Roma. Si parla di rischio sharia, ma forse il vero
problema è, più precisamente, quello del Millet. Di
che si tratta? “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali”. E’
un articolo della Costituzione italiana, che ben riassume
un principio che sta alla base di tutta la cultura
giuridica e istituzionale dell’occidente moderno:
tutti coloro che vivono in uno stesso territorio sono
sottoposti alla stessa legge. Certo, il decentramento
implica apparenti eccezioni al principio generale:
negli Stati Uniti, ad esempio, il cittadino di determinati
stati può essere condannato a morte per reati
che in un altro stato comporterebbero pene inferiori;
in Italia il cittadino della provincia di Bolzano è
sottoposto all’obbligo di conoscere anche il tedesco
oltre all’italiano per poter essere assunto in un posto
pubblico. Ma il principio territoriale resta sempre
comunque. Un cittadino di Bolzano che si trasferisca
a Roma, non dovrà più dimostrare di conoscere
il tedesco per essere ammesso a un concorso pubblico;
il cittadino di uno stato americano in cui vige
la pena di morte, non verrà sottoposto a iniezione letale
compiendo in un altro stato un reato che, nel suo
luogo natale, sarebbe passibile di tale pena.
Il Millet consiste invece nella negazione del principio
di territorialità. Due vicini di pianerottolo sono
sottoposti a due leggi diverse perché sono di religioni
diverse: il cattolico non può divorziare; ma il
musulmano può essere poligamo. Il turco Millet, dall’arabo
Milla, è tradotto come “nazione”, ma significa
letteralmente “Verbo”, e indica nel diritto islamico
un “gruppo di persone che accetta un verbo particolare
o un libro rivelato”. Una nazione coincidente
con una fede, come diceva Maometto. Nell’impero
ottomano le Millet stavano in posizione diseguale: la
Millet musulmana era quella di serie A, il cui capo
era il sultano. Le altre Millet, da quella ortodossa a
quella armena a quella ebraica, erano invece in posizione
di vassallaggio. Ad esempio il patriarca di
Costantinopoli era considerato una sorta di “sovrano”
per tutti gli ortodossi: ma un sovrano vassallo del
sultano, e i membri del suo Millet dovevano ad esempio
per questo pagare delle tasse aggiuntive. Questo
status di dhimmi, “protetti”, è ancora quello cui sono
sottoposti i non islamici in gran parte del mondo
musulmano: cittadini di serie B, anche se con qualche
privilegio marginale (ad esempio: i cristiani in
Iran possono consumare alcol).
La “dhimmitudine”, però, non è l’aspetto essenziale
del sistema del Millet. In Libano, ad esempio, il sistema
funziona in situazione di formale parità fra le
varie comunità religiose. E anche in India dai tempi
dell’impero Moghul sopravvive uno status speciale
per musulmani e cristiani che non impedisce ai
membri di queste minoranze di scalare anche le cariche
più importanti.
Oggi la richiesta di gran parte degli immigrati islamici
in Europa è, appunto, non un’impossibile introduzione
della sharia per tutti, ma il Millet: le leggi
sulla famiglia, la proprietà e le sanzioni penali votate
dalla maggioranza “cristiana” continuino pure a
essere applicate per questa maggioranza; ma i musulmani
abbiano il diritto di amministrarsi secondo
le regole proprie, e con propri tribunali. Qui sorge,
tra l’altro anche, un grave problema di intercomprensione
sulla reciprocità. Se ci sono moschee a
Roma, perché non ci possono essere chiese alla Mecca?
Se nel mondo islamico un cristiano può bere alcol
e mangiare carne di maiale, perché in occidente
un musulmano non può essere poligamo e far portare
a sua moglie il velo?
Le leggi che nelle Americhe o nell’Oceania tutelano
le popolazioni indigene, la Common Law anglosassone
o la “politica dei pilastri” belga o olandese,
sono state a volte viste come versioni occidentali del
Millet. In realtà, è vero che ad esempio le legislazioni
indigenista colombiana o australiana permettono
punizioni corporali che sono vietate per altri cittadini:
ma anche lì queste deroghe al principio generale
hanno solo base territoriale, ad esempio nelle riserve.
Mentre cattolici e protestanti in Olanda o fiamminghi
e valloni in Belgio, organizzavano sì scuole,
ospedali, e perfino campionati di calcio dilettantistici
separati. Ma i tribunali rimanevano sempre quelli
dello stato. Però, è proprio forzando queste eccezioni
apparenti che nell’Europa di oggi si possono
aprire pericolosi varchi per il Millet.
Maurizio Stefanini
© Copyright Il Foglio 19 ottobre 2010