio la certa confidenza che quei barbari che hanno per di più violato la fede, non possano sentirsi ormai sicuri. E infatti, prima della fine del 379, i Goti con gli Alani e gli Unni saranno già risospinti dalle regioni meridionali dei Balcani. Gli Unni, a differenza di altre grandi popolazioni barbariche sviluppate in grandi nazioni, attendevano ancora, alla periferia dell'ecumene, l'avvento di un capo, mentre erano ancora sine legibus.
Se solo dopo il 390 in Occidente prendono rilievo gli Unni, in Oriente qualcosa cambiò proprio poco dopo la chiusura delle Storie di Ammiano. Girolamo nel 391 identifica ormai gli Sciti di Erodoto con gli attuali Unni e così - seguendo Giuseppe Flavio che identifica gli Sciti con Magog - viene a identificare gli Unni con Magog. Nel 393 gli Unni rappresentano, tra gli Sciti, la noua feritas. E quando nel 395 entrano da devastatori nelle province orientali, egli si spaventa: Romanus orbis ruit. Quattro anni più tardi identificherà gli Unni coi popoli transcaucasici che Alessandro aveva contenuto fortificando le porte del Caucaso ed esclamerà: auertat Iesus ab orbe romano tales ultra bestias!.
Nell'estate 395 grandi orde unniche valicarono il Don verso la foce. Alcuni gruppi si diressero verso sud-est in Persia, altri entrarono nelle province romane e segnatamente nell'Armenia e altri arrivarono a Osroene e a Ctesifonte. Un gruppo si diresse verso l'Asia minore e la Siria, mentre un loro passaggio in Tracia e nei Balcani è attestato da fonti orientali ma le fonti occidentali tacciono. Girolamo è però prossimo e attendibile per il vicino Oriente: "In questo tempo l'armata romana era lontana e trattenuta da una guerra intestina in Italia". Quando un gruppo di Unni cavalcò fino alla Celesiria, era in corso il conflitto tra Stilicone e Rufino. Poi gli Unni barbari portarono attacchi a varie città sull'Halys, sul Cydnus, sull'Oronte oltre che sull'Eufrate, fino a porre assedio ad Antiochia. Nel suo Commentario a Ezechiele, scritto prima del 435, Teodoreto di Ciro identifica Gog e Magog coi popoli Sciti che non vivevano lontano dalla Palestina e dice che "nei nostri tempi tutto l'Oriente era occupato da essi". Egli - nato nel 393 - era ancora infante quando fu minacciata la sua città natale di Antiochia, e dagli anziani verosimilmente conobbe il fatto. Ma questi Sciti sono proprio gli Unni di Girolamo, perché, per una specie di metonimia, Sciti era il nome globale che in questo caso designava la parte più pericolosa di essi, gli Unni, appunto.
Già in bocca di Martino di Tours, Sulpicio Severo pone l'affermazione: "Non c'è dubbio che l'anticristo, concepito dallo spirito maligno, sarebbe già nato e ha già raggiunto l'età della fanciullezza, pronto ad assumere il comando (imperium) con l'età legale". Età che, a ben vedere e se non cadiamo in un eccesso di sottigliezza, corrisponde a quella degli Unni nell'Impero, per il quale essi nascono nel 375. Quello del 395 risultò peraltro una specie di blitz, e la paura si riassorbì ben presto e con essa si rianimò l'illusione. Già nel 397-398 Eutropio ricacciò gli Unni dalla Frigia e dalla Cappadocia fino ai piedi del Caucaso. Addirittura verso il 400 Girolamo constatava con soddisfazione: Huni discunt psalterium. Anche Prudenzio, in quel torno d'anni, fa un elenco irenico dei vari popoli barbarici - tra i quali gli Unni - che insieme coi Romani "camminano tutti sull'unico suolo, che hanno tutti un unico cielo e un unico oceano che racchiude il nostro mondo". Orosio stesso testimonia la sostanziale convivenza pacifica degli Unni coi Romani e la loro ricerca di stanzialità proprio in quella fase in cui insiste Ambrogio, tra gli anni 388-395, e perfino constata una loro predisposizione alla conversione. La grande paura in seguito riprenderà a partire dall'Oriente, nel 405, quando essi rinnoveranno la pressione sull'Impero sospingendo gli altri popoli barbarici, soprattutto i Goti e i Vandali.
Ambrogio però abbandona, per così dire, gli Unni verso il 390, senza averli mai considerati un pericolo grave. Non accenna nemmeno agli avvenimenti del 393-395. Se fosse vissuto di più, Ambrogio si sarebbe dovuto ricredere. Ma il successo futuro degli Unni sotto Attila sarebbe stato comunque in linea con la diagnosi di Ambrogio, perché allora quella congerie di bande era diventato un popolo.
(©L'Osservatore Romano - 1 ° maggio 2010)