Il bambino ha quattro mesi e si chiama Storm. Canadese biondo con gli occhi azzurri, nelle foto con la tutina rossa sembra avere la faccia da maschietto, ma i suoi genitori hanno deciso di non farglielo sapere e di non dirlo a nessuno (a parte gli altri due figli, l’ostetrica che l’ha fatto nascere e un amico di famiglia, tutti vincolati alla riservatezza). Il sesso non è importante e anzi è una convenzione potenzialmente dannosa, quindi è meglio che resti un segreto, un dettaglio che non deve condizionare la vita, una scelta futura (scegliere il liceo, scegliere se essere un uomo o una donna).
“Se vuoi davvero conoscere qualcuno, non chiedi cosa c’è fra le sue gambe”, dice suo padre, insegnante in una scuola alternativa, e “nel non rivelare il genere del mio prezioso bambino, io dico al mondo: per favore lasciate che Storm scopra da solo, o da sola, quel che vuole essere”, ha scritto la madre al quotidiano di Toronto. Lo cresceranno come un bambino neutro e lo vestiranno con i colori che preferisce. E’ già accaduto, ma senza arrivare al gesto estremo di nascondere il sesso, con gli altri due figli: il più grande, Jazz, maschio riconosciuto, ha le trecce e le gonnelline rosa (ironico omaggio agli stereotipi sociali che i genitori rifiutano). Non vogliono che i bambini si sentano condizionati da una sovrastruttura (rosa, azzurro, bambole, soldatini, mollettine, fucili) e sono certi di regalare libertà, progresso e buon esempio, possibilità di autodeterminarsi.
A parte che la dannazione di moltissime madri che imbacuccano la propria bambina in cuffiette rosa, carrozzine rosa, copertine rosa piene di cuori, è sentirsi dire dalla solita vicina di casa: “Ma che ometto forzuto” (succede sempre anche il contrario, è ineluttabile: se si mettesse un’insegna luminosa con freccia e la scritta: “Boy” o “Girl”, qualche ficcanaso distratto direbbe comunque che vostro figlio, vestito per l’occasione da gladiatore, è proprio una deliziosa bambina), il genderless è un ottimo modo per crescere un perfetto bambino nevrotico: oltre alla responsabilità precoce di scegliere quale sport fare, quale lingua studiare, quale genitore preferire, quale hobby coltivare, quale religione o non religione adottare, dovrà anche decidere che sesso avere. A questo punto, perché imporgli, con gesto autoritario, un nome, quando potrebbe consapevolmente deciderlo da sé, perché non chiamarlo fino ad allora “essere umano di piccole dimensioni” o “neutra occasione di vita”?
C’è tutto il tempo per ribellarsi a qualunque cosa, ma dire: è un maschio o: è una bambina, è una naturale certezza di cui essere semplicemente contenti, non un manifesto politico. Mia figlia dice che preferirebbe chiamarsi Coccinellina e vorrebbe che suo fratello di due anni fosse una femmina, quindi lo riempie di collane e cerchietti: ieri l’ha vestito da principessa e lui era molto felice. Una madre libertaria non interviene, per rispetto dell’autodeterminazione. Non sono intervenuta. Poi lui, vestito da principessa, ha imbracciato un camion e ha calciato maldestramente un pallone urlando “gol”: entrambe l’abbiamo guardato schifate. “Sei proprio un maschio”, lei gli ha detto, indispettita dal sopravvento della natura sull’abito rosa. Lui allora le ha sputato in un occhio, confermando l’accusa.
di Annalena Benini