L’Occidente si può ricostruire. Per il «filosofo più influente al mondo» nella nostra civiltà il rancore ormai ha preso il posto della fede, «ma i barbari non hanno ancora distrutto tutto. La pietas ci salverà»
Achi gli chiede di rispondere all’accusa di essere un «reazionario», risponde: «Sì, sono un reazionario. Nel senso che reagisco a ciò che vedo». Roger Scruton coltiva il sano pessimismo dei bastian contrari e l’irriducibile speranza degli architetti medioevali che, anche in tempi di barbarie, sanno dove andare a porre la pietra angolare dei loro pensieri. Giornalista, scrittore, filosofo, insegna all’Institute for the Psychological Sciences della Virginia. è conosciuto come l’ispiratore del thatcherismo, anche se la definizione può essere presa per buona solo a patto di non cristallizzarla in schemi impermeabili all’imprevisto di nuove intuizioni.
E' l’autore della Guida filosofica per tipi intelligenti e del Manifesto dei conservatori, scrive di vino sul The New Statesman e dei temi più disparati sull’American Spectator. Quello che per il New Yorker è «il più influente filosofo al mondo» ama la musica (è compositore), l’architettura (ma non le archistar) e la caccia alla volpe, Thomas Stearns Eliot e Dante Alighieri. è stato in Italia nel maggio 2006, invitato da Tempi per una serie di incontri con Giuliano Ferrara. Vita e Pensiero ha da poco pubblicato La cultura conta. Fede e sentimento in un mondo sotto assedio, brillante omaggio funebre alla cultura, dimensione ormai sconosciuta in tempi di basso impero. Eppure Scruton, anche quando s’ostina a pestare il mortaio sull’insensatezza degli idoli moderni, non si sofferma mai alla sterile elegia del passato. è per questo che, proprio al termine dell’ultimo libro si trova il capitolo “Raggi di speranza”, in cui il filosofo inglese elenca le persone e i gruppi di persone che hanno saputo nell’ultimo mezzo secolo del Novecento «rigettare il nichilismo dominante»: «Giovanni Paolo II, il movimento giovanile di Comunione e Liberazione, fondato in Italia da don Luigi Giussani, correnti filosofiche tipo quella promossa da René Girard in Francia, da Jan Patocˇka in Europa Centrale, da Czeslaw Milosz in Polonia e Aleksandr Solzenicyn in Russia».
Come il suo adorato Eliot, Scruton si rammarica che il mondo moderno non ci permetta più di «prendere una parola e da essa estrarne il mondo», ma che, al contrario, le parole siano usate per occultare. Celare il reale per «nasconderne il significato» al fine di imporre nuove eresie, «cioè verità esasperate in menzogne». Un suo maestro, Thomas Masaryk, negli anni Trenta, previde un futuro in cui «ogni fede sarebbe stata messa in dubbio, ogni moralità relativizzata, ogni appagamento annientato». E, aggiunge Scruton a Tempi, «certamente abbiamo fatto molta strada in quella direzione. Ma non siamo ancora arrivati a quel punto, e l’umanità nel passato è spesso tornata indietro dall’orlo del baratro, come ha fatto alla fine dei Secoli Bui».
Nichilismo a luci rosse
Eppure i segnali che giungono, in particolare dal Vecchio Continente, sembrano indicare che il piede che franerà nell’abisso è stato levato. Nella sua Inghilterra – dove, ebbe a dire, ormai «Dio è uno straniero, un immigrato clandestino» – Sky Real Lives ha mandato in onda il suicidio di Craig Ewert, malato di Sla. Il suicidio uscito dalla sfera della disfatta e della ribellione privata si è trasformato in show, documentario, reality. Per Scruton, in storie come questa, c’è «il potenziale per una sorta di pornografia della morte. I cuori delle persone saranno induriti dalle immagini del suicidio al punto che nessuno reagirà nemmeno se il suicidio è manifestamente assistito, e nemmeno quando quel che è presentato come “suicidio” non lo è affatto, ma è piuttosto il frutto di una manipolazione o di un inganno».
