Paul Bloom, quarantaseienne docente
di Psicologia a Yale, dirige
“uno dei pochi gruppi di ricerca al
mondo a occuparsi di vita morale dei
bambini”, come lui stesso ci ricorda in
un articolo sul prossimo New York Times
magazine. Bloom spiega che il
bambino tra cinque e dodici mesi,
considerato finora incapace di discernere
il bene dal male, in realtà la sa
molto più lunga di quanto si sospetti:
“Con l’aiuto di esperimenti ben progettati,
è possibile vedere barlumi di
pensiero morale, di giudizio morale e
di sentimento morale anche nel primo
anno di vita”. Due primi piani di fanciullini
a corredo dell’articolo di
Bloom, intitolato “The moral life of
babies”, fanno effettivamente
sospettare
che, come nei
film della serie
“Senti chi
parla”, i pargoli
siano
impegnati in
tortuosi e forse
filosofici ragionamenti.
“Nei
neonati e nei bambini
piccoli – insiste
Bloom – non manca il
senso di giusto e di sbagliato”,
ma quel senso “di giusto e di
sbagliato che si possiede naturalmente
diverge in modo importante da ciò
che gli adulti vorrebbero che fosse”.
Bloom ascrive questa “morale innata”
dei neonati all’azione della selezione
naturale darwiniana: se siamo esseri
morali sin dalla più tenera età, è perché
questa caratteristica fa parte del
bagaglio che ha comportato il successo
della nostra specie. Non era stato lo
stesso Darwin, del resto, a notare che
il figlio William, a sei mesi, si era immalinconito
alla vista del finto pianto
della balia?
Bloom ha dovuto superare qualche
difficoltà, per arrivare alle sue conclusioni.
Lo studio dei neonati umani,
scrive, è ben più complicato rispetto
“a cavie e uccelli”. I piccini, per dire,
non si possono chiudere dentro labirinti
per farli correre alla ricerca dell’uscita,
e nemmeno si possono far loro
azionare leve con il becco. Per fortuna
c’è il movimento degli occhi,
“una finestra sull’anima del bambino”.
Così, dagli anni Ottanta fino a oggi
– fino agli studi che Bloom condensa
in un suo libro in uscita a giugno,
“How Pleasure Works” – gli sguardi
del neonato hanno rivelato che “quando
esiste la possibilità di scegliere tra
due cose da guardare, i bambini di solito
scelgono di guardare la cosa più
piacevole”, e che tra “attori del bene”
e “del male”, la preferenza va ai primi.
Abbastanza per sospettare che ci
sia dell’altro, oltre all’evoluzione? Che
ci sia “la voce di Dio nelle nostre anime”,
come dice il saggista Dinesh D’-
Souza, il quale non vede “logica
darwiniana” nel rinunciare al proprio
posto in autobus per far sedere una
vecchia signora? No, non c’è altro, risponde
Bloom. La morale dei neonati
è primitiva, fatta di risposte viscerali
e di rudimentale senso di giustizia. Un
po’ come quella degli scimpanzé.
© Copyright Il Foglio 7 maggio 2010