Non c’è scienziato che possa negare l’esistenza di Dio. Stephen Hawking ci dice com’è nato l’universo. Ma non affronta il perché. Il fisico esclude Dio dall’origine del mondo: "È inutile". Così abbiamo la spiegazione della Vita senza il suo significato
di Stefano Zecchi
Non c’è posto per Dio nella creazione dell’Universo. «La creazione spontanea è il motivo per cui c’è qualcosa e non il nulla, per cui l’Universo esiste, per cui noi esistiamo. Grazie alla legge di gravità, l’Universo può crearsi e si crea dal nulla. È inutile, perciò, chiamare in causa Dio per fargli toccare il cielo e fargli caricare la molla del meccanismo dell’Universo».
Queste tesi che pretendono di cancellare almeno tre millenni di filosofia e almeno un altro di pensiero sapienziale mitico-simbolico appartengono all’astrofisico inglese Stephen Hawking, esposte nel suo ultimo volume, tra alcuni giorni in libreria, The Grand Design (Il processo grandioso), di cui ieri il Times ha pubblicato in evidenza lunghi brani.
Hawking è uno scienziato di grande fama, noto anche al pubblico che non si interessa di astrofisica per la sua terribile disgrazia. Più di una volta lo si è visto in televisione con il suo povero corpo devastato da una malattia degenerativa del sistema nervoso che lo obbliga a muoversi su una sedia a rotelle e chi gli permette di comunicare solo attraverso un sintonizzatore.
Una decina d’anni fa, Hawking, nel suo libro Una breve storia del tempo, aveva sostenuto che non c’è incompatibilità tra un Dio creatore e la comprensione scientifica dell’universo. «Se arrivassimo a scoprire una teoria completa sarebbe il trionfo definitivo della ragione umana perché così avremo modo di conoscere la mente di Dio», aveva scritto nel libro appena ricordato, pubblicato nel 1998. Ma in quest’ultimo, The Grand Design, la tesi è radicale: non c’è bisogno di un Dio per capire la formazione dell’universo e della nostra presenza su questa Terra.
Se il grande astrofisico ricordasse un po’ della filosofia studiata nel primo anno di liceo non dimenticherebbe che una delle tesi più note del materialismo classico, che ha attraversato la cultura moderna (Karl Marx, per esempio, ne è un grande estimatore), è quella del greco Democrito. La sua teoria delle klinamen, spiegava l’origine del mondo dal contatto di particelle di materia, che si incontrano a causa di una determinata inclinazione, formando il Tutto, così a caso, senza un disegno divino: «Democrito che il mondo a caso pone», scrisse Dante nella Divina Commedia.
La storia del materialismo senza Dio è tanto vecchia quanto la sua confutazione. Ma Hawking intende offrirci una teoria scientifica incontrovertibile, di fronte alla quale si devono genuflettere coloro che credono ancora nella storiella di Dio che ha creato il mondo e l’uomo. Se il grande astrofisico Hawking ricordasse un po’ di filosofia classica, capirebbe che il problema non è la spiegazione dell’origine del mondo, ma il suo significato.
La spiegazione può fornirla la scienza, che ha comunque sempre la pretesa di dire l’ultima parola, come, appunto, è il caso de Il progetto grandioso. Ma gli uomini, che possiedono il lume della ragione, si chiedono qual è il significato del mondo, perché c’è il Tutto e non il Nulla, perché ci sono la vita e la morte. Si chiedono il perché del male all’uomo giusto: dall’antica e originaria domanda di Giobbe a Dio, alle grandi riflessioni filosofiche sulla teodicea, la questione non ha esaurito il mistero, quell’ignoto che guida l’uomo su questa terra alla ricerca del significato di verità che mai potrà raggiungere, proprio come l’orizzonte che si muove insieme a lui.
Hawking è costretto su una sedia a rotelle, parla grazie alla tecnologia: ha tutte le spiegazioni della sua malattia, fornitegli dalla scienza. Ma la scienza medica non gli dirà mai perché proprio lui è stato colpito dal male e quale significato ha la sua sofferenza per il male. Forse Hawking, come Giobbe, avrà domandato a Dio il perché del male a un giusto.
Questo desiderio di comprendere il disegno di Dio è fortissimo in Hawking, come, tra l’altro, è testimoniato dal passo sopra citato dal suo libro del 1998. In questa ultima opera, Il progetto grandioso, Hawking ricorda la scoperta, nel 1992, di un pianeta che orbita intorno a una stella simile alla Terra intorno al Sole. Ciò conferma, a suo giudizio, che il caso terrestre non è unico. Ora, considerando che è altamente probabile che non solo esistano altri pianeti simili alla Terra ma addirittura altri universi, Hawking si chiede: se Dio avesse voluto creare l’universo allo scopo di creare l’uomo, che senso avrebbe avuto aggiungere tutto il resto?
