Il dito di Maurizio Cattelan e i suoi bamboccini ricordano le statue dei peggiori musei delle cere. Tutto viene dissacrato perché niente ha valore. Ciò che conta è l'idea e non la fattura. E quest'idea elogia il nichilismo
Doveva restare in Piazza Affari solo il tempo della Settimana della Moda, invece ora il dito di Maurizio Cattelan rischia di diventare un elemento permanente dell'arredo urbano milanese. Il sindaco Moratti si mostra possibilista e un sondaggio sul sito di Repubblica ha visto esprimersi a favore dell'opera oltre i due terzi degli 8 mila internauti che hanno partecipato.
In realtà non c'è da meravigliarsi: l'arte contemporanea di cui Cattelan è alfiere, è nichilista, ma oggi il nichilismo è cultura di massa e perciò il consenso della maggioranza è scontato.
La cifra stilistica di Cattelan è la provocazione/profanazione. Dal dito medio mostrato alla città alla scritta Inri sopra un cavallo crocifisso, dai bambini impiccati al Papa colpito dal meteorite, fino all'Hitler inginocchiato in preghiera, la sottolineatura è costante: nulla merita rispetto, tutto deve essere dissacrato perché nulla in realtà ha valore. La dissacrazione non riguarda solo i simboli cristiani, ma tutto ciò che per l'umanità ha un valore: l'infanzia, l'arte classica, ecc.
Si pensi al famoso dito: la mano di marmo cui appartiene richiama i classici greci o Michelangelo, che l’“artista” rievoca solo per ridurre a mero gestaccio. L'armonia è recuperata con una citazione, al solo scopo di distruggerla. E qui si arriva a un'altra caratteristica della maggior parte dell'arte contemporanea, Cattelan compreso: la mediocrità creativa degli artisti, che per realizzare le proprie “installazioni” compiono operazioni che anche un manovale saprebbe eseguire, oppure utilizzano oggetti creati da altri, oppure esibiscono una manualità puerile.
I bamboccini di Cattelan ricordano tanto le statue dei musei delle cere, e non dei migliori: più quello di San Marino che quello di Madame Tussauds. Perché è l'idea ad essere importante, il concetto che si vuole esprimere, che in fondo è sempre lo stesso: evviva il nichilismo, di tutto si deve dubitare e nulla merita omaggio o reverenza.