Il fatto è noto: Andres Serrano ha fatto una foto dal titolo Piss Christ, una piatta esposizione di urina con dentro un crocifisso. In mostra al museo di Avignone, qualcuno ha preso a sassate la foto (il meccanismo è sempre lo stesso).
Sull’opera non c’è molto da dire. L’ennesima esibizione di una regressione alla fisiologia elementare che, in modo del tutto parassitario, acquista una mediazione simbolica sufficiente a innescare una qualche sorta di scandalo. Arte miserabile. E menzognera, perché cerca lo scandalo che non è scandalo.
In effetti, quello che mi interessa non è Serrano. Mi interessano invece alcune argomentazioni che questi casi suscitano in ambito cristiano. Come quella, ad esempio, di Sébastien Lapaque il quale partendo da una citazione di Tertulliano scrive:
«Si ignobilis, si inglorius, si inhonorabilis, meus erit Christus (se senza splendore, se senza gloria, se infamato, è il Cristo che cerco) … la coabitazione di grandezza e abiezione sono le due estremità tra cui l’umanità si dibatte. Un cristiano non può spaventarsi per la coesistenza degli opposti: è il grande mistero… tra Cristo e i Rifiuti non c’è distanza… Non c’è da stupirsi degli oltraggi che continua a ricevere Gesù. Un Dio al riparo dagli sberleffi, un Dio al riparo dalle bestemmie, un Dio al riparo dal marciume umano sarebbe adatto ai pagani o ai filosofi. Non sarebbe il Cristo che cerco, il Cristo che voglio, il Cristo che amo, venuto a sollevarmi dal canale di scolo o, chissà, dall’urina in cui stavo marcendo… della croce si fa troppo spesso un ciondolo, un segno senza significato, mentre attraverso il gesto brutale di Serrano essa viene restituita alla sua brutalità: la Croce diventa scandalo – dal greco skandalon, l’ostacolo» (qui il testo completo).
In questo genere di parole, che non è raro sentire, ravviso un doppio limite.
Il primo limite riguarda la modalità di presentare l’annuncio cristiano.
Sappiamo che Dio si è abbassato. Lo ha fatto innanzitutto creando il mondo. Ma non si è limitato a questo. Si è fatto lui stesso uomo. Ed è stato tradito, flagellato, schernito, inchiodato tra due ladroni. E’ morto in croce.
La croce non è stata la recita di un copione che prevedeva il finale a sorpresa. Secondo le narrazioni evangeliche, la morte di Gesù di Nazaret è l’estrema rivelazione di Dio. Il volto di Dio è visibile nel volto del Crocifisso. Il Risorto stesso è riconosciuto dalle ferite. Così come è la risurrezione che permette di vedere le ferite. Altrimenti tutto sarebbe rimasto chiuso nel buio della morte.
L’annuncio non può separare morte e risurrezione, pena la sua falsificazione. «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, follia per i pagani» (1 Cor, 1,23). Questa citazione di San Paolo va presa nella sua completezza: scandalo e follia è annunciare il tutto nel frammento, non il solo frammento.
Invece c’è un diffuso indugiare sulla chenosi di Dio che, come Lapaque qui sopra, pretende di esaurire l’azione di Dio nel movimento di abbassamento. Ricordo una battuta illuminante dell’amico Lycopodium: «l’Inno della lettera ai Filippesi va di moda leggerlo a metà».
Il secondo limite riguarda la lettura che cerca di spacciare Piss Christ come un’opera provvidenziale che fa ridiventare la croce uno scandalo evangelicamente inteso.
In realtà, l’immagine di Serrano fa tutt’altro: pretende di chiudere il movimento della croce nell’abbassamento. Infatti l’opera non è in grado di restituire la complessità dell’annuncio cristiano, annuncio che nella croce rende visibile anche altro: «quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
L’opera allestisce uno scenario dove la croce rimane invischiata in una pastoia umorale. L’abbassamento è bloccato nell’abbassamento. Qui la chenosi rappresentata non riprende tanto i Vangeli quanto piuttosto le teorie del “basso più basso” di Bataille. Questo raddoppio della chenosi ha infatti dei presupposti teoretici precisi: materia e spirito sono separati, l’alto si contrappone al basso e il contrasto risulta inconciliabile. La materia va quindi esposta fino alla putrefazione, fino ad annientarla per lasciare spazio allo spirito. Con queste premesse non c’è possibilità di trasformazione, non c’è spazio per il Risorto che porta le ferite del Crocifisso. Dunque l’immagine di Serrano afferma che non è possibile predicare Cristo Crocifisso. Perché non ha senso predicare un morto che non potrà che dissolversi nella morte.
