DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La Chiesa in Cambogia: ricostruire le tradizioni. Intervista al Vicario apostolico di Phnom Penh

ROMA, lunedì, 30 maggio 2011.- I regimi comunisti in Cambogia non solo hanno provocato la morte di 2 milioni di persone, ma hanno anche derubato la nazione della sua cultura e della sua storia, tanto che i giovani di oggi mettono su famiglia senza un collegamento con il loro patrimonio storico.
Questo è uno dei motivi per cui l’istruzione costituisce una priorità per la minuscola Chiesa cattolica in Cambogia, afferma il Vescovo Olivier Schmitthaeusler, Vicario apostolico di Phnom Penh dallo scorso ottobre.
Il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, ha parlato con il quarantenne vescovo francese sulla sua vita in quella terra di missione che è la Cambogia.
Eccellenza, lei è stato nominato recentemente Vescovo della capitale Phnom Penh. Qual è stata la sua reazione iniziale? È stato uno shock?

Monsignor Schmitthaeusler: Sono rimasto sorpreso e intimorito perché sono molto giovane. Avevo 39 anni. Forse, allora, ero il più giovane Vescovo al mondo. Ero come Geremia: “Signore sono così giovane. Cosa posso fare?”. Poi ho ricordato Maria che ha detto: “Sono la serva del Signore”, e così ho accettato.
Eccellenza, lei ha vissuto 13 anni in Cambogia. Ha scelto di andare lì o è stato inviato dalla Société des Missions Etrangères?

Monsignor Schmitthaeusler: Effettivamente sono membro delle Missioni estere di Parigi e ho ricevuto l’ordine quando sono diventato diacono. Il superiore generale l’ha annunciato a tutti, dopo la mia ordinazione: “Padre Olivier, lei andrà in Cambogia”.
Ha avuto paura?

Monsignor Schmitthaeusler: Ero sorpreso e allo stesso tempo molto contento. Ero stato in Giappone per tre anni da seminarista. Amo l’Asia e quando ho ricevuto questa missione sono stato contento di dover andare in Cambogia.
Lei ha lavorato per 10 anni nelle parrocchie rurali. Cosa ha imparato dalla gente cambogiana?

Monsignor Schmitthaeusler: È stata un’esperienza meravigliosa per me, nei luoghi in cui sono stato. Era una chiesa molto piccola. Quando sono arrivato c’era un solo cristiano. Abbiamo iniziato tutto da zero. Abbiamo costruito la chiesa e organizzato un gruppo di giovani. Abbiamo avuto il primo battesimo nel 2003. Ora abbiamo complessivamente 98 persone che sono state battezzate e 35 catecumeni che saranno battezzati l’anno prossimo. Abbiamo anche avviato una piccola scuola: un asilo e un liceo. Abbiamo anche un centro di tessitura della seta. La gente khmer è molto amichevole e mi ha accolto a braccia aperte. É stata un’esperienza molto positiva per la mia vita sacerdotale. Sarà molto difficile per me dover lasciare quel posto.
I cambogiani sono per il 96% buddisti. Qual è stata la reazione dei villaggi vicini quando ha iniziato ad evangelizzare? Erano aperti al fatto che improvvisamente si stesse formando un villaggio cristiano in mezzo a loro?

Monsignor Schmitthaeusler: In questo villaggio siamo stati molto fortunati: Dio è con noi. La gente ci ha accettato molto bene anche per il nostro asilo: i genitori, tutti buddisti, mandano i loro figli alla nostra scuola. Abbiamo anche un’attività simile ai Boy Scout e ogni domenica mattina abbiamo più di 300 bambini che vengono per l’ora di formazione.
E non ci sono timori da parte dei genitori che i loro figli vengano convertiti?

Monsignor Schmitthaeusler: Stiamo lavorando in questo modo da più di sei anni ormai e ogni anno i numeri aumentano, quindi credo che sia un buon segno. Abbiamo avviato una nuova parrocchia a circa 40 chilometri di distanza e inizialmente abbiamo avuto dei problemi, soprattutto con i giovani.
Perché?

