di Danilo Quinto
Lo scorso 29 dicembre, l’Azerbaigian ha varato la nuova legge che rende più severe le pene pecuniarie previste dagli artt. 299 e 300 del Codice Amministrativo in materia di libertà di religione. Queste norme puniscono chi svolge qualsiasi attività religiosa senza autorizzazione, anche soltanto guidare un gruppo religioso non registrato o riunirsi per pregare insieme o l’importazione e la distribuzione di testi o documenti religiosi non approvati, come pure sono puniti i cittadini esteri che vengono a parlare della loro fede. E’ necessaria un’autorizzazione per fare catechismo ai bambini e per fare proselitismo. Le multe sono state aumentate 16-20 volte.
Se una famiglia contadina di 5 persone – riferisce Asia News, riprendendo la fonte dell’Agenzia Forum 18 - è trovata in possesso di letteratura religiosa illegale, ognuno dei membri può essere multato per 2mila manat, per totali 10mila manat (circa 13mila euro). Questo può rappresentare l’intero valore dei loro beni familiari, compresa la casa. Le condotte punite sono indicate in modo vago dalle norme, così da lasciare a polizia e autorità un’ampia discrezionalità.
Nel mese di marzo le autorità hanno proibito a tre comunità religiose di riunirsi anche solo per pregare a Gyanja, seconda città dell’ Azerbaigian. L’agenzia Forum 18 ha rivelato che fedeli cristiani - che hanno chiesto l’anonimato per paura di rappresaglie - hanno confermato la ripetuta minaccia della polizia di arrestare chi avesse continuato a riunirsi per la funzione domenicale. La stessa agenzia ha sottolineato che la richiesta di autorizzazione di oltre trecento comunità religiose attende di essere esaminata. La riforma del dicembre 2010 sulla libertà religiosa prevede che ogni attività di gruppi non registrati è illegale, persino riunirsi per pregare. La normativa fu presentata come un utile strumento contro il terrorismo islamico, ma di fatto vari gruppi protestanti, islamici, Testimoni di Geova e altri, in attesa di riconoscimento, subiscono incursioni della polizia e arresti per brevi periodi per la loro “illegale” attività religiosa.
Già nel 2009 erano state introdotte nel Paese alcune modifiche normative, sotto forma di cambiamenti costituzionali ed emendamenti, alla legge sulla libertà di coscienza, ispirate – secondo quanto dichiarato da vari esponenti governativi – dal desiderio di controllare e limitare l’attività dei gruppi estremisti o in qualche misura “pericolosi”.
Il 18 marzo, un referendum nazionale ha approvato alcuni cambiamenti alla Costituzione. Tra questi, l’art. 18, parte 2, che dispone il divieto di “diffondere e propagandare religioni (movimenti religiosi) che umilino la dignità delle persone e siano in contraddizione con i principi dell’umanesimo”. All’art. 48 è stata aggiunta una nuova sezione (parte 5), in base alla quale «nessuno può essere forzato a esprimere (e dimostrare) la sua fede e il suo credo religioso, per compiere rituali e partecipare a cerimonie religiose». A seguito dell’approvazione di tali modifiche, era stata predisposta una nuova versione della legge sulla libertà di coscienza. All’art. 1, veniva stabilito il divieto di “fare propaganda religiosa con l’uso o la minaccia di violenza o con lo scopo di creare ostilità e inimicizia razziale, nazionale, religiosa o sociale. E’ proibito propagandare religioni o movimenti religiosi contrari ai principi della dignità umana”. L’art. 6, comma 2, stabilisce che l’educazione religiosa di bambini o adulti “può avvenire solo qualora sia specificatamente previsto nello statuto dell’organizzazione”. L’art. 12 dispone che tutte le organizzazioni religiose possano operare solo dopo aver ricevuto la registrazione statale (rendendo quindi di fatto illecita l’attività religiosa non registrata). L’articolo richiede inoltre che sulla domanda di registrazione siano indicate, oltre alle consuete informazioni su cittadinanza, residenza, data di nascita dei fondatori, anche i fondamenti della dottrina religiosa, i dati sulla fondazione del movimento religioso e della società, la sua forma e i suoi metodi, le tradizioni, l’atteggiamento verso famiglia, matrimonio ed educazione; oltre ad altre indicazioni sulla limitazione dei diritti e dei dover dei membri. L’art. 12 stabilisce altresì che le comunità religiose possano operare solo presso l’indirizzo legale inserito nella richiesta di registrazione. L’art. 29 prevede che la Commissione statale per gli affari religiosi debba approvare la costruzione (o la ricostruzione, se già esistente) di ogni edificio per il culto.
La nuova legge dà ai funzionari statali l’autorità di mettere al bando organizzazioni religiose per violazione dell’ordine e delle regole sociali; o per aver incitato le persone a rifiutare di adempiere ai doveri richiesti dalla legge. Altro motivo per la messa al bando di un’organizzazione religiosa potrebbe essere la sua non osservanza dell’obbligo di fornire agli organi esecutivi informazioni su eventuali cambiamenti dell’organizzazione. Con le variazioni apportate alla legge sulla libertà di coscienza, anche i codici Amministrativo e Penale sono stati conseguentemente modificati. Gli articoli 299 e 300 del Codice Amministrativo introducono nuovi reati, quali: celebrazioni di riti in luoghi diversi dall’indirizzo legale, indicato in fase di registrazione; propaganda religiosa; produzione, importazione o esportazione, circolazione o vendita di letteratura religiosa senza adeguata autorizzazione della Commissione statale per gli affari religiosi; conduzione di attività religiosa diversa da quanto specificatamente previsto dallo statuto dell’organizzazione. E’ stato introdotto un nuovo articolo al Codice Penale che punisce chi costringa individui, inclusi bambini, a prendere parte ad attività religiosa o a educazione religiosa.
