Uno studio fatto presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova e pubblicato nel mese di ottobre, ha mostrato sorprendenti capacità del feto umano: addirittura la capacità di socializzare col fratellino all’interno del pancione. E’ solo l’ultimo dei tanti studi che mostrano la capacità e le caratteristiche umane di chi non è ancora nato. Ma su questo c’è una pesante censura e dei pregiudizi pre-medievali.
Infatti pochi sanno che il dibattito se il feto è o non è un essere umano, è per la comunità scientifica non solo vecchio e rugginoso, ma assolutamente assurdo. Nessun libro di testo di medicina nemmeno abbozza l’ipotesi che il feto non sia umano. Così come anche gli scienziati che sono a favore del diritto di aborto non pensano minimamente che il feto non sia umano. Ma questo non lo spiega nessuno.
Il feto è umano perché è vivo, e perché ha un patrimonio genetico cioè un DNA umano. E non è un dato di fede, ma un dato che se non viene ripetuto dallo studente all’esame, sia anche il professore un mangiapreti o un vescovo, lo studente viene bocciato.
Il problema è un altro: non se il feto è un essere umano, questo è assodato. Il problema, esplicitamente dichiarato, è che per alcuni ci sono degli esseri umani che hanno un valore specifico maggiore degli altri. Sono quelli che chiamano "persone", a differenza delle non-ancora-persone (feti, embrioni e bambini piccoli) o delle non-più-persone (disabili, anziani con demenza, stati vegetativi).
Su questo si basano le leggi sull’aborto, senza mezzi termini: il diritto del padre vale più di quello del figlio perché il padre è già nato, e può decidere sulla vita del figlio solo perché il figlio non è ancora nato. Insomma, un mondo a due binari: uno di serie A (quelli sani, che possono esprimersi e difendersi) e uno di serie B: gli altri. Per Patricia Werhane "vari esseri umani, per esempio gli handicappati mentali, e le demenze senili non rientrano nella stretta classificazione di persone" ("Theoretical Medicine", 1984). Non sentite un brivido? Capite come l’aborto sia solo una faccia di un problema che ci riguarda tutti?
Per Len Doyal ("Archives of Disease in Childhood", 1994) anche i bambini senza ritardo ma con grave dolore fisico tale da minarne la capacità di autonomia potrebbero non essere considerati persone; per lui ("British Medical Journal", 1994) "i diritti umani dipendono dalla possibilità di esercitarli". Non sentite ancora un brivido freddo che sorge dai fossati scavati così tra uomo e uomo, tra donna e donna, tra adulto e bambino?
Per Robert Williamson ("Journal of Medical Ethics", 2005) l'embrione acquista valore etico solo se c'è "l'intenzione di farlo diventare una persona", cioè se viene scelto da qualcuno di noi sani!
Un diritto di alcuni di umanizzare altri, insomma, o di toglier loro l’umanità. Davvero non sentite un brivido? Quale sarà la prossima categoria privata del beneficio di essere "persona"? A chi di noi toccherà?