Che cosa mettiamo in gioco di noi stessi quando utilizziamo un social network? Che cosa perdiamo quando ne abusiamo? Il Corriere della Sera dà notizia dell’uscita in Italia, a cura di Marisa Maraffino, del primo libro che mette in guardia dall’uso troppo disinvolto di Facebook, Twitter, e compagnia cantante, onde evitare “di perdere la faccia, l’amore, il lavoro”. Ovvero, le tre cose per cui vale la pena diventare assidui frequentatori di un social network.
Sì, certo, ci sono gli amici lontani e i vecchi compagni di scuola. Quelli che se ci siamo persi di vista da vent’anni ci sarà un perché e ora non vediamo l’ora di inondare di aggiornamenti di status e di foto di pargoli e vacanze in un vortice instancabile di consumismo emozionale.
Nessuno obbliga gli iscritti a inserire i propri dati personali, a esibire la propria vita, a postare foto imbarazzanti, ma, dati alla mano, la maggior parte dei frequentatori di un social network, lo fa. Senza inibizioni e, soprattutto, senza riflettere troppo sulle conseguenze.
Vige tra gli internauti, tra i più giovani ma non solo, una sorta di “pensiero magico” per cui la Rete è un universo parallelo in cui non vigono le regole del mondo reale e quindi si possono abbandonare freni inibitori e il buon senso. Ignorando, più o meno consciamente, che il web condanna all’immortalità: una volta che l’hai postato e qualcun altro lo riprende, l’oblio diviene un’opzione escludibile. Per azzardare un’analisi sociologica si potrebbe dire che una buona dose di esibizionismo non manca, ma l’incoscienza pare divenuta patologia diffusa.
Gli esempi, anche nelle cronache recenti, non mancano. In via generale, la modalità di sputtanamento più diffusa nasce dal fatto che quella cosa buffa che si pensava di aver condiviso con pochi amici diventa, viralmente e in brevissimo tempo, di amico in amico, proprietà diffusa di perfetti sconosciuti che la rimbalzano dove non avremmo mai voluto farla arrivare.
E questo nonostante si continui a leggere come, con preoccupante frequenza, i selezionatori delle risorse umane, dopo i colloqui di lavoro, vadano a sbirciare nei profili Facebook dei candidati.
In questo modo assumono in via del tutto legale e senza costo di spesa, informazioni, diremmo “sensibili” sui potenziali candidati: interessi, passioni, stili e modi di vita, amicizie, idee politiche, inclinazioni, annessi e connessi.
Così come non è più possibile ignorare che le stampe di schermate da conversazioni in chat o scambi su social network cominciano ad essere parte integrante anche nei processi di separazione dei tribunali italiani. Le prove di un tradimento virtuale non sono meno reali di giorni di appostamento da parte di un investigatore privato, né il risultato diviene meno sanzionabile.
Perché allora la gente continua ingenuamente a mettere in piazza gli affari propri? Trattasi di piazza virtuale, ma pur sempre piazza è, e come tale vive di pettegolezzi, di bravate, di chiacchiere, di maldicenze, di affetti veri o fasulli. La riedizione online del nostro personalissimo “ragazzi del muretto”. Con la rilevante differenza che, di rilancio in rilancio, le fotografie della vacanza “sopra le righe” rischiano di finire sul desktop di chi, lavorativamente o sentimentalmente parlando, si vorrebbe colpire con ben altre doti.
Emanuela Vinai
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