Monsignor Schmitthaeusler: Per due anni, con un microfono e un altoparlante, dalle pagode, hanno diffuso notizie false sulla Chiesa cattolica, dicendo che i bambini che andavano in chiesa non avrebbero avuto l’autorizzazione a sposarsi, né avrebbero ricevuto assistenza da alcune ONG. A Natale del 2006, abbiamo invitato tutti gli anziani del villaggio. Loro erano molto contenti e si sono resi conto che la Chiesa cattolica è molto aperta e riceve chiunque. Siamo diventati buoni amici. Un’altra cosa interessante è che in questo villaggio, ogni domenica, ho tra i 10 e i 20 anziani della comunità buddista che vengono in chiesa per vedere cosa facciamo. Assistono alla Messa e ascoltano l’omelia. Il rapporto è molto interessante.
La cultura è fortemente buddista. Essere un khmer significa essere buddista, e abbracciare un’altra fede è anatema per i khmer: è come rifiutare la propria cultura e identità. È così?

Monsignor Schmitthaeusler: In Cambogia, durante i quattro anni del regno di terrore dei khmer rossi, con Pol Pot, è stato distrutto tutto: cultura e ogni forma di religione tra cui Buddismo e Cattolicesimo. Dopo i khmer rossi, anche nei 10 anni di occupazione comunista vietnamita era vietata ogni forma di religione. Negli ultimi 20 anni la Cambogia ha iniziato a ricostruire le proprie tradizioni e le loro pratiche religiose. Ora, credo che la gente sia molto più aperta di prima. Questo è molto positivo soprattutto per la Chiesa cattolica.
Quando i giovani diventano cristiani, per esempio, invitiamo i loro genitori e nonni a partecipare al battesimo. Due anni fa abbiamo avuto un funerale. Il funerale è molto importante per i buddisti e loro hanno l’idea che i cattolici non siano così interessati ai morti e che non abbiano rispetto per i defunti, soprattutto per i genitori. Erano tutti in attesa di vedere cosa avrei fatto durante la cerimonia funebre. E dopo erano tutti molto impressionati. Ho seguito la loro tradizione funeraria, tra cui i sette giorni di veglia della tradizione buddista. Ho cercato di fargli capire che noi non trascuriamo i morti, che abbiamo preghiere per i morti e che crediamo e speriamo nella Risurrezione. È stata un’opportunità per noi di testimoniare Cristo e un’occasione per i buddisti di vedere cosa facciamo.
Cosa spinge un buddista a convertirsi al Cristianesimo?

Monsignor Schmitthaeusler: Noi iniziamo con i giovani. I giovani sono missionari molto efficaci: poiché il mio amico va in chiesa, anche io voglio andare in chiesa, anche se non capisco pienamente cosa significhi. Questa è la prima fase. Nella seconda fase scoprono la carità. Abbiamo attività di volontariato in tutte le chiese. È la carità dei cattolici verso tutti e non solo verso quelli della propria religione, ma verso tutti, senza pregiudizi, e soprattutto verso i poveri. Questo è ciò che loro vedono e che li attrae: poter aprire il cuore e amare tutti.
La terza fase, che è molto importante, è l’incontro con Gesù. Questa, tuttavia, richiede del tempo, ovviamente, perché è un’esperienza nuova. Ma attraverso la preghiera e le letture della Bibbia, arrivano a incontrare Gesù. È un processo graduale. Solitamente i giovani sono numerosi. Nella mia chiesa abbiamo circa 100 giovani ogni domenica, con più di 60 buddisti. Di questi 60, circa 20 o 30 continuano poi nella formazione.
Torniamo al periodo dei khmer rossi, in cui sono state distrutte le chiese e sono state completamente vietate le pratiche religiose. Come affrontate oggi questo trascorso storico?

