Padre Pio da Pietrelcina, il santo del Gargano, non fu «perseguitato» da Giovanni XXIII. Il beato Roncalli, infatti non diede credito alle presunte notizie raccolte da alcuni collaboratori, ma decise alla fine di affidarsi al più equilibrato e fondato giudizio del vescovo di Manfredonia evitando sanzioni pesanti verso il cappuccino con le stimmate acclamato come un santo mentre era ancora in vita e viveva a San Giovanni Rotondo.
È quanto emerge dal bel libro Oboedientia et Pax. La vera storia di una falsa persecuzione (edizioni Padre Pio e Libreria Editrice Vaticana), scritto dal giornalista Stefano Campanella. Il volume, che porta la prefazione del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, è stato presentato questo pomeriggio a Roma. Oggetto del volume sono quelle che Bertone definisce «vicende fatte oggetto di surrettizie interpretazioni storiche», vale a dire il mito di un santo «persecutore», il Papa buono, e di un santo «perseguitato», Padre Pio.
L’opera di Campanella si avvale di diversi documenti inediti, provenienti dagli atti della causa di beatificazione, e smentisce ricostruzioni giornalistiche ma anche la versione proposta nella recente biografia di Padre Pio pubblicata dallo storico Sergio Luzzatto. E documenta come le pesanti e autorevoli accuse rivolte al frate non trovarono credito nel Papa.
All’origine di quella che sarà chiamata la «seconda persecuzione» di Padre Pio, avvenuta tra il 1960 e il 1961 c’è il parroco romano del Divino Amore, don Umberto Terenzi, il quale voleva proteggere il santo frate e la sua opera, Casa Sollievo della Sofferenza, dalle indebite ingerenze di un persone troppo interessate ai soldi. Don Terenzi ottenne dal Sant’Uffizio l’incarico verbale di indagare, ma esagerò presentandosi a San Giovanni Rotondo come rappresentante papale e lasciando intendere di dover riferire personalmente a Giovanni XXIII, cosa che non avvenne mai. Vennero posizionati dei microfoni e un registratore nella foresteria, dove Padre Pio incontrava le persone (non nel confessionale) e in un colloquio con la già attempata Cleonice Morcaldi i curiosi precursori delle nostre intercettazioni credettero di ascoltare «un bacio».
La bobine, confuse e poco utilizzabili, vennero mandate al Sant’Uffizio. Il Papa, venuto a sapere, ordinà che i microfoni fossero tolti e non volle più trovarsi davanti don Terenzi, neanche nelle pubbliche udienze. Venne quindi nominato il visitatore apostolico Carlo Maccari, del vicariato di Roma. Anche lui si sentì un rappresentante del Papa, che parlava in suo nome, quando invece aveva solo il compito di raccogliere informazioni per poi riferire ai superiori. La visita non ebbe inizio nel migliore dei modi, a causa di qualche disguido, e Maccari accreditò le false accuse contro Padre Pio.
Ma la vera notizia contenuta nel libro, inedita, è la visita apostolica di un solo giorno compiuta nel febbraio 1961 dal domenicano padre Paolo Philippe, futuro cardinale e consultore del Sant’Uffizio. Venne a San Giovanni Rotondo e interrogò Padre Pio. Scrisse una relazione, citata nel volume di Campanella, dai toni durissimi contro il santo del Gargano, certamente peggiore di quella già negativa redatta da monsignor Maccari.
Scrisse: «P. Pio mi è apparso come un uomo di intelligenza limitata, ma molto astuto e ostinato, un contadino furbo che cammina per la sua strada senza urtare i Superiori di fronte, ma che non ha alcuna voglia di cambiare […] egli non è e non può essere un santo […] e neppure un degno sacerdote. […] P. Pio è passato insensibilmente da manifestazioni minori di affettuosità ad atti sempre più gravi, fino all’atto carnale. E, adesso, dopo tanti anni di vita sacrilega, forse non si accorge più della gravità del male. Questa è la storia di tutti i falsi mistici che sono caduti nell’erotismo […]»
«P. Pio non è solo un falso mistico, che è consapevole che le sue stigmate non sono da dio, e ciò nonostante lascia costruire tutta la sua “fama sanctitatis”su di esse, ma, peggio ancora, egli è un disgraziato sacerdote, che approfitta della sua reputazione di santo per ingannare le sue vittime», per cui, da «ex professore di storia della mistica», definiva «il caso di P. Pio la più colossale truffa che si possa trovare nella storia della chiesa».
Insomma, una requisitoria terribilmente negativa, anzi distruttiva. Frutto di un solo giorno di indagine e basata esclusivamente sulle relazioni precedenti. Una requisitoria fino ad oggi mai pubblicata. Papa Giovanni lesse, ne rimase impressionato. Ma volle consultare ancora una volta l’arcivescovo di Mafredonia, suo antico amico. Il colloquio, eloquentissimo, è riportato nel volume di Campanella. Giovanni XXIII capì che le accuse contro Padre Pio erano false, costruite ad arte, fondate sul nulla. E diede ordine ai cardinali del Sant’Uffizio di non inasprire le sanzioni verso Padre Pio. Se il santo del Gargano fu «perseguitato», il Papa buono e oggi beato, non fu mai il suo «persecutore».