Tratto da Il Mattino di Napoli del 5 aprile 2011
Tramite il blog di Claudio Risé
Facebook è il diavolo? Ai sospetti presenti fra genitori già iperpreoccupati s’è aggiunto adesso il parere dell’importante filosofo inglese Roger Scruton.
In un saggio pubblicato sul bimestrale culturale cattolico Vita e Pensiero, infatti, il filosofo accusa il network più amato dagli adolescenti (ed anche dai grandi), di “demolizione radicale della relazione personale”.
La questione è veramente così grave? È arrivato il momento di allontanare i ragazzini anche da Facebook?
L’argomento principale di Scruton è che “gli amici” di Facebook non sono veramente tali. Spesso, infatti, non si conoscono neppure personalmente, a volte è il titolare della pagina che ha richiesto l’amicizia, a volte è l’”amico” che chiede di essere accettato come tale. Tutta questa “facilità” nel diventare amici su Facebook toglierebbe però consistenza alla relazione virtuale, ben diversa dalla “vera” amicizia.
Tutto ciò, naturalmente, è verissimo. Ma non è esclusiva “colpa” di Facebook, e neppure del “mondo virtuale” e della rete Internet. Infatti ogni amicizia, maturata in una qualsiasi comunità, la scuola, il lavoro, un determinato gruppo sociale, dovrà fare le sue prove prima di rivelarsi veramente tale.
La delusione è sempre stata un aspetto presente nell’amicizia, proprio perché spesso l’altro non ti è veramente amico, ma vuole mostrarsi tale o per interesse personale (per esempio perché tu hai successo, e lui desidera porsi nella tua scia), o perché ha un’infatuazione per te, o perché tu sei amico di qualcuno a cui lui non può arrivare direttamente.
Dalla scuola primaria in poi tutte queste motivazioni “improprie” fanno da sempre capolino nel vasto campo dell’amicizia. Che, come tutti i sentimenti umani, non è mai stato solo un sentire limpido e vero, ma anche un terreno ambiguo, cangiante, contraddittorio, dove l’affetto si unisce all’aggressività e alla competizione, e il dono di sé all’interesse personale.
La multiformità dell’anima dell’uomo, e il variare delle sue passioni non l’ha inventato Internet, c’era anche prima. Scruton ha più ragione quando dice che “prima” della rete due persone diventavano amiche “stando alla presenza” l’una dell’altra, e che qui invece la presenza non c’è più. Creare o mantenere un contatto, sia pur in assenza dell’altro, è però una delle possibilità positive della rete.
Internet può far incontrare due persone che hanno avuto un incontro magari fuggevole, durante una vacanza, o un’occasione di lavoro, o di gioco, e diventando “amici di Facebook” si danno la possibilità di un approfondimento, e di un’informazione più costante.
La società postmoderna è troppo spesso un’aggregazione di solitudini, e ogni incontro, ogni comunicazione può diventare un ponte verso l’esterno, la vita, la realtà, anche se non è affatto sicuro che accada.
Non credo neppure che sia corretto giudicare negative le amicizie di Facebook perché appartengono alla “categoria dei divertimenti”. Non c’è nulla di pericoloso in questa “categoria”, anche se ha certamente dei limiti. Cercare deliberatamente il piacere è un segno di vitalità, e seguire questa spinta aiuta la salute fisica e psichica; mentre invece il cercare (più o meno consciamente) il dolore e la sofferenza le indebolisce entrambe.
Il vero problema di Facebook, come di tutta la rete, è un altro. Si tratta dell’assenza dei sensi. A parte la vista per vedere schermo e immagini (parziali e chiuse in confini precisi), nelle amicizie di Facebook spesso i sensi non ci sono. Si tratta allora di liberare l’”amico” dalla sua foto e aiutarlo a diventare un corpo, una presenza, una persona.