L’Istituto di Diritto Pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre”, riferisce numerosi episodi di violenza e intimidazione, messi in atto soprattutto dalla polizia, a danno di appartenenti a gruppi religiosi minoritari. In alcune regioni il fenomeno è più evidente: ad esempio, nella severa e repressiva Zakatala, nella parte nord-occidentale del Paese, in cui si sono verificati molti episodi di soprusi contro le comunità non gradite. Ad Aliabad, cittadina nella regione, due pastori a capo della locale comunità battista (che attende la registrazione da oltre 15 anni), sono stati imprigionati con accuse false e pretestuose, come punizione per la loro attività religiosa. Sempre ad Aliabad, le autorità cittadine sono arrivate a negare il certificato di nascita (necessario per ricevere cure ospedaliere, frequentare l’asilo, andare all’estero).
Per propaganda religiosa illegale nel suo appartamento nel 2010 è stato deportato in Russia Javid Shingarov, nato in Azerbaijan ma con passaporto russo. Shingarov viveva a Yalama con moglie, due figli e il padre anziano. La polizia gli ha sequestrato oltre 300 libri e dvd. La sera del raid, anche il battista Eldar Eldarov, che abitava vicino a Shingarov, ha subito un’incursione della polizia nel suo appartamento: è stato costretto a rassegnare le dimissioni dal suo incarico di direttore della scuola primaria del villaggio.
Le incursioni delle forze di polizia durante gli incontri religiosi, che hanno luogo nella maggior parte dei casi in appartamenti privati, sono episodi frequenti, che si concludono con lunghi interrogatori e sequestro di materiale religioso, ma spesso non ci sono sanzioni amministrative per i fermati. In alcuni casi, tali raid hanno però assunto caratteri violenti e offensivi, determinando veri e propri maltrattamenti di fedeli ad opera della polizia. Il controllo statale sulle attività religiose è ancora più evidente nel caso delle comunità musulmane, che riescono ad operare senza eccessivi impedimenti solo se ricadono sotto la supervisione del Consiglio musulmano caucasico. Negli altri casi, la loro attività è seriamente limitata; e, in molti casi, perseguita.
Particolarmente colpiti, nel corso degli ultimi anni, sono stati i seguaci del teologo turco Said Nursi. Varie incursioni sono state effettuate dalle forze dell’ordine in abitazioni in cui erano riunite persone per leggere gli scritti di Nursi (che, peraltro, non sembrano essere mai stati messi ufficialmente al bando). In alcuni casi, i musulmani sono stati puniti anche con sanzioni amministrative – e talvolta con brevi pene detentive – in particolare per violazione dell’articolo 299 che punisce l’attività religiosa non registrata.
Nel mese di aprile 2009, è stata distrutta la moschea Profeta Muhammad, nel distretto Yasamal di Baku, dopo che funzionari statali l’avevano dichiarata, con motivazioni vaghe e non chiare, costruita illegalmente. Un’altra moschea è stata demolita nell’isola artificiale Oily Rocks, nel mar Caspio, dopo essere stata dichiarata non sicura. Nella città di Delimmedli, la moschea Hazrat Ali, completata da meno di un anno, è entrata nell’elenco di quelle da demolire, a causa di un metanodotto che passa nelle vicinanze. La moschea sunnita di Gyanja, attiva da oltre 12 anni, è stata chiusa nel settembre 2009, quattro giorni prima la fine del sacro mese del ramadan. Resta ancora chiusa la moschea Abu-Bakr nel distretto Narimanov di Baku, le cui attività erano state sospese per indagini nell’agosto 2008, a seguito di un’esplosione in cui due persone erano rimaste uccise. A seguito dell’incidente, le autorità governative hanno emanato un bando su base nazionale, ancora vigente, che proibisce la preghiera fuori dalle moschee.
Nel maggio 2010, il presidente Ilham Aliyev, probabilmente in risposta a pressioni internazionali, ha revocato l’ordine di distruzione per la moschea Fatima Zahra, nel distretto Yeni Guneshli di Baku, unica moschea per un’area residenziale di circa 70mila persone, funzionante dal 2000. La polizia, nell’estate 2009, aveva chiuso la moschea suscitando forti proteste tra i membri della comunità. Altre due moschee, costruite con finanziamenti turchi, sono state chiuse temporaneamente: quella di Ilahiyyat, nel campus dell’università statale di Baku, è stata sospesa per mancanza di registrazione; la seconda, Shahidlyar, sempre in Baku, è stata chiusa per “riparazioni”.
Il 26 e 27 dicembre 2009, le autorità locali hanno impedito ai dipendenti pubblici e agli studenti di celebrare la festa islamica sciita dell’Ashura, il 26 e 27 dicembre 2009. Il giorno successivo, la polizia ha perquisito il villaggio di Bananyar (dove questa evento è fortemente sentito), portando via diversi residenti, molti dei quali sono stati trattenuti per giorni in ospedali psichiatrici. La notte tra il 4 e il 5 gennaio, la polizia è tornata al villaggio arrestando circa 150 persone: le donne sono state liberate dopo 2-3 giorni e gli uomini qualche giorno dopo.