DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il paradosso dei cani abbandonati. È davvero strana la passione smisurata di taluni verso gli animali domestici in un'epoca di scarso amore per l'uomo

di Carlo Bellieni

Arriva l’estate e arriva il tormentone, peraltro apprezzabile, di non abbandonare i cani sulle autostrade o nei boschi. Richiesta condivisibile, ma che ci fa domandare da dove venga tanto amore per gli animali in un’epoca di poco amore per l’uomo (per i bambini, poi…). Avere un animale domestico, membro della famiglia a tutti gli effetti è un’idea carina ma molto recente.

Fino alla ultima guerra era un vezzo che si poteva permettere solo qualche riccone e nemmeno tanti: il cane era un infestatore delle campagne e dei boschi poco meno del lupo, con l’unica differenza che si riusciva ad addomesticarlo come si fa con un cavallo e usarlo per la caccia o per sorvegliare un gregge. Il gatto poi, inaddomesticabile, viveva nelle case solo al fine di far sparire i topi. Erano due parassiti, che vivevano nella loro dignità animale con l’uomo per il fatto che erano utili reciprocamente. Riguardo agli altri animali, nessuno si faceva scrupoli ad ucciderli per alimentarsi. Oggi le cose sono cambiate: cani e gatti sono parte della famiglia, e per il resto degli animali ce ne alimentiano solo a patto che nessuno ci dica che la ciccia che mettiamo sotto i denti era prima un vitellino o un pesce guizzante. Altrimenti orrore! Oggi addirittura si tengono gare di pesca in cui il pesce viene ributtato vivo in acqua dopo esser stato esibito come trofeo e tutti sono contenti senza pensare che per essere pescato il palato del pesce è stato sbranato con un amo di acciaio, che lui è stato strappato a forza dal suo ambiente. Addirittura è capitato di sentire un giornalista che, commentando un fatto di cronaca in cui un pastore aveva ucciso un lupo per difendere un agnellino, si esprimeva così: “Come era bello quel povero lupo. E come era brutto il pastore”.
È un amore per gli animali che nasce dalla consapevolezza che l’amore per gli uomini/donne non è meccanico, che si può essere traditi, che bisogna sacrificarsi per esso, che non è detentivo, e dal rifiuto - per paura, per debolezza – di quest’evidenza, con conseguente ricaduta del nostro bisogno di amare sui quadrupedi che invece tante pretese in apparenza non ne hanno, non possono scappare se non a loro scapito, e possono essere tenuti loro malgrado chiusi in casa mentre sarebbero ben lieti di correre lontano mille miglia, ma non sanno lamentarsi o perlomeno non si fanno capire. E vengono ridicolizzati dall’uso di antidepressivi o ansiolitici per animali, che sono il patetico rimedio di non farli esprimere nella loro animalità, e di farceli sembrare meno dis-umani per sentirci noi meno cattivi. E sia arriva al paradosso nella via dei diritti degli animali: addirittura oggi esistono - giustamente - regole per l’obiezione di coscienza per i biologi contro gli esperimenti sugli animali, in un mondo però che cerca di non riconoscere l’obiezione di coscienza dei farmacisti e dei medici verso l’aborto. E si danno diritti speciali ai “grandi primati non umani” (gli scimmioni), solo perché “assomigliano geneticamente all’uomo” cosa discutibile, perché la differenza genetica tra un uomo e un gorilla e tra un uomo e un criceto è minima (la differenza vera è ben altro), ma allora si tratta solo di una differenza fisica che genera questo comportamento “specista”, cioè di animali trattati meglio degli altri su base di “razzismo di specie”, implicando che più si è simili all’uomo più diritti si hanno, in un paradosso stranissimo dato che la società che dà più diritti ai gorilla è quella che ammette che l’uomo non se ne differenzi se non per motivi casuali di evoluzione (e non si capisce su quale base si metta al culmine dell’evoluzione l’uomo e non il gabbiano che, sinceramente, mi pare più armonico! Magari non ha autocoscienza, ma voi la conoscete la coscienza di un gabbiano?). Già, perché questo fatto dell’evoluzione ha tanti punti oscuri, ma finisce stranamente per essere la giustificazione che al culmine della catena evolutiva, e dunque della natura, e del potere ci sia (vedi tutte le raffigurazioni delle scale evolutive) l’uomo, ma non il genere umano, ma il maschio, e il maschio bianco. Non abbandonate gli animali, per carità, e trattateli bene! Ma non fateli sembrare dei bambini o dei mariti o delle mogli per la vostra incapacità di avere rapporti con figli, mariti e mogli.


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