Monsignor Schmitthaeusler: Quel periodo, durato dal 1975 al 1979, è stato caratterizzato da una distruzione massiccia di proprietà della Chiesa e dalla morte di preti e religiosi. Abbiamo avuto anche la morte di due vescovi: uno è stato ucciso e l’altro è morto di malattia. Era il primo vescovo khmer della storia della Cambogia. E non dimentichiamo anche la morte di 2 milioni di khmer. I missionari hanno iniziato a tornare nel 1989, dopo più di 30 anni. La prima celebrazione è stata a Pasqua ed erano presenti 1.500 khmer. Alcuni erano nuovi convertiti – grazie ai missionari molto attivi nei campi profughi al confine con la Thailandia – e alcuni erano cattolici da prima del regime di Pol Pot. La nuova Chiesa cattolica in Cambogia ha iniziato con 1.500 khmer.
Ora state iniziando a ricostruire non solo la comunità ma anche le infrastrutture. Come si sta procedendo?

Monsignor Schmitthaeusler: A Phnom Penh abbiamo solo una chiesa, che era un seminario minore prima di Pol Pot. L’abbiamo acquistata 20 anni fa e sarà la chiesa principale di Phnom Penh. Ne abbiamo anche un’altra, costruita quattro anni fa, ma io sono un vescovo senza cattedrale, perché la cattedrale a Phnom Penh, nell’arco di una settimana di occupazione dei khmer rossi, nel 1975, è stata distrutta.
Quindi è un processo ancora in corso. È in atto anche un fenomeno di rivitalizzazione dei cristiani. Lo scorso anno abbiamo fatto un’analisi degli ultimi 20 anni evangelizzazione – dal 1989 al 2009 – e abbiamo rilevato un desiderio della gente di avere una chiesa, una cattedrale, e questo è un segno di speranza. E ci dimostra che la presenza fisica è importante.
Che ferite ritiene che siano rimaste tra la gente che ha vissuto il periodo di Pol Pot?

Monsignor Schmitthaeusler: Le ferite sono iniziate prima di Pol Pot. Vi è stata la guerra civile negli anni Settanta, durante il periodo di Lon Nol e poi l’occupazione vietnamita dopo Pol Pot. È stato un periodo molto lungo, in cui non vi è stata alcuna trasmissione della tradizione culturale, dei valori e della storia, mentre è molto importante questo tramandare da una generazione all’altra. La preoccupazione principale di quel periodo era semplicemente quella di sopravvivere: trovare cibo e rifugio e non c’era tempo per trasmettere tradizioni culturali, valori e storia.
Per i giovani oggi è difficile mettere su famiglia, perché si trovano un vuoto di collegamento e di conoscenza rispetto al loro patrimonio storico. In Cambogia, il 60% della popolazione ha meno di 20 anni e non ha conoscenza della guerra civile, del regime di Pol Pot, né della propria cultura. Quindi è un sfida per il Governo e anche per la Chiesa.
Qual è la priorità, in particolare alla luce di tale questione?

Monsignor Schmitthaeusler: In Cambogia la priorità è l’istruzione. Le risorse umane sono state distrutte e ora bisogna ricostruire tutto. È una priorità anche della Chiesa cattolica, perché l’istruzione fa parte della formazione e per me, nell’avviare una nuova missione nella diocesi di Phnom Penh, l’educazione è una priorità perché viviamo oggi con la prima generazione di cristiani.
20 persone sono state battezzate 10 e 5 anni fa e l’educazione è un modo per approfondire le loro radici culturali e cristiane, aiutarli a diventare leader nella Chiesa e nelle loro famiglie, e a costruire una migliore famiglia cristiana. Abbiamo due seminaristi oggi, il che non è poco perché i cristiani sono solo 14.000, quindi due seminaristi è una buona media. Dobbiamo formare buone famiglie cristiane e incoraggiare le vocazioni. Quindi la priorità riguarda la formazione e l’istruzione in generale. Abbiamo iniziato con un asilo e oggi ne abbiamo 25 nella diocesi. Abbiamo anche una scuola tecnica nella tradizione di Don Bosco.
C’è bisogno di riconciliazione dopo quel terribile periodo in cui sono morte 2 milioni di persone?

