Decine di sacerdoti sono stati arrestate nel Nord della Cina; altre decine sono state bloccate ieri a Shanghai e "portate in vacanza" a spese del governo, impedendo loro così di celebrare Messa per i fedeli.
Il motivo: volevano partecipare al pellegrinaggio verso il santuario della Madonna di Sheshan, che si celebra oggi, 24 maggio, festa di Maria aiuto dei cristiani. Anche il santuario, sulle colline a sud-ovest di Shanghai, è stato messo sotto assedio: centinaia di poliziotti in divisa e in borghese si muovono senza sosta come attente formiche; occhiute telecamere vigilano ogni angolo dell’area su cui sorge la chiesa; guardie controllano i documenti ai pellegrini, facendoli passare attraverso i metal detector, come se si dovesse prevenire l’infiltrazione di chissà quale pericolosissimo nemico.
Il "nemico", però, sarebbe il Papa. Nella sua Lettera ai cattolici cinesi (2007), egli ha indetto una Giornata di preghiera per la Chiesa del Paese asiatico in coincidenza con la festa e il pellegrinaggio a Sheshan. L’intenzione è che attraverso la preghiera si rafforzi l’unità fra cristiani sotterranei e ufficiali e la comunione con il successore di Pietro. Da allora, Pechino "ha dichiarato guerra", per far sì che quell’unità non si avveri. Oltre agli arresti di sacerdoti sotterranei, anche i cattolici ufficiali subiscono limitazioni: è proibito andare a Sheshan nel mese di maggio; viene imposto l’obbligo di restare nella propria diocesi; sono bloccati i pellegrini stranieri.
In passato, il 24 maggio decine di migliaia di cattolici ufficiali e sotterranei andavano in pellegrinaggio al santuario, in un gesto comune di preghiera e riconciliazione. Ora, soltanto qualche centinaio di fedeli della diocesi di Shanghai riesce a superare tutte le barriere e a pregare la Madre di Dio, aiuto dei cristiani. Quest’anno, i motivi per pregare sono ancora più urgenti. Lo scorso novembre, Pechino ha fatto ordinare un vescovo a Chengde senza il permesso del Papa.
A dicembre, 40 presuli, oltre a sacerdoti e laici, sono stati deportati obbligandoli a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici, non riconosciuta dal Pontefice, per eleggere i vertici del Consiglio dei vescovi e dell’Associazione patriottica. Fra loro vi sono vescovi scomunicati. Giorni fa il presidente emerito dell’Associazione patriottica, Antonio Liu Bainian, ha minacciato di far ordinare ancora decine di pastori senza il consenso del Papa. Di fronte a questa campagna che divide e distrugge, le già provate comunità cattoliche ufficiali e sotterranee si trovano impotenti. Proprio per questo, il 18 maggio scorso Benedetto XVI ha chiesto ancora una volta ai fedeli nel mondo, soprattutto ai cinesi, di pregare oggi per i vescovi e i sacerdoti della Cina: per quelli che «soffrono e sono sotto pressione nell’esercizio del loro ministero»; per chi ha bisogno di superare «la tentazione di un cammino indipendente da Pietro»; per quelli che «sono irretiti dalle lusinghe dell’opportunismo».
L’offensiva di Pechino è fatta di controlli, divieti, arresti, minacce nei confronti dei sacerdoti e delle loro famiglie di origine. Le "armi" del Papa sono invece costituite dalla preghiera, anche per i governanti, secondo «il comandamento che Gesù ci ha dato di amare i nostri nemici e di pregare per coloro che ci perseguitano». Pur fra fatiche e dolori, sta "vincendo" il Pontefice: dopo oltre 60 anni di impegno del Partito per far nascere una Chiesa sottomessa, i cristiani in Cina rimangono ancora uniti al vicario di Cristo. In molte diocesi cinesi, oggi sono previste celebrazioni, adorazioni eucaristiche, rosari per l’unità della Chiesa con il Papa.
Un sacerdote sotterraneo di Shanghai, impossibilitato nel suo ministero, prega dalla sua stanza-prigione: «Nostra Signora di Sheshan, benedici la Chiesa in Cina. Tutti i sacerdoti possano godere della libertà di evangelizzare il nostro Paese». Questa Chiesa sofferente ha bisogno della preghiera e della solidarietà della Chiesa universale.