Un giovane 27enne britannico si è gettato da un ponte a Claviere, in Piemonte, forse per una relazione amorosa finita male; un anziano a Ragusa si suicida facendo esplodere una bombola di gas. Sono due dei vari avvenimenti delle ultime ore che annunciano suicidi e che ci lasciano sgomenti, perché sentiamo che nel suicidio c’è realmente una profonda ingiustizia. E’ un sentimento di orrore e di solitudine, di sconfitta e tristezza che si poteva evitare, che non ha trovato un appiglio, un sostegno amichevole, un ultimo disperato abbraccio. Per questo diciamo che il suicidio non è un atto di libertà, perché non si è liberi quando si è abbandonati, quando si è schiacciati dalla solitudine. E per questo non accettiamo l’idea del suicidio assistito, che invece per molti media alla moda sembra un gran passo di autonomia della persona e di libertà.
Proprio in questi giorni apprendiamo che in Svizzera, patria del libero suicidio assistito, con annesso turismo “suicidiatico”, si stia per trasmettere un telefilm la cui trama rispecchia la storia di un ragazzo giovane che resta paraplegico e viene aiutato dai parenti a morire, come è sua volontà, con corteggio di lacrime, solidarietà e pietas nazional-popolare. Al tempo stesso apprendiamo che ormai si ricorre al suicidio assistito non perché malati terminali, ma “per non morire di vecchiaia”, che i suicidi assistiti in Svizzera sono in aumento, e che anche in Italia c’è chi non vede l’ora che questa pratica diventi legale da noi.
Ma come si fa a pretendere la libertà di suicidarsi in ospedale e al tempo stesso a rammaricarsi per il suicidio dal ponte sull’autostrada? E’ un paradosso che fa crollare qualunque pretesa liberalizzazione: chi approva il primo suicidio e disapprova il secondo sa dirci chi è autorizzato a decidere chi è degno di suicidarsi o meno? Se il suicidio è libertà, perché preoccuparsi per il loro dilagare, e su che basi ammettere o estromettere una persona da quello autorizzato dalla legge? Tanto vale approvare tutti i suicidi, anche quello del ragazzino abbandonato dalla fidanzata o quello della ragazza che va male all’università. Chi è il giudice laico del cuore altrui?
Il tragico è che, in nome della solitudine innalzata a sommo tribunale e chiamata poeticamente “autonomia”, nessuno sarà mai più autorizzato a salvare il suicida, dato che fior di politici oggi spiegano che a decisione presa, ogni interferenza è illecita: e certo un poveraccio che si butta sotto il treno, la sua decisione l’ha presa. Per aver evitato un suicidio, due carabinieri di Nocera Inferiore hanno ricevuto poco tempo fa un encomio solenne; e chi glielo ha dato ha fatto bene, dato che con l’aria che tira ci si può aspettare che chi salva il suicida invece di un premio, si prenda una denuncia.
Il suicidio è un richiamo alla compagnia e alla vita, un grido di aiuto, che chiede una risposta. Che si incrementino le cure per tutti, soprattutto per le persone con disagio mentale, per le persone abbandonate e in difficoltà. E si smetta di dire che tutto quello che decidiamo nella nostra solitudine è fatto bene. Troppo facile per gli Stati aprire al suicidio, che li deresponsabilizza dall’obbligo della solidarietà.