DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Rosh Ashannà, Kippur e Succot: anche le feste ebraiche saranno minacciate dalla secolarizzazione?

Martedì 21 Settembre 2010 22:12

In occasione delle prime tre ricorrenze previste dal lunario, il capo rabbino di Roma Riccardo Di Segni ha invitato a comportarsi da ebrei non soltanto quando si celebrano, ma in ogni momento della vita quotidiana

di Aldo Alatri
In questi giorni di settembre gli ebrei di tutto il mondo stanno celebrando le prime tre ricorrenze previste dal lunario ebraico e precisamente il Rosh Ashannà (capodanno), lo Yom Kippur(giorno dell’espiazione) e il Succot (la festa delle capanne).

Le feste sono tutte e tre comandate dalla Torà (Pentateuco) e sono ancora oggi molto sentite, soprattutto le prime due. Rosh Ashannà segna l’inizio dell’anno e ricorre, secondo il lunario ebraico, l’1 e il 2 del mese diTishrì, (che quest’anno hanno coinciso con il 9 e il 10 settembre, o meglio dall’8 sera fino al 10 prima del tramonto, poiché per gli ebrei il giorno inizia con la luna, quindi di sera). L’anno appena iniziato è il 5771. Rosh Ashannà ricorda sia la creazione del mondo, che il mancato sacrificio di Isacco da parte di Abramo (il quale al posto del figlio, sacrificò, su indicazione di un angelo, un montone, e proprio per tale motivo al mattino in sinagoga si suona un corno di montone, lo shofar). La sera entrante le famiglie riunite celebrano il seder (ordine), attraverso il quale simbolicamente ci si augura che l’anno sia buono e prosperoso. Durante il seder si recitano alcune benedizioni e si mangiano cibi dolci, come i fichi e le mele intinte nel miele, proprio come auspicio per un anno dolce; si mangia inoltre pesce, poiché i pesci, con i loro occhi sempre aperti, simboleggiano il Signore che veglia costantemente su di noi (di qui la tradizione dei primi cristiani di avere i pesci come simbolo, soppiantato poi dal crocifisso); non si mangiano, infine, le erbe amare, quindi la benedizione del pane (ammozzì) si compie con lo zucchero anziché col sale e si mangia il melograno come simbolo di prolificità. Inoltre, in alcune comunità, come quella italiana, si piantano grano, lenticchie o granturco per augurarsi che l’anno sia prospero.
Dal momento in cui viene suonato lo shofar, inizia il periodo di penitenza che termina il 10 di Tishrì, con il giorno di Kippur (espiazione). Nei nove giorni che intercorrono tra una ricorrenza e l’altra, è obbligo per ognuno chiedere scusa per tutti i torti commessi nell’anno precedente e, al tempo stesso, perdonare quelli subiti. Soltanto se è stato fatto tale atto di pentimento, il decimo giorno, appunto Kippur, si potrà chiedere perdono al Signore, con la remissione tutti i nostri peccati. In realtà il processo di penitenza, o Teshuvà (pentimento), inizia ancora prima, e cioè il primo giorno del mese precedente, Elul, per un periodo totale di pentimento di 40 giorni (come la Quaresima nel rito cattolico-ambrosiano). Dal primo di Elul, ogni mattina si recitano le selichot (scuse) che preparano il credente alle due feste di Iamim Noraim (giorni severi), cioè appunto Rosh Ashannà e Kippur.
Per ottenere il perdono da parte del Signore, il Kippur va vissuto come fossimo angeli, asessuati e privi di qualsiasi bisogno materiale, per cui per 26 ore si digiuna in modo totale, senza né mangiare, né bere (sono ovviamente esentati bambini, anziani, malati e donne in gravidanza), non si hanno rapporti carnali, non si accendono luci, non si lavora, né si impone agli altri di lavorare, non si fuma, non si può usare l’auto (al tempio ci si reca a piedi in qualsiasi parte della città si abiti), non si può usare il cellulare, vedere la televisione, eccetera. È concesso solo pregare.
