di Claudio Risé
Affrontare la competizione, ed i suoi risultati, è fra le prove più difficili e formative dell’intera esistenza.
In essa, infatti, sono presenti le due esperienze più complesse e decisive per la personalità degli individui e dei gruppi: quella della perdita, e quella dell’acquisizione, della vittoria.
L’esperienza della perdita è dolorosa, e mette a rischio la nostra identità. Ma la vittoria non ha, in fondo, rischi minori. In entrambe è in gioco il bene prezioso dell’equilibrio.
Uno dei libri sapienziali più antichi del mondo, l’oracolo cinese I Ching (detto anche «Il libro dei mutamenti»), introdotto in Europa dalla scuola dello psicologo Carl Gustav Jung, presenta, in molti dei «responsi» che offre alle domande dei consultanti, il momento della vittoria come uno dei più difficili dell’esistenza. Appunto per una ragione di equilibrio.
Dopo l’affermazione positiva, infatti, il molto peso che le circostanze (le aspettative degli altri, le opportunità conquistate ecc.), hanno posto sul «trave centrale», sulla struttura portante della personalità, potrebbe provocare successivamente una rottura, un crollo.
L’esperienza della perdita, della sconfitta, presenta d’altra parte rischi non minori. Dopo la perdita, come dichiara chi l’ha attraversata «non sai più chi sei, né cosa diventerai». Ciò accade soprattutto quando chi perde era stato, in passato, vincitore, e deve quindi rinunciare ad un potere cui era da tempo abituato: il rischio è allora (a parte il dispiacere), quello della perdita dell’identità.
Si tratta di un pericolo tanto più grande quanto più, incautamente, ci si sia profondamente identificati con la figura del «vincente», dimenticando (o ignorando) che il percorso della vita confronta nel tempo ogni individuo ed ogni gruppo sia con la vittoria che con la sconfitta.
Quando invece il perdente viene già da precedenti disfatte, il rischio è quello di un vero annichilimento, della confusione e a volte la dissoluzione della personalità.
Questi pericoli sono forti soprattutto nella cultura occidentale tradizionale, tendenzialmente acquisitiva e statica, poco portata a valorizzare le opportunità del cambiamento e della flessibilità.
La psicologia degli individui e dei gruppi deve però essere più flessibile e pragmatica di quella più conservatrice delle istituzioni, soprattutto in tempi di mutamenti e comunicazioni «globali», spesso veloci ed inaspettate.
Anche qui è interessante la posizione delle culture orientali, e del «Libro dei mutamenti» sopra citato, in cui il momento della perdita è visto come portatore di opportunità inaspettate. In particolare, l’oracolo consiglia in quei casi l’opportunità di «cambiare pelle», come fa il serpente che lascia la vecchia copertura sotto una pietra, e ne indossa una nuova, diventando così un altro animale, diverso.
La perdita consente, ed anzi esige, la «muta», il cambiamento, e così facendo diventa un elemento di rinnovamento per gli individui, i gruppi, e l’intera società.
La tentazione più inutile e distruttiva, nel momento della perdita dopo il confronto con l’avversario, è invece quella del lamento, che procura soltanto la perdita di ulteriori energie, necessarie invece per cambiare la situazione. Protestare contro la realtà è, inoltre, uno stratagemma utilizzato per coprire le proprie responsabilità, sempre presenti in ogni sconfitta, e ci toglie così la visibilità dei percorsi del cambiamento e della ripresa.
Realismo e disponibilità al cambiamento nello sconfitto, ed umiltà e rifiuto dell’euforia nel vincitore, aiutano a ritrovare l’equilibrio dopo la prova della competizione.