Mentre uno dei collegi tra i più esclusivi del mondo, il collegio cardinalizio, si riassesta e riorganizza al proprio interno con 24 nuove entrate tra le quali, a sorpresa, non figurano i nomi di due arcivescovi in sedi d’eccezione – Giuseppe Betori di Firenze e Braulio Rodríguez Plaza di Toledo –, una delle più prestigiose istituzioni cattoliche d’Europa, l’antica Università di Lovanio, sembra voler cedere definitivamente il passo al mondo, al secolo, alla cultura laicista votata all’espulsione della cattolicità dal discorso pubblico. E’ di queste ore la notizia che il rettore del nobile ateneo, Mark Waer, ha detto d’essere intenzionato a espungere una volta per tutte l’aggettivo “cattolica” dalla denominazione dell’università. Si tratta di un requiem clamoroso per una dizione un tempo simbolo di un mondo del quale andare fieri, un addio che assume contorni bizzarri se si leggono le motivazioni che spingono a questo storico passo. Sul banco degli accusati ci sono Roma, il Papa, la curia romana, la sua funzione di watchdog della dottrina cattolica. A detta di Waer, Roma ha superato ogni decenza, ogni limite del consentito. Primo: predica bene ma razzola male, come gli scandali della pedofilia nel clero sembrano dire. Secondo: è retrograda, reazionaria, chiusa, come le critiche al Nobel per la medicina, il “papà” della fecondazione in vitro, Robert Edwards, dimostrano.
La Conferenza episcopale belga sembra inerte di fronte alla proposta di Waer. Anche l’arcivescovo conservatore di Malines-Bruxelles e primate del Belgio, André-Joseph Léonard, sembra potere poco o nulla contro quello che la scorsa primavera, davanti alla Pontificia commissione biblica, Benedetto XVI ha definito come l’emergere di una nuova dittatura, “la dittatura del conformismo”. Ha detto: “C’è un conformismo per cui diventa obbligatorio pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti”. E ancora: “La sottile aggressione contro la chiesa, o anche meno sottile, dimostrano come questo conformismo può realmente essere una vera dittatura”. Del resto, molto poco Léonard aveva potuto fare anche contro un altro clamoroso sfondamento della cultura secolarista all’interno della cattolicità: lo sventramento da parte della polizia belga della tomba del prestigioso cardinale Léon-Joseph Suenens alla ricerca di carte segrete che volevano inchiodare “il grande orco”, l’ex primate del Belgio Godfried Danneels ritenuto colpevole di aver offerto copertura a preti pedofili. Fu il primo gesto clamoroso che dimostrò anche una certa arrendevolezza della chiesa. Una chiesa abbandonata a se stessa, a paure un tempo ritenute di poco conto. Léonard, allora, provò ad alzare la voce dicendo che le incursioni della polizia erano scene degne del “Codice da Vinci”.
Ma insieme disse, diplomaticamente, che “la giustizia deve fare il suo corso”. Sono decenni che Lovanio non ha pace. Fondata nel 1425 da Papa Martino V, è stata punto di riferimento dell’intellighenzia cattolica europea. Dopo il Vaticano I venti nuovi l’hanno attraversata, fino all’espulsione della sezione francofona, forzatamente trasferita a Louvain-la-Neuve con l’avallo dei vescovi del paese. Nella vecchia Lovanio l’ala fiamminga ha promosso dottrine incompatibili, soprattutto in campo biomedico, con la morale cattolica. C’è anche chi ha cercato di proporre la legittimità, ai sensi canonici, delle coppie gay. Il tutto con il silenzio delle gerarchie. Stante così le cose espungere l’aggettivo “cattolico” altro non sarebbe che prendere atto di un dato di fatto: Lovanio cattolica non lo è più. Della cosa se n’era accorto, anni fa, anche monsignor Edouard Massaux, “rettore di ferro” di Lovanio fino al 1986. Pochi giorni prima di morire disse: “Rifiuto e proibisco formalmente la presenza ai funerali di una delegazione ufficiale dell’Università di Lovanio che dopo il mio ritiro ha pubblicamente ritenuto di dover prendere le distanze dall’istituzione della chiesa”. Così, tempo addietro Massaux. E oggi? Un colpo, prima o poi, potrebbe venire direttamente da Roma, dalla curia romana, oggi la grande nemica della nuova Lovanio.
di Paolo Rodari
Il Foglio giovedì 21 ottobre 2010