L’ultima festa è cominciata proprio ieri sera (mercoledì 22), 15 Tishrì, ed èSuccot (capanne). Questa ricorrenza, insieme a Pesach e Shavuot, fa parte del gruppo di tre feste dette Shalosh Regalim (tre pellegrinaggi). Dal punto di vista biblico-storico le tre feste celebrano le vicende dell’Esodo: Pesach ricorda l’uscita dall’Egitto, Shavuot la donazione delle tavole della legge, Succot la permanenza degli ebrei nel deserto. Però, al tempo stesso, tali feste hanno anche un forte significato dal punto di vista agricolo e sono conosciute anche col nome di Shalosh Regalim per il fatto che anticamente gli ebrei che abitavano fuori Gerusalemme approfittavano di queste tre ricorrenze, che coincidevano con delle “scadenze agricole”, per recarsi al tempio della città e offrire i sacrifici. Succot, in particolare, è la festa che segna la fine del raccolto, quindi del ciclo agricolo e dei cicli naturali in generale. Dura sette giorni e gli obblighi (mizvot) da espletare sono due: la succà e il lulav. La succà è una capanna che deve avere almeno il tetto di frasche ed essere costruita in un luogo aperto. Essa rappresenta l’abitazione provvisoria per eccellenza e ognuno di noi, trasferendosi sotto la succà per sette giorni, prende coscienza della propria provvisorietà e che prima poi anche il nostro ciclo finirà come tutto in natura. Il Lulav è un mazzo composto da quattro vegetali (palma, mirto, salice e cedro) e si deve scuotere tutte le mattine, tranne il sabato, verso i quattro punti cardinali. Uno dei significati del Lulav è che gli ebrei, nonostante siano dispersi nel mondo (da cui il movimento verso i 4 punti cardinali), sono sempre uniti come in un mazzo e rivolti verso Israele (le piante del Lulav sono tipiche delle quattro regioni di Israele).
Il settimo giorno di Succot è detto “le molte salvezze” (Oshannà rabbà) e rappresenta una proroga al Kippur, per cui chi non ha potuto raggiungere la Teshuvà (pentimento) al Kippur, ha la possibilità di farlo in questo giorno, recitando delle preghiere di scusa al Signore (oshannot). In questo giorno si scuote fortemente un mazzo di salice e per ogni foglia che cade, il Signore ci perdona una colpa. Si tramanda che questo rito coincida con un antichissimo rito propiziatorio della pioggia perché, da questo momento, inizia anche la stagione delle piogge, importantissima per chi vive in Israele.
Il giorno successivo, cioè l’ottavo, teoricamente non è più Succot, ma è un giorno ugualmente molto importante, in cui si va sotto la succà (capanna) ma non si recita la preghiera. Dico teoricamente perché in Israele le feste durano in generale un giorno in meno dato che anticamente il loro inizio era annunciato fuori Israele da un messaggero e i rabbini per paura di ritardi aggiunsero precauzionalmente per chi vive fuori Israele, un giorno in più a tutte le feste rispetto a quanto previsto dalla Torà (Pentateuco).
Il giorno dopo ancora è Simchat Torà (gioia della Torà), cioè il giorno in si legge l’ultimo brano (parashà) della Torà e si ricomincia dal primo (ogni mattina dell’anno viene letto un brano). In Israele questi due giorni, ottavo e nono, coincidono per il motivo detto sopra.
Prima di iniziare l’ultima preghiera del Kippur, Neilà, il capo rabbino di Roma Riccardo Di Segni, ha rivolto un nuovo monito contro la secolarizzazione, ricordando che è necessario essere ebrei tutti i giorni, in ogni momento della giornata, e non solo durante la celebrazione delle feste, criticando la regola, ormai comune “dell’essere ebrei dentro casa e soltanto cittadini fuori di casa”, primo passo verso l’assimilazione alla società consumista. Di Segni ha inoltre sottolineato che “essere ebrei è sempre difficile, sia sotto le dittature che umiliano il corpo e lo spirito, che sotto le società libere che attraggono e seducono”. E ancora “ci preoccupiamo molto dell’antisemitismo ed è giusto, ma attenzione a non confondere due tipi di lotta. C’è chi lotta contro l’antisemitismo perché non lascia agli ebrei la possibilità di confondersi con gli altri (ghettizzandoli o sterminandoli) e chi lotta contro l’antisemitismo perché non lascia agli ebrei la possibilità di essere ebrei”: ciò vale per l’attuale società secolarizzata e relativista. D’altronde il diavolo non assunse le sembianze del leone, ma del serpente, e non usò con Adamo ed Eva la forza, ma la seduzione…


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