Non ci si deve limitare a proteggere l’albero dalla tempesta. Lo si deve curare, tagliando i rami secchi. La lettura odierna del "messaggio" di Fatima, ha spiegato il Papa, va dritta al cuore dell’odierna passione ecclesiale: «Non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa».
La Chiesa sa come fronteggiare il male che avvilisce la comunità degli umani e ogni singolo, con la stessa nettezza con la quale sa di doversi battere con il peccato che la insidia e la ferisce nell’intimo. Lo sappiamo e lo riconosciamo da sempre, certo. Ma oggi «vediamo in modo realmente terrificante che la più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa». Non è un fatto così consueto che la franchezza di questo duro riconoscimento appaia così ispirata dalla dignità e dalla grazia di un’autentica testimonianza: da fare tutt’uno con essa. In un solo gesto, di umile trasparenza, la Chiesa confessa (è il dono speciale del ministero di Pietro, sin dall’inizio) la propria vulnerabilità alla contraddizione del peccato e la propria certezza nel soprassalto della grazia.
Nessuna vischiosità, nessuna dissimulazione. Cercare perdono e giustizia, secondo verità, come deve essere. I venditori di almanacchi registrino anche questo. E i credenti si disincantino. Lo sanno che non devono aspettarsi niente che non tocchi a loro fare. Lo facciano. Giuda non fermò Gesù. Gli evangelisti raccontano con sobria e franca semplicità tutta la storia, per filo e per segno. La tradizione degli Apostoli autorizzò e incoraggiò la circolazione di questi testi fondatori, riconoscendo in essi la parola di Dio che – indisgiungibilmente – ci ricorda la loro e la nostra vulnerabilità. In questo modo si affermò in tutto il mondo, e per tutti i tempi, senza ipocrisia alcuna, la splendida ostinazione della grazia di Lui: che incalza i suoi, trasformando la loro confessione in testimonianza per tutti. Noi, che dobbiamo espiare anche per i nostri peccati, abbiamo un doppio motivo per abbandonarci al suo perdono e alla sua giustizia.
E proprio così, abbiamo la possibilità di restituire onore alla tenacia dei molti (moltissimi) contro gli avvilimenti che l’assuefazione al peccato cerca di trasformare in rassegnazione all’ipocrisia. Il pregiudizio ostile alla buona testimonianza – Dio sa se esiste! – si smaschera, in ogni modo, con l’abbandono di ogni ipocrisia. Simulare e dissimulare, giurare e spergiurare, è lavoro dei gazzettieri. Noi non giuriamo né sul trono, né sull’altare, per dare più forza a ciò che conviene: a noi tocca «dire sì, se è sì, dire no, se è no» (Mt 5, 37). Il resto è roba per i potenti di questo mondo, e viene dal maligno. Punto.
Il segreto più impensato e trasparente di Fatima infine è questo: «Dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo, in tutta la storia, in tutto il suo presente e illumina questa storia». Per il resto l’autentico credente si mette in mezzo, a suo rischio, fra Giuda e i suoi "piccoli" discepoli, drammaticamente increduli di sgomento e di smarrimento, perché imparino di nuovo – quando verrà la loro ora – che cosa vuol dire custodire in nome di Dio.
Dio ti benedica, Papa.
La Chiesa sa come fronteggiare il male che avvilisce la comunità degli umani e ogni singolo, con la stessa nettezza con la quale sa di doversi battere con il peccato che la insidia e la ferisce nell’intimo. Lo sappiamo e lo riconosciamo da sempre, certo. Ma oggi «vediamo in modo realmente terrificante che la più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa». Non è un fatto così consueto che la franchezza di questo duro riconoscimento appaia così ispirata dalla dignità e dalla grazia di un’autentica testimonianza: da fare tutt’uno con essa. In un solo gesto, di umile trasparenza, la Chiesa confessa (è il dono speciale del ministero di Pietro, sin dall’inizio) la propria vulnerabilità alla contraddizione del peccato e la propria certezza nel soprassalto della grazia.
Nessuna vischiosità, nessuna dissimulazione. Cercare perdono e giustizia, secondo verità, come deve essere. I venditori di almanacchi registrino anche questo. E i credenti si disincantino. Lo sanno che non devono aspettarsi niente che non tocchi a loro fare. Lo facciano. Giuda non fermò Gesù. Gli evangelisti raccontano con sobria e franca semplicità tutta la storia, per filo e per segno. La tradizione degli Apostoli autorizzò e incoraggiò la circolazione di questi testi fondatori, riconoscendo in essi la parola di Dio che – indisgiungibilmente – ci ricorda la loro e la nostra vulnerabilità. In questo modo si affermò in tutto il mondo, e per tutti i tempi, senza ipocrisia alcuna, la splendida ostinazione della grazia di Lui: che incalza i suoi, trasformando la loro confessione in testimonianza per tutti. Noi, che dobbiamo espiare anche per i nostri peccati, abbiamo un doppio motivo per abbandonarci al suo perdono e alla sua giustizia.
E proprio così, abbiamo la possibilità di restituire onore alla tenacia dei molti (moltissimi) contro gli avvilimenti che l’assuefazione al peccato cerca di trasformare in rassegnazione all’ipocrisia. Il pregiudizio ostile alla buona testimonianza – Dio sa se esiste! – si smaschera, in ogni modo, con l’abbandono di ogni ipocrisia. Simulare e dissimulare, giurare e spergiurare, è lavoro dei gazzettieri. Noi non giuriamo né sul trono, né sull’altare, per dare più forza a ciò che conviene: a noi tocca «dire sì, se è sì, dire no, se è no» (Mt 5, 37). Il resto è roba per i potenti di questo mondo, e viene dal maligno. Punto.
Il segreto più impensato e trasparente di Fatima infine è questo: «Dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo, in tutta la storia, in tutto il suo presente e illumina questa storia». Per il resto l’autentico credente si mette in mezzo, a suo rischio, fra Giuda e i suoi "piccoli" discepoli, drammaticamente increduli di sgomento e di smarrimento, perché imparino di nuovo – quando verrà la loro ora – che cosa vuol dire custodire in nome di Dio.
Dio ti benedica, Papa.
Pierangelo Sequeri
© Copyright Avvenire 12 maggio 2010