"Mi aveva fatto venire i nervi", si è giustificato l'uomo che ha ridotto in coma un tassista a Milano. "Mi ha insultato, e ho sbroccato", ha spiegato il giovane che con un pugno ha ucciso un'infermiera a Roma. Per capire cosa stia accadendo si comincia a parlare di pulsioni (come ha fatto il sociologo Giuseppe De Rita sul "Corriere della Sera" del 13 ottobre). Un concetto psicologico abbastanza specifico, che indica le spinte istintuali dirette a soddisfare immediatamente un bisogno della persona.
Il discorso si fa così più concreto: ci sono spinte, bisogni reattivi, spesso irrazionali, legati alla sfera dell'aggressività, che escono con più frequenza e forza di prima, suscitando inoltre sempre meno reazioni nei presenti, che raramente, e tardi, intervengono per fermarle. A cosa è dovuto, però, il diffondersi di manifestazioni incontrollate di spinte distruttive?
Si ha l'impressione di assistere all'organizzazione di un intero sistema della violenza pulsionale: c'è lo scoppio aggressivo, agito da una o più persone; l'evitamento da parte dei presenti, che pensano solo a non essere coinvolti (o a guardare da postazioni sicure, se la situazione lo consente, soddisfacendo altre pulsioni, voyeuristiche); e infine l'utilizzo spettacolare realizzato dai media dell'effetto di orrore, ma anche di altre sensazioni di natura pulsionale, istintivo-emotiva piuttosto torbide.
Il modo di vivere un atto violento è cambiato: lo scoppio distruttivo della pulsione non rimane più nella società postmoderna il fatto individuale di chi non riesce a trattenerla, ma diventa l'esperienza sociale e collettiva di ampi gruppi di persone che vi partecipano da una posizione di sicurezza fisica, traendone una gamma di emozioni e sensazioni, di cui la compassione e la solidarietà per la vittima rappresentano una parte modesta. L'evento entra poi, in posizione di riguardo, nell'attività produttiva dei media, e nei consumi da essa indotti.
Di fronte a questo fenomeno, di carattere sistemico e non più individuale, la spiegazione più frequente - cioè che tutto ciò accade perché famiglia, scuola e autorità istituzionali non insegnano più norme e modi di vita - non sembra soddisfacente. Anche l'attribuzione di questa dimissione educativa al '68 e agli anni Settanta, cronologicamente esatta, non spiega come abbia potuto far crollare un intero sistema normativo una rivoluzione ovunque fallita, dotata di espressioni culturali di evidente modestia, e che non ha espresso in nessun Paese né un Governo né una formazione politica. Un sistema normativo, tra l'altro, non limitato alle norme positive, ma che riguarda il sentire e i comportamenti affettivi ed emotivi. Qualcosa che dal punto vista antropologico assomiglia al modello di cultura cui si ispira l'intera società.
Perché tutto ciò accada è di solito necessaria una trasformazione incisiva nel modo di sentire degli individui e dei gruppi, che tocca sia i livelli profondi della psiche individuale e collettiva, sia l'ordine simbolico, che produce e struttura le relazioni fra gli uomini. Dal punto di vista psicologico sembra infatti che si stia realizzando un rovesciamento profondo della struttura della psiche individuale descritta dal fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud. L'Io, il rappresentante della coscienza personale, vi compariva come assediato dalle pressioni delle pulsioni inconsce (l'Es), ma assistito nel contenerle dalle indicazioni delle proprie istanze normative (Super Io), una sorta di dispositivo di controllo personale che teneva conto anche delle norme e dei comportamenti proposti dal collettivo.
Oggi appare invece una sorta di capovolgimento della posizione del Super Io, che da alleato dell'Io nel far fronte alle spinte pulsionali è diventato di fatto un loro alleato dell'inconscionell'incalzare l'Io, il soggetto; con l'avallo più o meno palese del sistema delle comunicazioni. Si tratta di uno sviluppo che Theodor Adorno, filosofo della scuola di Francoforte, aveva previsto già negli anni Quaranta. Il suo manifestarsi aveva poi influenzato la visione psicoanalitica di Jacques Lacan, e la sua piena realizzazione viene oggi confermata dalle acute e anticonformiste analisi del filosofo sloveno Slavoj Zizek. Si tratta di un rovesciamento profondo nel modo di funzionare della psiche delle persone, che può spiegare molti dei fenomeni oggi in atto.
Dal punto di vista antropologico, però, perché un intero ordine simbolico venga sovvertito è necessario che la Grundnorm ("norma fondamentale") che lo regge sia stata negata nella coscienza collettiva o rimossa. E questo rimanda non tanto ai genitori che non insegnano più a contenere le pulsioni, ma al vasto sommovimento valoriale realizzato nel processo di secolarizzazione che si può sintetizzare nella frase "se Dio è morto, tutto è possibile".
È lo spingere il Padre lontano dalla vita quotidiana di ognuno di noi che lascia il soggetto umano e la sua coscienza privi di difese dal mondo potente delle pulsioni, incorporate nel frattempo nello stesso sistema di produzione, di consumo e comunicazione. Perché è la visione del Padre che trasforma la pulsione.
(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2010)