Da uno scritto di Paolo Sottopietra che dobbiamo alla FSCB
Nella coscienza del bambino, l’armadio immaginato da Lewis, cioè l’ultimo lembo fisico del nostro mondo, trascolora e sbiadisce, i peli dei cappotti di pelliccia diventano aghi di pino, la polvere e la naftalina diventano neve ed ecco: siamo in un altro mondo, governato da altre logiche, che ha vissuto un’altra storia, che è popolato da esseri diversi. E con tutto ciò il bambino si relaziona in modo spontaneo e naturale, come accade nel gioco.
I bambini si immergono nel mondo della preghiera in modo altrettanto naturale che nel mondo delle favole, come dimostra il dialogo sul paradiso che ho riferito. E sanno fare la differenza. Basta che qualcuno abbia la carità di raccontare i fatti e di presentare i personaggi di un mondo che non si vede, ma che è reale e concreto.
«Caro Dio Padre», scriveva Antonietta Meo, Nennolina, la bambina santa morta a Roma a sette anni nel 1937, «di’ a Gesù che io sono molto contenta di riceverlo e spero che sarà contento anche Lui» . Esiste un mondo invisibile. Dobbiamo riappropriarci di questa fondamentale evidenza.
Senza l’invisibile, il visibile non si spiega. Il nostro mondo ha le sue radici e i suoi fondamenti nell’invisibile. Per Platone e per Aristotele, per gli antichi che li hanno seguiti, questo mondo è luminoso e rischiaratore. Perciò fonte di attrattiva, termine verso cui tendere. Il materialismo della nostra mentalità, al contrario, ha negato, in nome di una pseudo-razionalità, questo strato di realtà che rimane nascosto al nostro sguardo fisico.
Ed esso è tornato ad essere un fondo cupo, un terreno insicuro a cui si pensa con angoscia e paura. Entrare nel silenzio e nella preghiera significa recuperare un’infanzia dello spirito che crede concretamente nell’esistenza di un mondo che fonda il nostro mondo, un’infanzia nuova nella maturità, che vive la comunicazione con la presenza amorosa e personale di quel «Dio invisibile» (Col 1,15) di cui parla san Paolo nella Lettera ai Colossesi.