di Lucetta Scaraffia
Tratto da L'Osservatore Romano del 10 ottobre 2010
Nella vita politica, soprattutto per quanto riguarda le questioni bioetiche, è difficile accettare i risultati negativi. Lo vediamo in Italia a proposito della sconfitta subita nel 2005 da chi aveva proposto il referendum per abrogare la legge sulla fecondazione assistita, fallito nel suo intento. Infatti di nuovo si sta cercando di modificare la legge - in questo caso per rendere possibile la fecondazione eterologa - per via legale, dal momento che quella politica non si è rivelata percorribile.
Ma quanti tentano di cambiare la legge sono fiduciosi nel loro insistere, perché sanno che ormai è passato un quinquennio dal referendum, e il tempo che scorre è a loro favore. Infatti, come ha scritto l'intellettuale protestante francese Jacques Ellul, nelle nostre società assistiamo di continuo a uno "slittamento morale". Così, le innovazioni tecniche, che al loro apparire sono oggetto di condanna generale, cinque o dieci anni più tardi paiono accettabili.
A provocare questo cambiamento sono il confronto con altri Paesi, dove queste innovazioni sono state accettate - che diano cattiva prova nella loro attuazione non conta niente - e soprattutto la realtà di fondo per cui la scienza è l'unica ideologia sopravvissuta, cosicché di fatto la tecnica crea nuovi valori e una nuova etica del comportamento. Scrive ancora Ellul che "una proposizione morale verrà considerata valida per un dato periodo solo se sarà conforme al sistema tecnico, se concorderà con esso".
Si tratta di uno slittamento etico che vediamo costantemente in atto, in Italia e in altri Paesi - gli esempi possibili sono numerosissimi - ma che, in un certo senso, diamo per scontato: il progresso va avanti, e se ci opponiamo a esso ci viene subito ricordato come, nel nostro recente passato, solo persone ottuse e antiquate avessero paura dei treni e delle automobili, per poi ricredersi qualche tempo dopo. Come se la tecnica applicata ai trasporti fosse paragonabile a quella utilizzata nei confronti degli esseri umani; come se quello che viene dopo fosse sempre meglio di quello che c'è prima solo perché sembra più efficace.
È un problema drammatico del nostro tempo che il cardinale Ratzinger ha lucidamente denunciato alla vigilia della morte di Giovanni Paolo ii, nel discorso tenuto a Subiaco in occasione del conferimento del premio San Benedetto: "In un mondo basato sul calcolo, è il calcolo delle conseguenze che determina cosa bisogna considerare morale oppure no". E si deve aggiungere che si tratta di conseguenze sempre più superficiali e a breve scadenza, in sostanza coincidenti con l'esaudimento del desiderio individuale provato in quel preciso momento, senza alcuna riflessione su quanto accadrà ad altre persone. Per esempio, nel caso della fecondazione eterologa, del bambino che non saprà mai di chi è figlio.
Si delinea così una logica delle conseguenze che sottende l'idea - mai esplicitata, ma implicita in molte argomentazioni - secondo la quale ciò che è morale si identifica con ciò che è fattibile. Ed è esattamente questa l'etica che la scienza propone e che, con il trascorrere del tempo, sembra riuscire a imporre con successo. Come se fosse l'ovvia conseguenza di una presa d'atto della sua razionalità e della sua bontà.
Questo continuo affermarsi dello slittamento morale insegna quindi a non fidarsi mai dei risultati raggiunti, a non fare troppo conto neppure di quelli politici, perché l'unico modo vero per sconfiggere questa etica superficiale e utilitaristica è lavorare per cambiare la mentalità, per trasformare la cultura, per far sì che un numero sempre maggiore di persone si renda conto di quello che sta veramente succedendo e decida di opporvisi. Anche attraverso una nuova evangelizzazione che porti a una fede consapevole, capace di leggere il tempo presente in modo critico, senza paura di sembrare antiquati.