DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Un punto di speranza nell'angoscia della cronaca. di Luigi Negri


All’inizio di questa solenne memoria del triduo pasquale in cui si compie la vittoria di Dio sul male, della restituzione all’uomo della sua autentica dignità, sono colto come da un sentimento di angoscia. E qualche volta mi chiedo – come se lo chiedevano alcuni salmi – se questa angoscia non sia invincibile e non dica quasi una impossibilità dell’uomo ad essere veramente se stesso di fronte alla propria coscienza, di fronte a Dio, di fronte alla storia, di fronte alla società.

Perché dico angoscia? Perché ci vuole un certo stomaco duro – il pelo sullo stomaco, come diciamo noi nordici – per non subire ogni giorno le provocazioni di queste vicende che dalla cerchia stretta delle famiglie dilaga nella vita sociale, nazionale e internazionale, in cui sembra che la violenza sia l’unico criterio di rapporto e quindi l’unico elemento di soluzione di qualsiasi problema: dalla frustrazione affettiva di due fidanzati che si lasciano, alla vicenda delle cosiddette rivoluzioni del Medio Oriente.

La violenza è proprio l’espressione turpe di un uomo che pensa di essere il centro del cosmo e della storia, il che realizza un rapporto di possesso sulla realtà naturale e umana, sociale e storica. Nessuna realtà ha di fronte ai suoi occhi una vera dignità, ma lui stesso non ha una vera dignità, perché se vive chiuso in sé e non fa andare il suo sguardo oltre l’orizzonte della sua materialità e storicità, l’uomo si dissolve. Si dissolve, diventa un fattore che continuamente tende a scomporsi. Una società di uomini che si scompongono, che assistono a tragedie immense, indicibili: penso allo sgomento che ho provato vedendo i cadaveri degli extracomunitari che galleggiavano sul mare; da mesi mi accompagna lo sguardo limpido, pulito di Yara Gambirasio e mi chiedo se si possa sparire senza lasciare tracce, senza che venga assolutamente una indicazione per rendersi conto di cosa sia effettivamente successo.

Insomma, per dirla con uno dei più grandi padri della Chiesa – San Tommaso lo riteneva il più grande –, sant’Ireneo di Lione, “è possibile che l’uomo muoia”. E l’angoscia è appunto nella percezione che siamo a un passo dalla dissoluzione dell’uomo, nella sua identità, nella sua eticità, nella sua capacità di costruzione.

Quest’angoscia si è andata radicalizzando perché negli ultimi decenni, ma potremmo dire negli ultimi anni, si è visto con chiarezza che non esiste alternativa alla fede. L’uomo, l’uomo ateo, l’uomo autosufficiente, l’uomo autoreferenziale, è un’astrazione: un’astrazione teorica e purtroppo una terribile esperienza pratica. Un uomo così non esiste, e nella misura in cui quest’uomo che non esiste - ma che pure in qualche modo “esiste” - manipola la realtà, provoca soltanto enormi distruzioni. Che dire per esempio dell’immensa schiera di bambini e ragazzi orfani, anche se formalmente hanno ancora un padre e una madre che però non si vedono più, e perciò non hanno nessuna accoglienza per la propria vita, per il proprio cammino.

Allora, in questa situazione in cui siamo immersi tutti, che ci colpisce da tutte le parti, che ci ferisce, la Chiesa rinnova il grande annunzio della morte e Resurrezione di Cristo come l’unica possibilità di salvezza per l’uomo. Cioè del mistero della morte di Cristo: morte non rituale, non sacrificale nel senso rituale della parola, ma morte come espressione suprema della sua affezione al Padre oltre ogni comprensione, oltre ogni corrispondenza. E vissuta per amore ai fratelli che Dio gli ha dato, cioè i fratelli che ha incontrato nel suo tempo e tutti gli uomini che lo avrebbero poi incontrato nel flusso e riflusso delle generazioni attraverso il mistero della sua Chiesa. Questa morte e Resurrezione è una luce, l’unica luce di speranza che può essere gettata su questo mondo angosciato, angosciato e angoscioso.