Appunto: che senso, qual è il significato dell’universo, dell’uomo? La ricerca scientifica tenta (ha sempre tentato) di chiudere in una gabbia quel fastidioso, scientificamente inopportuno significato e di buttare via la chiave. Ma finché esisterà l’uomo, quella gabbia non potrà mai essere chiusa, perché finché esisterà, l’uomo, che ha lume di ragione, non rinuncerà a domandarsi il significato della vita e della morte, del male e della bellezza.
Queste tesi che pretendono di cancellare almeno tre millenni di filosofia e almeno un altro di pensiero sapienziale mitico-simbolico appartengono all’astrofisico inglese Stephen Hawking, esposte nel suo ultimo volume, tra alcuni giorni in libreria, The Grand Design (Il processo grandioso), di cui ieri il Times ha pubblicato in evidenza lunghi brani.
Hawking è uno scienziato di grande fama, noto anche al pubblico che non si interessa di astrofisica per la sua terribile disgrazia. Più di una volta lo si è visto in televisione con il suo povero corpo devastato da una malattia degenerativa del sistema nervoso che lo obbliga a muoversi su una sedia a rotelle e chi gli permette di comunicare solo attraverso un sintonizzatore.
Una decina d’anni fa, Hawking, nel suo libro Una breve storia del tempo, aveva sostenuto che non c’è incompatibilità tra un Dio creatore e la comprensione scientifica dell’universo. «Se arrivassimo a scoprire una teoria completa sarebbe il trionfo definitivo della ragione umana perché così avremo modo di conoscere la mente di Dio», aveva scritto nel libro appena ricordato, pubblicato nel 1998. Ma in quest’ultimo, The Grand Design, la tesi è radicale: non c’è bisogno di un Dio per capire la formazione dell’universo e della nostra presenza su questa Terra.
Se il grande astrofisico ricordasse un po’ della filosofia studiata nel primo anno di liceo non dimenticherebbe che una delle tesi più note del materialismo classico, che ha attraversato la cultura moderna (Karl Marx, per esempio, ne è un grande estimatore), è quella del greco Democrito. La sua teoria delle klinamen, spiegava l’origine del mondo dal contatto di particelle di materia, che si incontrano a causa di una determinata inclinazione, formando il Tutto, così a caso, senza un disegno divino: «Democrito che il mondo a caso pone», scrisse Dante nella Divina Commedia.
La storia del materialismo senza Dio è tanto vecchia quanto la sua confutazione. Ma Hawking intende offrirci una teoria scientifica incontrovertibile, di fronte alla quale si devono genuflettere coloro che credono ancora nella storiella di Dio che ha creato il mondo e l’uomo. Se il grande astrofisico Hawking ricordasse un po’ di filosofia classica, capirebbe che il problema non è la spiegazione dell’origine del mondo, ma il suo significato.
La spiegazione può fornirla la scienza, che ha comunque sempre la pretesa di dire l’ultima parola, come, appunto, è il caso de Il progetto grandioso. Ma gli uomini, che possiedono il lume della ragione, si chiedono qual è il significato del mondo, perché c’è il Tutto e non il Nulla, perché ci sono la vita e la morte. Si chiedono il perché del male all’uomo giusto: dall’antica e originaria domanda di Giobbe a Dio, alle grandi riflessioni filosofiche sulla teodicea, la questione non ha esaurito il mistero, quell’ignoto che guida l’uomo su questa terra alla ricerca del significato di verità che mai potrà raggiungere, proprio come l’orizzonte che si muove insieme a lui.
Hawking è costretto su una sedia a rotelle, parla grazie alla tecnologia: ha tutte le spiegazioni della sua malattia, fornitegli dalla scienza. Ma la scienza medica non gli dirà mai perché proprio lui è stato colpito dal male e quale significato ha la sua sofferenza per il male. Forse Hawking, come Giobbe, avrà domandato a Dio il perché del male a un giusto.
Questo desiderio di comprendere il disegno di Dio è fortissimo in Hawking, come, tra l’altro, è testimoniato dal passo sopra citato dal suo libro del 1998. In questa ultima opera, Il progetto grandioso, Hawking ricorda la scoperta, nel 1992, di un pianeta che orbita intorno a una stella simile alla Terra intorno al Sole. Ciò conferma, a suo giudizio, che il caso terrestre non è unico. Ora, considerando che è altamente probabile che non solo esistano altri pianeti simili alla Terra ma addirittura altri universi, Hawking si chiede: se Dio avesse voluto creare l’universo allo scopo di creare l’uomo, che senso avrebbe avuto aggiungere tutto il resto?
Appunto: che senso, qual è il significato dell’universo, dell’uomo? La ricerca scientifica tenta (ha sempre tentato) di chiudere in una gabbia quel fastidioso, scientificamente inopportuno significato e di buttare via la chiave. Ma finché esisterà l’uomo, quella gabbia non potrà mai essere chiusa, perché finché esisterà, l’uomo, che ha lume di ragione, non rinuncerà a domandarsi il significato della vita e della morte, del male e della bellezza.
«Il Giornale» del 3 settembre 2010