DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La Croce. C’è abbastanza luce, c’è abbastanza buio

di Giovanni Marcotullio per La Croce
Che poi fin da subito, mesi prima che arrivassimo in edicola, già si erano scatenati tutti quanti: «Ma perché “La Croce”? Ma scegliamo un nome più laico, no?». E giù proposte, sentenze, botte e insulti (dice che dare del “ciccione” a Mario sia una specie di teorema universale, va bene per argomentare qualunque tesi). Ora, non è che perché siamo un giornale pop vuol dire che qui è il bar dello sport e gli argomenti non contano, anzi… e allora proviamo a prendere sul serio le obiezioni. Dico io – ci sarà una ragione laica per chiamare un giornale “La Croce”? E che tipo di cultura potrà mai voler propalare? Prima ancora, ce l’ha una parola da dire sulla cultura, la croce?
Forse sì, ce l’ha. O meglio, la croce è quella parola che giudica radicalmente una cultura, inevitabilmente la distrugge e la ricostruisce daccapo, ribaltandola. Quando soltanto i veggenti intuivano il cataclisma che il XX secolo avrebbe portato nel mondo, uno di questi – il più visionario – profetizzò: «Gli uomini dei tempi moderni, la cui intelligenza è tanto ottusa da non capire più il senso del linguaggio cristiano, non avvertono nemmeno più che cosa c’era di spaventoso, per un antico, nell’espressione paradossale “Dio crocifisso”. In nessuna conversione mai vi fu qualche cosa di altrettanto audace, di altrettanto terribile, qualche cosa che mettesse, in ugual modo, tutto in discussione – qualche cosa che ponesse tanti problemi. Quell’espressione annunciava una trasvalutazione di tutti i valori» (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, III).
Dunque la croce ha detto la sua parola sulla cultura, mentre si preparava a diventare il bastone dell’Impero cadente: e frattanto che l’Impero cadeva, la croce lo trasformava nel profondo, suggerendo ai legislatori che gli schiavi non si possono punire sfregiandoli in volto «perché il volto è l’immagine di Dio negli uomini». Così mentre Aristotele sosteneva che gli uomini sono schiavi per natura e Seneca affermava che in fondo tutti gli uomini sono schiavi, Paolo – che si scopriva “confisso alla croce per il mondo” – rivelava che il Servo di Dio era diventato servo di tutti perché ogni uomo diventasse libero, e quelli che poco prima erano delle semplici “cose” prendevano a essere inesorabilmente riconosciuti per “persone”, ossia portatori dell’immagine di Dio (sì, perché la parola “persona” è stata portata fuori dal gergo teatrale quando è entrata nella teologia).
Così la croce ha detto la sua parola, silenziosa e potente, sulla cultura: «Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Forse Dio non ha mostrato la stupidità della sapienza mondana? E visto che, nel piano sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, Dio ha voluto salvare quelli che gli credono con la stupidità della predicazione» (1 Cor. 2, 20-21). In effetti il cristianesimo è stato predicato dagli ignoranti e creduto dai dotti, e in questo non somiglia a nulla di conosciuto: chi poi dice che avrebbe “fatto presa sul popolino” perché gli propinava l’oppio dell’aldilà viene smentito dalla storia, perché non è “consolandosi con l’aglietto” del cielo che si sarebbe potuta trasformare la terra.
Il fatto è che la croce, invece, aveva rivelato l’uomo nudo e crudo, spogliato di tutti gli orpelli della cultura, scarnificato del ceto e persino della lingua: con l’ecce homo nasceva un umanesimo rivoluzionario, che non si sarebbe più rassegnato a considerare le persone non rispondenti al “canone” come dei problemi, ma vi avrebbe ricercato (e trovato!) delle occasioni. E così nacquero gli ospedali e la medicina divenne cosa pubblica. Così vennero sostanziate e trovarono ragione le prudenti intuizioni di Ippocrate sul fine-vita e sulla dignità della vita prenatale. Così gli operai smisero di essere della forza lavoro da sfruttare impunemente e gli imprenditori trovarono nella loro ricchezza una responsabilità di fronte agli altri uomini. E così nacquero le banche, per trasportare, custodire e moltiplicare ricchezza e benessere. Quando la croce ha detto la sua parola sul mondo i sovrani sono diventati servitori dei popoli e i sudditi giudici dei governanti, nella pace fiorivano le arti e nelle guerre si provavano i valori. Nessuna parola è più “di sinistra” e nessuna più “di destra” di quella che ha dato all’anima del povero lo stesso valore di quella del principe (ordinandogli di pregare per lui e di stargli sottomesso) e ha rafforzato il filo della spada del principe (perché difendesse il povero dai cattivi).
La croce ha dunque detto una parola sul mondo, distruggendo una cultura delle cose e fondandone una delle persone, ma fin da subito è stato evidente un difetto di questa parola portentosa: fa vergogna. Presto o tardi, della croce ci si stanca: dapprima, anzi, la si evita con ogni cura (i primi crocifissi di cui ci restano tracce li hanno fatti dei pagani per sfottere i cristiani, non ci rimangono crocifissi cristiani anteriori al IV secolo); in un secondo momento, invece, si prende ad abbellirla, indorarla e coprirla di gemme, farne un oggetto glam&chic. Così, quando ci si vergogna della parola della croce sul mondo, la voce ammutolisce per un istante e riprende poco dopo a ribollire in chiacchiera. L’omertà e la chiacchiera sono le nemiche della parola della croce e, se così non fosse, il quadro delle trasformazioni che ha operato sarebbe quello di una fiaba incantata, non l’incantevole e tragico racconto del nostro mondo. La storia segnata dalla parola della croce non è una storia di pura luce, e spesso le ombre sembrano abbracciare i raggi di luce come un parassita rampicante il tronco dell’albero di cui vive. Resta però il fatto (tremendo) che in questo mondo «c’è abbastanza luce per chi vuol vedere – così diceva Pascal –, e abbastanza buio per chi non vuol vedere».
Per questo motivo la croce non finisce mai, nella storia, di dire la sua parola, e anzi ogni giorno deve tornare al cuore pulsante del suo umanesimo; ogni giorno deve scrostare dalla nuda carne dell’“uomo fisso alla croce” il superfluo con cui lo ricopre; ogni giorno deve sconfiggere la chiacchiera e l’omertà.
Il segno della croce ha avuto ragione dei pagani e dei barbari, e non proponendo consolazioni posticce ma mostrandosi per la sostanza reale di ogni esistenza. Non c’è vita in cui l’albero della croce non attecchisca, non c’è vita che non si vergogni della propria croce e non cerchi di “truccarla” come può – a costo di sterilizzare il suo potere redentivo. Per questo ogni uomo, ogni giorno, si gioca nel rapporto con la croce il proprio ingresso nella cultura delle persone o l’esilio in quella delle cose.
La Croce sa che questa battaglia ognuno la combatte anzitutto dentro di sé – perché il pagano e il barbaro, l’omertà e la chiacchiera, sono in tutti – ma perciò vuole provare a coinvolgersi in questo corpo a corpo e a dare il proprio contributo in un panorama che come in tutti i tempi, ma forse in forme finora mai viste, ha del pagano e del barbarico.