Monsignor Schmitthaeusler: La maggioranza della gente non si preoccupa di questo, non gli interessa. La riconciliazione è un concetto per noi. La vita è difficile per la maggioranza della gente khmer e si preoccupano principalmente di guadagnarsi da vivere. Si concentrano sul futuro e non sul passato.
Quindi neanche la Chiesa cattolica si preoccupa di tale questione?

Monsignor Schmitthaeusler: Ci proviamo, con i nostri servizi di comunicazione sociale. Lo scorso anno abbiamo avuto un incontro con uno dei giudici internazionali e abbiamo cercato di incontrare i cattolici che erano sopravvissuti a quel periodo. Lo scorso anno, nel nostro liceo cattolico abbiamo dedicato un giorno alla memoria del periodo dei khmer rossi. Abbiamo invitato un sopravvissuto a parlare. Siamo poi andati a visitare un memoriale chiamato “Killing Fields” (campi di sterminio). Abbiamo pregato con i monaci e i preti. Cerchiamo, poco a poco, di mantenere la memoria di quell’era buia, perché credo che sia importante non dimenticare e questa è una sfida per il Paese, perché certamente non si può dimenticare.
Mi risulta che il re era presente alla Messa di requiem per Papa Giovanni Paolo II. Come è questo rapporto, oggi, con il Governo?

Monsignor Schmitthaeusler: Il rapporto è buono, soprattutto tra il Governo e la Chiesa cattolica. Esiste un Ministero per il culto e la religione come in tutti gli altri Paesi comunisti. Ora sono tre anni che sono Vicario generale della diocesi di Phnom Penh e ho sempre avuto buoni rapporti con il Governo.
Però non è facile. Per esempio, non potete andare porta a porta. Come influisce questo sul vostro lavoro di evangelizzazione? Come fate se non potete visitare le famiglie nei villaggi?

Monsignor Schmitthaeusler: Non è così. Non possiamo andare porta a porta come i mormoni, né possiamo usare un canale di comunicazione pubblica per fare proselitismo. Ma questo è comprensibile. Alcuni protestanti hanno usato grandi cartelloni con citazioni della Bibbia, ma questo non è permesso. Invece io posso visitare le famiglie nei villaggi senza restrizioni. Noi spieghiamo che la fede cattolica sta con il Governo e usiamo sempre il termine cattolico e non cristiano.
Perché il Governo reagisce in modo negativo quando si stabilisce una setta, cristiana o protestante, di tipo personalistico?

Monsignor Schmitthaeusler: Sono molte le sette cristiane in Cambogia e il Governo ha difficoltà a capire chi è chi. Con noi invece sono contenti perché abbiamo una struttura chiara: il Papa, i Vescovi e i sacerdoti.
Questa reazione negativa è anche dovuta al proselitismo aggressivo di alcune sette?

Monsignor Schmitthaeusler: Sì, questo è un altro motivo. Vi posso dare anche un esempio molto concreto. Lo scorso anno ho richiesto la cittadinanza. Sono andato al Ministero dell’interno per un colloquio. Ho spiegato che ero un sacerdote della Chiesa cattolica. L’interlocutore però ce l’aveva contro i cristiani. Non capiva la differenza tra i cattolici e gli altri, e ha detto: “Il vostro gruppo scrive sui muri che bisogna odiare Budda per stare con Gesù”. Affermazioni di questo tipo sono molto distruttive, soprattutto per la mente dei non cristiani, e abbiamo molti casi di questo tipo. Non voglio dire che sono tutti aggressivi e critici verso tutto ciò che è cambogiano o khmer, ma talvolta è difficile per noi cattolici dire che siamo cristiani.
Quali sono le necessità del suo Paese e della Chiesa cattolica oggi?

Monsignor Schmitthaeusler: C’è bisogno di formazione e di aiutare la nostra gente a trovare Dio. Questo è molto importante. Avere tempo per pregare in silenzio; avere un rapporto con Gesù e con Dio. Questa è una grande sfida, in un Paese buddista.
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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Where God Weeps: www.WhereGodWeeps.org
Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org

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