Ma perché questo annunzio fa fatica ad attecchire? Perché - diciamolo con chiarezza - anche per molti cristiani è un messaggio astratto. Ha più una formulazione ideologica, è più un grande sentimento delle fede o un grande impegno etico, come dice Benedetto XVI quando dice ciò che non è il cristianesimo, all’inizio della Deus caritas est: è un discorso, un’ideologia. Contrapponiamo all’ideologia del nulla, all’ideologia angosciosa del nulla, un’ideologia di valori religiosi che poi normalmente si laicizza e diventano quei valori di giustizia, di solidarietà, questa mercanzia che quotidianamente riecheggia nelle parole di pochissimi uomini politici che hanno una cultura superiore alla media, e che riecheggia anche nei discorsi di tanta ecclesiasticità, di alto e di basso livello.

Ma il cristianesimo, cioè la Pasqua, la morte di Cristo e la sua Resurrezione, non è un’ideologia, è un’esperienza: questo antico, bellissimo nome della vita cristiana che la genialità teologica ed educativa di don Luigi Giussani ha recuperato. La redenzione è una vita nuova che si comincia a vivere qui ed ora da parte di coloro che seguono il Signore crocifisso e risorto. La Resurrezione continua nella Chiesa, continua nella vita della Chiesa. Così tanti anni fa in un corso di esercizi predicato da lui io ne uscii come travolto da questa certezza: la Resurrezione è un’esperienza, la Resurrezione è un popolo che mangia e beve, veglia e dorme, vive e muore non più per se stesso ma per Lui che è morto e risorto per noi. Allora la Resurrezione è la dimensione normale della vita del cristiano. E’ ciò per cui il cristiano vive consapevolmente, è ciò per cui il cristiano ama la verità, ama il bene, si sacrifica per gli ideali, sopporta, è benevolo con i propri limiti e con i limiti altrui. E’ una vita nuova.

La Pasqua dice che c’è nel mondo il mondo nuovo di Dio, che può apparire come un piccolo seme, che può essere tentativamente emarginato, che può essere massacrato dal punto di vista dell’esistenza storica, come il suo Maestro e fondatore che fu massacrato dal potere dell’aristocrazia sacerdotale del tempio e romana. Ma questo popolo nuovo c’è, questa vita nuova c’è. C’è un momento, c’è un punto della storia in cui non c’è l’angoscia, c’è la certezza della propria identità, c’è il sacrificio del proprio limite che deve essere continuamente perdonato dal Signore. Ma c’è soprattutto il grande ideale della missione. Si può vivere per la missione, si può mangiare, bere, vegliare, dormire, vivere e morire perché Cristo sia conosciuto da tutti gli uomini.

Ora, se la Chiesa non è un’esperienza; se i cristiani non sono testimoni di Cristo e della sua Resurrezione; se nel loro volto non portano i segni della salvezza, se non portano il segno della salvezza – “I vostri volti non sono volti di salvati, per questo io non crederò mai al vostro Signore”, disse il grande filosofo francese Sartre (grande si fa per dire), ospite al primo congresso degli intellettuali cattolici dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale -; se la salvezza non è la nostra esperienza di vita, non la comunichiamo a nessuno. Allora l’unica cosa che domina il mondo è l’angoscia, perché l’unico punto che la fa saltare è presente ma in modo astratto, e pertanto inefficace.

Ma allora – ed è terribile questa conclusione che tiro – i cristiani inconsapevoli della loro identità, i cristiani omologati alla mentalità dominante, i cristiani che considerano di essere semplicemente custodi di un’appendice alla vita, un’appendice liturgico-sacramentale o un’appendice di carattere emozionale, o un’appendice di carattere etico; questi, mentre tradiscono Cristo danno il loro contributo alla distruzione della società.

E’ soltanto la costruzione reale della Chiesa che salva l’uomo e il mondo. Bisognerà che presto o tardi qualcuno nella Chiesa ricominci a dire queste cose semplici e fortissime, che hanno consentito alla Chiesa di camminare per duemila anni senza perdere il passo della storia. Anzi, quanto più ha predicato Cristo "e questi crocifisso" - per dirla con San Paolo – ha lanciato la storia e l’ha aiutata a crescere verso dimensioni nuove di intelligenza e di amore. Quanto più s’è ristretta in sé, e ha presentato un’alternativa edulcorata dell’annuncio, è diventata responsabile della rovina dell’umanità.

* Vescovo di San Marino-Montefeltro


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