Così come è una frode quella spacciata dal sito internet del quotidiano francese Liberation che ha scelto di ospitare un “Osservatorio sull’eterosessualità”. Sulle istanze omosessuali – «è l’ortodossia della nuova ummah dei disaffezionati» – Scruton puntò l’indice contro «la filosofia contemporanea che ha ridotto il problema della morale sessuale a quello dei diritti. Viviamo in un tempo esposto alla causa del nulla e ciò è dimostrato dalla mancanza di volontà di avere figli, cioè di creare qualcosa che abbia un significato al di là del momento». Oggi, di fronte all’iniziativa online del quotidiano francese, annota che siamo di fronte «a una delle eredità del femminismo: il credere che il “genere” sia un artificio sociale e che noi possiamo costruirlo in qualsiasi modo ci piaccia, e in particolare in modo tale da liberare la gente da “ruoli di genere” non desiderati. Fa parte del tentativo di normalizzare l’omosessualità l’idea secondo cui l’eterosessualità debba essere essa stessa descritta come una “costruzione” che può comportare una violenza nei confronti di coloro che vi sono sottomessi»
L’uomo, bestia morale
Ed è una costruzione anche quella che vuol farci credere di essere solo delle scimmie in giacca e cravatta, ma non per questo più evolute degli orangutan del Borneo. Sulle istanze dell’ambientalismo più sciocco Scruton riversa spesso una ferocia cannibale. Tempo fa allevò e mangiò un maiale cui aveva dato il nome del grande teorizzatore dei diritti degli animali: Singer. Lo ha pasciuto, sgozzato e quindi macellato a casa sua, il tutto – orgogliosamente – al di fuori di qualsiasi confine di legalità. E a chi gli chiedeva conto dell’“efferato delitto”, Scruton non aveva altro da far notare se non che «siamo diversi dagli animali, siamo esseri morali, mentre gli animali non lo sono. Da qui la domanda se mangiarli o meno. Loro non si pongono questa domanda. Difendo l’opinione secondo cui noi dobbiamo mangiarli perché, se non li mangiassimo, non esisterebbero». è per questa ragione che può solo ridere amaro della Spagna di José Luis Rodriguez Zapatero, paese che ha voluto garantire i “diritti fondamentali” anche alle grandi scimmie antropoidi. «La Spagna di Zapatero – spiega – è un ottimo esempio di una nazione in fuga dal proprio passato e dalla propria identità spirituale. È in uno stato di ripudio, e non sorprende la scoperta che il movimento per i diritti degli animali ha messo radici laggiù, dove tutte le forme tradizionali di distinzione stanno subendo un processo di erosione. Il problema, ovviamente, è che si possono garantire diritti agli scimpanzé, ma non si può insistere sui loro doveri, e di conseguenza i diritti diventano vuoti privilegi che non portano beneficio né all’umanità nella quale vivono immersi gli scimpanzé né agli stessi scimpanzé. Immaginiamo di garantire “libertà di movimento” o “libertà di associazione” agli scimpanzé. Come sarebbe la nostra vita?».
La gratitudine e il perdono
La filosofia di Scruton può essere riassunta in parole “antiche”, e bellissime, con cui il filosofo cerca di sottrarre l’esistente dalla coltre dell’indistinto. Pietas, gratitudine, perdono, riso (Scruton ha scritto pagine chestertoniane sull’idea di ironia). Parole che si contrappongono a multiculturalismo, tolleranza, altruismo («l’altruismo, a differenza della pietà, ha esiti sadici»), termini ormai usati per legittimare, spesso, violenze indicibili. Per questo, per Scruton si tratta di recuperare un senso dell’umano che solo la tradizione giudaico-cristiana è ancora in grado di comunicare. La pena è barare sul senso dell’evidente, come ebbe a dire a Giulio Meotti del Foglio: «è vero che il feto è un collage di elementi chimici, ma solo nel senso che la Quinta sinfonia di Beethoven è solo una collezione di suoni, la Monna Lisa di colori e i Promessi Sposi di parole. Creazione significa invece creare un significato. Se gli esseri umani cominciano a scomporre il tutto nelle parti, si ritroveranno in un mondo senza significato di atomi disconnessi in cui niente sembra prendere parte al presente». «Quando la fede si ritira – dice a Tempi – il rancore prende il suo posto. Questo è quel che vediamo oggi nel mondo occidentale: il rancore per i successi degli altri, per la buona sorte degli altri, per le doti degli altri, e il desiderio di essere una celebrità che gli altri invidiano e verso la quale gli altri provano rancore a loro volta. Il perdono è il contrario di questo atteggiamento; è il desiderio di dare agli altri, di trarre piacere dal loro piacere, e di essere umili al cospetto dei nostri stessi errori».
La libertà e l’obbedienza
In tempi in cui tutto, per diritto, deve essere permesso, Scruton ama ripetere che «la vera libertà, la libertà concreta non è agli antipodi dell’obbedienza, ma solo l’altro lato di essa». Perché, chiosa, «il mondo non ha bisogno di pietà a buon mercato, ma di pietas: l’abitudine all’obbedienza e all’umiltà al cospetto della creazione, e la rinuncia al desiderio di sfruttare, di controllare, di essere l’Übermensch a cui il mondo deve prostrarsi. La gratitudine sta scomparendo dal mondo come lo conosciamo. Eppure è la risposta adeguata al dono dell’esistenza, e il modo di trasformare l’esistenza in una fonte di gioia anziché di ansia. Consiglio il contrario dell’esistenzialismo: vivere nella gratitudine, non nell’ansia, essere umili, non ostinati, riconoscere l’estensione della nostra ignoranza e il bisogno di essere riconciliati con gli altri e con il nostro destino».
Come l’Eucarestia nelle catacombe
Vasto programma? Nel suo Il tramonto dell’Occidente Oswald Spengler scriveva: «Un giorno l’ultimo ritratto di Rembrandt e l’ultima battuta di Mozart cesseranno di esistere perché l’ultimo occhio e l’ultimo orecchio accessibili al loro messaggio saranno scomparsi». Scruton ha già osservato che è senz’altro veritiero che l’uomo moderno vaga come un cieco in una valle nebbiosa, ma anche che «sta emergendo un forte movimento laico e soprattutto cattolico che va nell’opposta direzione, rappresentato da Karol Wojtyla e da Joseph Ratzinger». Non è ancora giunto il tempo di suonare le campane a morto. «No, ricostruire è ancora possibile, e lo vediamo accadere. La fede è difficilmente reperibile in un’epoca di buio, ma brilla come una luce all’orizzonte, e quella luce cresce come ci si avvicina ad essa. I barbari non hanno distrutto tutto, ci hanno solo obbligato a privatizzarlo, a ospitarlo dentro noi stessi come memoria e a tenerlo lì, come una volta l’Eucarestia era tenuta nelle catacombe».
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