La colpa di Derakhshan è stata quella di aver visitato Tel Aviv e criticato la censura del regime dei mullah
Tratto da Il Foglio del 13 ottobre 2010
oma. Il “padre dei blogger iraniani”, Hossein Derakhshan, è stato condannato a diciannove anni di carcere.
Uscirà di galera quando avrà 55 anni. E’ la condanna più pesante mai comminata a un dissidente. La sentenza nei confronti di Derakhshan non è definitiva e il giovane potrà ricorrere in appello. Così circolano già molti appelli per la sua liberazione affinché la comunità internazionale intervenga a favore del giovane come ha fatto per Sakineh, la donna condannata a morte per lapidazione.
Dopo le proteste post elettorali di un anno fa, i blogger in Iran sono diventati i principali oppositori del regime. Sono stimati tra i 10 ed i 15 mila scrittori online in lingua farsi. I primi tre blog, realizzati nel 2001 da Salman Jariri, Hossein Derakhshan e Nima Afshar Naderi, hanno sancito la nascita del cosiddetto “weblogistan”. L’Iran oggi è il nono paese al mondo per numero di blog. Dopo l’inglese, il francese e il portoghese, lo spagnolo e il cinese, il farsi (secondo la rivista Bad Jens) è tra le lingue più presenti sul web. Alcuni si appoggiano su server stranieri. Scrivono tantissime donne. E se in Unione Sovietica era in uso la samizdat, l’editoria clandestina stampata in casa e passata di mano in mano solo tra persone di cui ci si poteva fidare, oggi sono blog, forum, chat e cybercafè i luoghi della dissidenza contro i mullah.
Nei giorni scorsi si era parlato anche di dare il Nobel per la Pace a Twitter (il riconoscimento è stato assegnato invece al dissidente cinese Liu Xiaobo). L’ex consigliere per la sicurezza nazionale Mark Pfeifle ha sostenuto che Twitter avrebbe meritato il Nobel perché “senza Twitter gli iraniani si sarebbero sentiti inermi e incapaci di combattere per la libertà e la democrazia”. Twitter, in Iran, è l’unica piattaforma accessibile ai dissidenti, l’unica fonte di informazione non ufficiale cui abbia accesso chiunque simpatizzi per i rivoltosi. Numerose organizzazioni umanitarie, tra cui Reporters sans frontières, hanno denunciato l’Iran come “nemico di Internet”.
Davud Ahmadinejad, fratello del presidente, ha dichiarato che “Internet è una minaccia per il paese“, perché il nemico “ha preso di mira gli interessi iraniani approfittando di questo mezzo“. La mannaia del regime è quindi sempre più feroce con i cyberdissidenti. Ali Behzadian Nejad e Omid Lavassani sono stati condannati a sei anni di galera a Teheran. Lavassani per aver creato il sito web del candidato alle presidenziali Hossein Mousavi, mentre Nejad avrebbe fatto “propaganda contro il sistema”. Mojtaba Saminejad è finito in carcere per avere pubblicato sul proprio blog notizie “offensive” verso l’ayatollah Khamenei. Ahmed Batebi, il dissidente che si è fatto otto anni di prigione, ha detto che “il regime può arrestare i blogger per qualsiasi ragione”. Un cyberdissidente, l’iraniano Omidreza Mirsayafi, si è “suicidato” nel carcere di Evin. Dalla finestra della sua cella poteva vedere l’area speciale dove ancora, nel 2010, gli iraniani vengono seppelliti fino al collo e poi presi a sassate finché non muoiono.
Nel 2006 e nel 2007, il decano dei blogger Derakhshan si era recato, con passaporto canadese, in Israele, nemico giurato della Repubblica islamica che non ne riconosce l’esistenza. Aveva descritto il viaggio “postando” racconti in inglese e in farsi sul suo blog, spiegando che stava cercando di mostrare agli israeliani e agli iraniani una immagine diversa di ciascun paese. Il suo blog – Hoder. com – era seguito da undicimila iraniani ogni giorno. Si parlava di politica, di musica, di sport, di attualità. Si parlava di Iran ai non iraniani. Ai suoi Hossein diceva quello che non si vede. Quello che non viene fatto vedere. Dopo essere stato educato nelle migliori università iraniane e dopo avere intrapreso la carriera giornalistica, nel 1999 Hossein comincia a occuparsi di Internet e democrazia dalle colonne del quotidiano riformista Asr-e Azadegan (L’epoca dei liberi), in seguito chiuso dagli ayatollah. Nel 2001 Hossein apre il suo blog. Il primo in Iran. Poi elabora un manuale in farsi, “Come crearsi un proprio blog”. “L’Iran e Israele dovrebbero essere alleati”, aveva scritto il blogger. Aveva spiegato in Israele come i riformisti iraniani utilizzino il web. Aveva parlato di censura, degli iraniani. Aveva stretto contatti con tantissimi israeliani. Le accuse sono quelle di “collaborazione con nazioni nemiche”, “propaganda contro il regime islamico” e a favore dei “gruppi controrivoluzionari”, “insulti alla religione” e agli esponenti politici. La settimana scorsa si era temuto per una sua possibile condanna a morte, mossa che il governo Ahmadinejad avrebbe scatenato per intimidire gli altri blogger dissidenti che hanno seguito le orme di Holder, considerato il padre della rivoluzione dei blog in Iran. O con il nickname di “The Blogfather”.
Sul suo conto pesa anche l’accusa di aver creato uno strumento web per scrivere i caratteri persiani al computer con immediatezza, dando così la possibilità agli iraniani di aprire un blog e protestare contro il regime. Derakhshan ha fondato la piattaforma “Stop censuring us”, da cui monitorava la repressione in Iran. Dal 2004 gli ayatollah cominciano a censurare l’attività online del blogger. Derakhshan aveva anche il passaporto del Canada, dove aveva iniziato l’attività di blogger antiregime in farsi e inglese conquistandosi una collaborazione col giornale The Guardian. Una volta tornato a Teheran per far visita alla famiglia, il blogger viene arrestato. E’ l’inizio dell’incubo. Finirà nel 2029.