DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Leggende nere e altri luoghi comuni sul cristianesimo, come controbattere

Come si sa, un metodo rapido e infallibile
per apparire illuminati progressisti
politicamente molto corretti nonché aperti,
lungimiranti, antidogmatici e amabilmente
tolleranti è quello di sparare sul cristianesimo,
sulla chiesa cattolica e sul Papa.
Il successo è assicurato. In una cultura
come la nostra, nella quale, per dire, se ti
permetti di formulare un giudizio anche
vagamente critico verso l’islam ti ritrovi automaticamente
iscritto nel club dei reietti,
parlar male del cristiano e del cattolico
non solo è possibile, ma vivamente consigliato.
La patente di libero pensatore è garantita.
E poco importa che dal punto di vista
storico ciò che tu dici sia insostenibile,
condito di falsità e leggende. Nella società
dell’immagine non c’è tempo per la storia,
e approfondire è attività considerata poco
compatibile con l’apparire. Ciò che conta è
come tu ti presenti. E se vuoi essere à la page
devi attrezzarti: prova a buttare là una
battuta contro Benedetto XVI, fai un accenno
ai preti che insidiano i bambini, ricorda
che la chiesa è sempre stata un’istituzione
retrograda, innalza un inno alla liberazione
sessuale. Vedrai, non te ne pentirai. Da
quando poi il sistema mondiale della comunicazione
ha deciso di utilizzare i casi
di sacerdoti pedofili per allestire un processo
sommario contro il Papa e la chiesa
(perché di questo in effetti si tratta, anche
se nessuno nega che il reato-peccato c’è, e
anche bello grosso e disgustoso), il procedimento
suddetto ha ricevuto una sorta di
certificazione. Ma il problema è: il cristiano
sa controbattere? Purtroppo quel misto
di ignoranza, mancanza di consapevolezza
e superficialità che caratterizza il panorama
culturale contemporaneo alligna anche
fra i moderni seguaci di Gesù, i quali di
conseguenza, una volta messi sotto attacco,
non riescono a ributtare la palla nell’altra
metà campo e si lasciano intristire senza
una prospettiva.
La vulgata laicista
Bisogna dare il benvenuto quindi a un libro
come “Indagine sul cristianesimo” di
Francesco Agnoli (Piemme, 282 pagine, 17
euro), che dà gli strumenti non solo per rimandare
la palla di là ma per organizzare
un vero e proprio gioco offensivo incentrato
su quello schema antico ma sempre nuovo
che risponde al nome di verità. Un po’
saggio storico, un po’ approfondimento filosofico
e teologico con incursioni nella sociologia
della religione, il libro ha un intento
dichiarato: fare piazza pulita della vulgata
laicista secondo cui la maggior parte delle
calamità e delle sventure abbattutesi
sull’umanità da duemila anni a questa parte
sarebbe made in christianity. Compito
che Agnoli svolge con il giusto piglio polemico,
anche prendendosela con qualche
nostrano maitre à penser che ha fatto dell’anticristianesimo
militante un marchio di
fabbrica e un’ottima risorsa per campare
di rendita sfruttando i più triti luoghi comuni.
Ecco, appunto, i luoghi comuni.
Agnoli ne mette in fila un bel po’. Ma a tutti
aggiunge un salutare punto di domanda,
premessa per distruggerli a colpi di verità
storiche. Quella dell’imperatore Costantino
non fu vera conversione ma solo mossa politica?
Il cristianesimo è contro le donne?
Il cristianesimo, là dove arriva, distrugge le
culture locali? L’Inquisizione è stata solo
una spietata macchina punitiva? La fede
cristiana tiene i credenti in uno stato di
passività? La chiesa quando le fa comodo
usa la forza? Il cristianesimo è nemico della
scienza e dell’istruzione? La rottura dell’unità
fra i cristiani è stata colpa di Roma?
Con l’elenco si potrebbe andare avanti a
lungo. La storia si è incaricata di sgombrare
il campo dalle falsità e Agnoli, puntigliosamente,
corregge, confuta, precisa, contesta,
chiarisce. Un’arringa difensiva appassionata,
che offre gli strumenti per rispondere
ai calunniatori e rimetterli al loro posto.
E che, una confutazione dopo l’altra, dimostra
come i comportamenti che oggi consideriamo
più civili e i sentimenti che giudichiamo
più nobili si siano formati non,
come dicono i falsari della storia, nonostante
il cristianesimo e la chiesa cattolica,
ma precisamente grazie a loro.
Una vicenda poco nota
Una vicenda poco nota è quella che riguarda
il nazista Alfred Rosenberg, autore
di “Der Mythus des 20” (“Il mito del Ventesimo
secolo”), opera seconda solo al “Mein
Kampf” hitleriano come best seller del nazionalsocialismo.
Con lo stesso Hitler e con
Dietrich Eckart (finanziatore, fra l’altro, del
primo quotidiano nazista), Rosenberg si intrattiene
in lunghe discussioni incentrate
sull’influenza nefasta che ebraismo e cristianesimo
avrebbero avuto sull’umanità.
Ai loro occhi, veramente, le due fedi si
confondono, fino a diventare una cosa sola.
Il cattolicesimo sarebbe una perversione
del messaggio di Cristo operata dall’ebreo
Paolo, Cristo sarebbe stato un vincitore e
non uno sconfitto, un ariano e non un ebreo
e, soprattutto, non avrebbe mai sostenuto di
essere Dio. Inoltre il crocifisso, in quanto
simbolo di martirio e di cedimento, andrebbe
sostituito con monumenti ai soldati caduti
per la patria. Rosenberg non perdona
al cristianesimo di aver predicato e praticato
l’universalismo e l’individualismo, nemici
del concetto germanico di razza; difende
le eresie come giuste reazioni alla “ipnosi
romano-mediorientale” e si scaglia contro
la caccia alle streghe condotta, dice, per togliere
di mezzo le ultime tracce di religiosità
pagana germanica. Ma il vero pericolo
insito nel cristianesimo, scrive, è che innalza
gli esseri inferiori. Questo il nazismo non
può proprio accettarlo. La parola amore va
eliminata; un popolo non può permettersi
di cedere alla debolezza e all’umiltà. Le forze
vitali sono ben altre. Sulla scia di Nietzsche,
Rosenberg teorizza la creazione del
superuomo attraverso l’eugenetica e sostiene
che il cristianesimo potrà essere accettato
solo dopo un’opportuna trasformazione:
la chiesa cattolica romana dovrà essere
soppressa, Cristo germanizzato, il Vecchio
testamento eliminato e il Nuovo depurato
eliminando le parti meno funzionali al dominio
germanico. Non c’è da stupirsi che la
chiesa cattolica metta il libro di Rosenberg
all’indice. Ma intanto il volume, nonostante
le sue settecento pagine, ha venduto più di
due milioni di copie ed è stato imposto come
testo obbligatorio nelle scuole di tutta la
Germania. A guerra finita Rosenberg sarà
giustiziato a Norimberga senza aver riveduto
le sue idee e senza ombra di pentimento.
Ma in ciò che sosteneva non avvertite qualcosa
a noi familiare anche oggi?

Aldo Maria Valli

© Copyright Il Foglio 7 maggio 2010