DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Per salvarci dalla «decadenza dell’uomo»: la memoria


«Decadenza dell’uomo» vuole dire che l’uomo si rattrappisce, che l’uomo diventa meschino. E, infatti, quando quello che si guarda o i rapporti che si stabiliscono rispondono esclusivamente alla reazione che è provocata e che si afferma in noi, oppure quando i giudizi o i rapporti nascono dal tentativo - sempre, in fondo in fondo, un po’ isterico - di affermare i propri progetti (nel rapporto con la ragazza o col ragazzo, nella famiglia, nel lavoro, nello studio o nella vita culturale, oppure nella politica), la meschinità significa che uno è come imprigionato, l’orizzonte non è più aperto e il tempo diventa giudice, perché uno si annoia di quello che ha fatto e di quello che fa, non può sostenere niente e niente può durare, anche se al momento può dare un certo gusto. Occorre che il limite della nostra prigionia venga spaccato. E - ecco l’aspetto della liberazione - la nostra prigionia viene spaccata soltanto se il muro si apre ed entra dentro l’infinito. È per questo che Sua Eminenza ha detto: chi rifiuta Dio, o ne perde e ne sminuisce il senso, allora decade. Perché la libertà è come senza confini, e senza confini è il rapporto con Dio. Ma quanta fatica per l’uomo!
Come noi ammiriamo tutti gli sforzi che gli uomini hanno fatto per aderire a Dio, per immaginarselo, per stabilire un rapporto affettivo con Lui e per esprimere esteticamente l’emozione che questo pensiero destava in loro - vale a dire, le varie religioni -! Ma la Madonna l’aveva lì, il Mistero infinito era lì, mentre mangiava e beveva, mentre vegliava e quando si coricava. Che dimensioni diverse per lei avevano tutte queste cose! Non poteva, in qualsiasi momento, dimenticare quel rapporto che la legava a quella creatura, prima che nascesse, dopo che era nato, vedendolo diventare grande. In lei dominava la memoria.
La “memoria”: è questa la grande parola che rinverdisce continuamente e libera continuamente la nostra vita, che altrimenti continuamente sarebbe tentata, cioè sarebbe schiacciata in un limite di prigionia, in un peso. È questa memoria, infatti, che libera dal peso dell’esistenza. Come quando Gesù vide quel funerale tra i campi - come abbiamo ricordato tante volte tra noi - e sentì gridare quella donna, gridare disperata, e allora s’informò, fece un passo in avanti e le disse: «Donna, non piangere!»7, che - come abbiamo notato tante volte - è un controsenso, sembra un controsenso, perché come si fa a dire a una mamma che ha il figlio morto: «Donna, non piangere!»? Ma è la più grande, la più bella espressione di quella tenerezza, cioè di quella passione per l’uomo, senza della quale, senza sentire la quale, senza renderci conto della quale, è impossibile capire il Signore. In questo senso il Signore è venuto per pietà dell’uomo, e l’origine della sua mossa non è quindi una origine, starei per dire, di “religione”, ma di umanità. Questa memoria come rendeva diverse tutte le azioni che la Madonna faceva! Dio tra di noi è diventato una realtà presente.
Come dobbiamo raccogliere dalla Madonna questo invito che essa ci fa, che la sua figura ci fa? Abbiamo una devozione grande, un’attenzione grande a tutto ciò che ci richiama alla memoria Cristo: dal grande mistero della Chiesa tutta, al mistero vivente e concreto della nostra Chiesa particolare, della nostra parrocchia, della comunità di amici, delle persone della famiglia: sono veramente - dopo l’adorazione a Dio, dopo la gratitudine a Dio - la gratitudine più grande della nostra vita. Quasi un’adorazione deve andare a questa realtà umana in cui la memoria di Cristo, vale a dire in cui il ricordo della Sua presenza ci è richiamato, perché da soli siamo distratti; possiamo anche studiare teologia, ma qui si tratta di un sentimento, di una coscienza, ma una coscienza che investe, tende a investire tutta la nostra affettività, che deve come qualificare un modo con cui guardiamo tutte le cose e quindi il modo con cui trattiamo tutte le cose.
Che grazia, che grazia questo segno della Sua presenza, l’umanità che ci richiama a Lui: dalla Chiesa alla famiglia, all’amico, all’amico personale. Questa è la vera amicizia. Io ho sempre sentito vivamente questo valore che l’icona di Maria richiama alla nostra coscienza, fin da quando ero ancora ragazzetto di ginnasio e, durante i cammini del giovedì, durante le uscite dal seminario - in fila, allora, a tre a tre -, specialmente con due miei compagni, mi sentivo sempre richiamato a queste cose e sognavamo. La gloria di Cristo è più grande e sfonda tutti i limiti dell’immaginazione con cui noi cerchiamo di dargli omaggio, ma ricordarlo, ricordarlo - di qualunque forma il ricordo possa ornarsi -, ricordarlo è, nella nostra vita, il punto in cui la nostra vita si libera: si apre la prigione dell’affezione, la prigione della compagnia, la prigione del lavoro, la prigione della fatica, la prigione di se stessi.
Ora, questa memoria, proprio perché non è il ricordo del Mistero immaginabile e ineffabile, ma è il ricordo di una umanità presente (il Mistero è diventato un uomo, e
«Sono con voi - Egli ha detto - tutti i giorni, fino alla fine del mondo»8), si chiama “fede”. Quando ella ha detto: «Fiat», «Sì», ha espresso nel modo più breve, sintetico e grandioso la fede di tutti i tempi.

( Appunti dall’intervento di Luigi Giussani durante il pellegrinaggio dei giovani al Santuario di Caravaggio, promosso dalla diocesi di Milano in occasione dell’Anno Mariano. 18 giugno 1988)