In ultima analisi, l’immagine di Serrano è menzognera perché inscena un falso scandalo. La sua funzione reale è sedativa, normalizzatrice, omologante: pretende di eliminare dal mondo lo scandalo e la follia dell’annuncio cristiano.
Arte blasfema? No, solo miserabile
di Michele Dolz1
Dallo scorso dicembre il Museo d’Arte Moderna di Avignone espone l’arcinoto Piss Christ, uno scatto del 1987 del fotografo statunitense Andrés Serrano (nella foto), che ritrae un piccolo crocifisso di plastica immerso in un bicchiere pieno di urina.
L’opera ha vinto nel 1989 il premio Awards in the Visual Arts patrocinato dal Southeastern Center for Contemporary Arts e dal National Endowment for the Arts, ente governativo che tutela e finanzia opere di riconosciuta eccellenza artistica. Come tante altre volte precedentemente, la foto ha destato scandalo e sdegno. Il vescovo di Avignone Jean-Pierre Cattenoz ha reagito condannandola: «Ogni oltraggio alla nostra fede ci ferisce. Di fronte al lato odioso di questa fotografia, ogni credente è colpito nel più profondo della sua fede».
Per la verità, nulla di nuovo, ma un’insistenza tanto morbosa quanto stupida. La Rana Crocifissa di Martin Kippenberger, esposta al Museion di Bolzano nel 2008; la giovane donna crocifissa di Maurizio Cattelan affissa lo stesso anno sul muro di una chiesa a Stommeln, in Germania; le infinite ibridazioni dell’immagine dei papi; la Madonna del terzo Reich di Giuseppe Veneziano, che pubblicizzava la recente mostra Zeigeist a Pietrasanta e che raffigura una Madonna d’ispirazione rinascimentale con un piccolo Hitler in braccio; il Cristo crocifisso con il volto di Topolino, esibito in un centro commerciale di Pechino; l’immagine del Sacro Cuore pubblicata su un libro per le scuole elementari indiane e su altri mezzi di comunicazione, che raffigura Gesù con una sigaretta in una mano e una lattina di birra nell’altra; oppure la statua esposta recentemente nella cattedrale di Gap, in Francia, con un Cristo seduto sulla sedia elettrica; e un lungo eccetera che più che indignazione produce noia. Déjà vu.
C’è una tendenza comune a buona parte dell’arte contemporanea che, traendo origine dal geniale Duchamp, cerca di colpire lo spettatore più che di portarlo a un piacere estetico o a una riflessione civile. È l’arte dissacratoria che vuole urtare sparando contro i valori più cari, siano essi civici, etici o religiosi. Ma non sono poi cose tanto scioccanti. Sarà che ultimamente ci siamo abituati, sarà che in fondo non sono idea nuove né brillanti. Il vecchio Ottone Rosai aveva già dipinto cinquant’anni fa un pover’uomo crocifisso con il suo completo da onesto impiegato, e il quadro è finito nei Musei Vaticani. No, non è sconvolgente. Quel che dà fastidio è che si cerchi la polemica tutte le volte: agenzie, portavoce, giornalisti si sentono interpreti di uno scandalo che non c’è.
Ma davvero si prova così tanto gusto a fare queste piccole operazioni? Davvero ci si sente così innovativi e coraggiosi a punzecchiare una religione e una Chiesa che da secoli sopporta con pazienza i libelli, i romanzi, i film o le opere teatrali che ripropongono con insignificanti varianti gli stessi stereotipi? In fondo si sa che i presunti offesi non ti ripagheranno con la stessa moneta, non ti faranno causa, non ti prepareranno un attentato. E se queste stesse cose fossero già state dette più efficacemente tante volte nell’arte? Mezzucci e operazioni datate. La grande arte contemporanea (perché c’è una grande arte contemporanea) non è certo questa. Non siamo interessati, grazie.